Diritti tv Serie A 2018-21, la sfida: ricavare di più e ri-valorizzare gli stadi

Nella giornata di ieri il direttore generale del Bologna, Claudio Fenucci, ha ribadito in maniera ufficiale un pensiero di cui è da tempo portatore.

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Nella giornata di ieri il direttore generale del Bologna, Claudio Fenucci, ha ribadito in maniera ufficiale un pensiero di cui è da tempo portatore.

Per Fenucci trasmettere il 100% delle partite in diretta pay tv è dannoso per la serie A in quanto in contrasto con l’affluenza agli stadi.

L’alternativa è quella di comportarsi come la Premier League che trasmette solo il 44% di dirette sul territorio nazionale del Regno Unito (dove peraltro alle 15 del sabato non ci sono partite in tv, il che incentiva ad andare a vedere calcio non solo di Premier ma di qualsiasi categoria, in base alla propria residenza).

Il secondo messaggio lanciato da Fenucci è stato quello della necessità di cambiare il formato della serie A, ovvero tornare presto a 18 squadre. Aspetto che non è indipendente dal tema dei diritti tv.

L’uscita di Fenucci apre il dibattito in un momento particolarmente caldo sul fronte Lega, Figc e diritti tv.

 

Molte le implicazioni. Andiamo con ordine.

FENUCCI, PERCHE’ LUI?

Il direttore generale del Bologna lancia il sasso e, immaginando che non lo faccia da kamikaze, condivide le proprie idee e strategie con il suo presidente, Joey Saputo.

La sua uscita attira i grandi club più che i piccoli: 2 posti in meno in A sono un rischio per le società meno attrezzate e una liberazione per i grandi club (spariscono dal calendario i 4 turni infrasettimanali, si passa da 38 a 34 gare).

Di fatto con questa uscita Fenucci ha politicamente avvicinato il suo Bologna alle grandi.

Significa che da parte della sua proprietà ha ampie garanzie economiche sulla continuità e solidità del progetto rossoblù.

Il Bologna era la società giusta per questo passo. Le stesse parole dette dal DG di una grande avrebbero compattato immediatamente i piccoli.

I rossoblù hanno invece temi che sensibilizzano: sono in A da soli due anni, sono tra i club più avanti nel discorso stadio (pur senza nulla di scontato sul percorso), hanno una proprietà straniera che evidentemente viene osservata attentamente dagli altri club piccoli e medi per le strategie che mette in campo.

Dato non trascurabile: non giocare tutte le partite in tv avvicinerebbe l’Italia alla possibilità di adottare il modello inglese di distribuzione dei diritti. 

Un meccanismo che si basa su 50% uguale per tutti, 25% da risultati sul campo e 25% in base ai passaggi tv (da un minimo di 10 garantiti a un massimo di 25).

Questo tema non può vedere insensibili i piccoli, ma soprattutto i medi club, che vedrebbero crescere i loro introiti portando la Serie A ad una più accettabile proporzione tra chi prende più e chi prende meno.

Il che farebbe il paio con il paracadute (doppio) già garantito lo scorso anno alle retrocesse.

Insomma, la rinuncia a 2 posti in A potrebbe avere dei contrappesi interessanti.

Non possiamo dire se basterà, ma il dado è tratto. E la trattativa, forse già in queste ore, è aperta.

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(Insidefoto)

L’OBIEZIONE: MENO PARTITE VUOL DIRE MENO SOLDI.

Non per forza. Obiezione respinta.

Perchè?

Vi è una errata credenza del tifoso medio secondo cui le tv pagano i diritti a peso ovvero in base alla quantità di partite che trasmettono.

Falso.

In realtà le tv pagano la qualità delle partite. Evitare di avere 2 partite a settimana per un totale di 76 partite l’anno significa avere costi minori per eventi che spesso hanno una audience assolutamente marginale.

Lo scorso anno ad esempio in una nostra analisi abbiamo individuato (guardando alle prime 20 giornate di campionato) 10 partite con meno di 15 mila spettatori tv, che significa che le squadre che non sono seguite allo stadio non lo sono nemmeno in tv.

scenario diritti tv campionato italiano 2018-2021

In altre parole? Uno Juventus – Inter vale 30 volte la somma delle 10 partite con minore audience. Ovvero il rapporto tra 3 milioni di spettatori potenziali e i 100 mila scarsi (arrotondati per eccesso, in realtà si fatica a arrivare a 90 mila). Può bastare?

Peraltro lo scorso anno noi di CF – calcioefinanza.it abbiamo evidenziato come le partite “minori” abbiano avuto proporzionalmente una audience (percentuale) molto inferiore alla loro valorizzazione economica a pacchetto.

Per evitare un deprezzamento dei diritti bisogna soprattutto bilanciare bene i pacchetti. Cosa che in Inghilterra ha portato ad un +70% rispetto al triennio precedente.

Qui di seguito i suddetti pacchetti.

scenario diritti tv campionato italiano 2018-2021

I TEMPI.

L’accordo attualmente vigente varrà ancora per due stagioni, ovvero fino al 2017-2018.

Nella primavera 2017 ci sarà la nuova asta.

Il nuovo accordo entrerà in vigore nel 2018-2019.

Questo significa che se la Lega di Serie A votasse per una riduzione a 18 il campionato prossimo (2017-2018) dovrebbe essere quello con più retrocessioni per poter partire col nuovo format nel 2018-19. Ipotesi probabile: 4 retrocessioni e 2 sole promozioni.

E sarebbe una stagione straordinaria per le tv visto che sarebbe pure quella del ritorno di 4 squadre in Champions League.

Sono tempi strettissimi, ma la condizione del nostro calcio impone un intervento.

Tutto ciò naturalmente va fatto a garanzia delle tv, ovvero degli acquirenti, alle quali vanno venduti pacchetti triennali omogenei di anno in anno.

Diritti Tv Serie A 2018-2021, quanto hanno speso Sky e Premium per il triennio 2015-2018
Diritti Tv Serie A 2018-2021, quanto hanno speso Sky e Premium per il triennio 2015-2018

I PACCHETTI.

Le parole di Fenucci pubblicizzano quello che è soprattutto un messaggio che di certo è già chiaro Infront e al suo nuovo presidente Luigi De Siervo.

L’advisor in primavera deve presentare i nuovi pacchetti.

Il riferimento al modello inglese in qualche modo dà anche una traccia di lavoro. Ovvero: non più mega agglomerati come successo nel 2014 (con un’asta finita poi davanti ai giudici che hanno multato Mediaset, Sky, Lega Calcio e Infront) ma una diversa formulazione.

Ad esempio: niente più superpacchetto che assegna tutte le partite (qui ha fatto scuola anche la Germania) e che crea un asso pigliatutto ma diversificazione per giorni e fasce orarie, proprio come in Inghilterra.

Vi è poi il tema della partita in chiaro. Difficilmente il Parlamento riuscirà a imporla per legge (i tempi stringono), ma nell’ottica della diversificazione potrebbe essere la stessa Infront (che pure non è insensibile ai desiderata della politica) ad inserire un pacchetto ad hoc per una gara collocata alle 18 della domenica (orario, peraltro, di grande successo), con alcuni paletti (tipo l’esclusione dei top team per dare visibilità ai mediopiccoli, come in Spagna).

LE PIATTAFORME.

Una delle difficoltà del momento è quella di individuare quali possano essere i potenziali partecipanti all’asta.

Le vicende aziendali di Mediaset hanno in alcuni momenti fatto addirittura dubitare sull’ipotesi di una reale concorrente a Sky.

Ma i temi su questo sono vari. Ad esempio bisognerà capire come verranno trattati i diritti in relazione alle diverse piattaforme.

E nuovi player, come la tedesca DAZN, potrebbero arrivare sul mercato nazionale.

Infront ha già mostrato grande attenzione a tutti questi temi.

Lo streaming sarà considerato “altro” rispetto al satellite e al digitale terrestre?

Quando sul mercato arrivò Premium fu di fatto così, con l’effetto che oggi i grandi match non sono più di fatto concessi in esclusiva, perchè ad esempio uno Juve-Inter va su due diverse piattaforme.

Ma se l’ottica sarà quella indicata da Fenucci di ri-valorizzare lo stadio, l’arma dell’esclusiva (un solo emittente per un singolo evento) sarà un ulteriore valore aggiunto nella ricerca del massimo introito possibile dalla vendita dei pacchetti.

COSA DIRANNO LE TV?

Posto che le recenti sentenze sul caso Infront hanno chiarito una volta per tutti che non sono ammessi rapporti incestuosi e conflitti di interesse tra chi vende e chi compra, è chiaro che qualcuno uscirà scontento, o quantomeno con posizione di mercato ridimensionata rispetto ad ora.

Il che spesso indica che le cose si sono fatte per bene.

Sky ad esempio potrebbe perdere il diritto a trasmettere tutte le dirette della Serie A.

Ma potrebbe al contempo partecipare all’assegnazione di ghiotti pacchetti di esclusive per il chiaro, in grado di far decollare definitivamente la sua Tv8, già premiata negli ascolti con le dirette di Europa League.

E la stessa Mediaset pur rischiando di perdere molte partite si vedrebbe prioettata in un nuovo rapporto di forza con il competitor Sky (ammesso che lo sia ancora in quel momento) con l’opportunità di mettere le mani anche sul “chiaro” in una gara che vedrebbe in campo anche Rai e Discovery.

Insomma, se Infront presenterà 7-8 pacchetti ben congegnati i ricavi dalla vendita del triennio 2018-2021 potrebbero riservare interessanti sorprese.

Il rischio vero per i tifosi è un altro: nessuno potrebbe a quel punto acquistare tutte le partite di serie A (perchè non verrebbero trasmesse tutte).

Ma qui si realizzerebbe esattamente l’obiettivo massimo che sta nella logica delle parole di Fenucci, ovvero che nessuno possa garantire la visione di tutte le partite di una squadra.

Il diritto a vedere il maggior numero possibile di partite di una singola squadra con una unica sottoscrizione sarebbe riservato ai club attraverso gli abbonamenti.

Il che significherebbe aver riportato i club e i loro stadi al centro del sistema.