In settimana, poche ore dopo che l’amministratore delegato del Milan Ivan Gazidis ha annunciato che a partire dal 5 dicembre non sarà più il numero uno operativo del club rosso nero, Calcio e Finanza per prima ha indicato in Giorgio Furlani quale nuovo possibile ceo della società di via Aldo Rossi. L’ufficialità è poi arrivata nel tardo pomeriggio di ieri.
La nomina del 43enne manager milanese va salutata quale segno di continuità con la strategia del Milan degli ultimi anni (da quando cioè il club è arrivato nelle mani del fondo Elliott): una strategia volta a coniugare un netto miglioramento dei conti in bilancio con una crescita della competitività della squadra in campo italiano e internazionale.
Furlani, infatti, per quanto grande tifoso rossonero, è soprattutto un grande esperto di finanza. Infatti, dopo aver iniziato la carriera in Lehman Brothers è poi approdato a Elliott dove è rimasto 12 anni lavorando a operazioni importanti quali Ansaldo Sts e TIM. In questo quadro ci sono pochi dubbi sul fatto che sotto la sua gestione, che ufficialmente inizierà i primi giorni di dicembre, il club saprà mantenere sotto controllo, se non migliorare ulteriormente, la propria posizione economica.
Nello stesso tempo la nomina di Furlani è una conferma, come questa testata ha sempre segnalato, che la vendita del Milan da parte di Elliott alla Red Bird di Gerald Cardinale sembra più un affiancamento nella gestione del club che una cessione vera e propria. Per quanto, infatti, Furlani si sia dimesso dagli incarichi in Elliott, dove era portfolio manager, per assumere l’incarico di numero uno operativo rossonero, il manager milanese resta pur sempre un uomo di fiducia di Paul e Gordon Singer, i patron del comparto USA, che gli hanno consentito di scalare in breve tempo i gradini della finanza mondiale.
In questo quadro sarà interessante capire in questa ottica di affiancamento quanto Elliott sia legato a RedBird sia per quanto riguarda il noto vendor loan, sia magari in quanto partecipante e investitore nella stessa società di Cardinale a cui il MIlan è stato venduto.
Il Liverpool è in vendita: ecco perché
L’altra notizia che in settimana ha squassato il mondo dello sport business a livello globale è quella per cui il Fenway Sports Group (FSG), il proprietario statunitense del Liverpool, ha messo in vendita la società dei Merseyside, il club considerato non a torto il più glorioso d’Oltremanica visto il palmares che annovera inter alia sei Coppe dei Campioni e 19 titoli nazionali inglesi (anche se con un fan base inferiore a quella dei rivali storici del Manchester United)
I proprietari del Liverpool – in cui, va ricordato, ha una quota anche la Red Bird del proprietario del Milan Gerald Cardinale – hanno fatto trapelare alla stampa britannica che ascolteranno offerte da oltre 3 miliardi di sterline in su (circa 3,5 miliardi di euro) per valutare la cessione del club che milita nella Premier League. Una valutazione che FSG reputa quale base minima da cui partire (il cosiddetto “floor”), ma è evidente che avendolo annunciato pubblicamente l’intento è quello di fare partire un’asta.
In questo quadro sarà interessante se e a quanto il Liverpool passerà di mano. Considerando che il Chelsea è stato venduto a inizio estate per 2,5 miliardi di sterline. Guardando ai bilanci dei due club, i Reds – secondo gli ultimi dati disponibili, relativi alla stagione 2020/21, pesantemente impattata dall’emergenza Coronavirus – hanno chiuso con ricavi per 580 milioni e un rosso ridotto a 5,7 milioni di euro. Numeri decisamente migliori di quelli fatti registrare dai Blues, con un fatturato di circa 500 milioni di euro e un rosso monstre di 172 milioni, che ha fatto seguito all’utile del 2019/20.
Non solo, ma la cifra sarà anche interessante in quanto ci sono altre variabili da considerare, quasi in una situazione incrociata di vantaggi e svantaggi. A favore del Liverpool gioca infatti il blasone e gli assoluti quattro quarti di nobiltà nella storia e nel panorama calcistico mondiale, mentre i Blues sino agli anni novanta del secolo scorso (la situazione è poi migliorata ulteriormente con l’avvento di Roman Abramovic) erano una delle tante squadre di Londra. D’altro lato il Chelsea
può mettere sul piatto il fatto che alcuni degli asset di cui dispongono (uno tra cui lo stadio di Stamford Bride) sono situati in uno dei quartieri dal maggior valore immobiliare -Chelsea appunto- di una delle più care metropoli al mondo. Mentre quelli dei Reds hanno come base una delle città più problematiche e povere del Regno Unito.
Perché FSG vende il Liverpool
Ma al di là di quella che sarà la valutazione, ora è però interessante capire cosa ha spinto il FSG a mettere sul mercato il Liverpool. Il Financial Times nel suo recente ritratto di statunitense John Henry, l’uomo d’affari statunitense che è il maggior azionista di FSG con il 40% delle azioni, lo descrive quale un manager che nonostante la passione che circonda il club mai si è lasciato trasportare dall’entusiasmo che a Liverpool sa essere trascinante e che soprattutto “sa quando vendere” e uscire al momento giusto da un investimento.
Il FSG, infatti, comprò il Liverpool 12 anni fa per 300 milioni di sterline e ora, viste le cifre delle quali si vocifera, potrebbe ottenere una plusvalenza monstre. Ma, soprattutto, spiega il quotidiano della City, “sembra voler uscire dal calcio europeo mentre ne è ancora al vertice”. Quasi a sottintendere che il recente periodo d’oro dei Reds possa essere destinato a scomparire nel prossimo futuro.
La stampa britannica in particolare fa trapelare infatti che la possibilità di incassare una lauta plusvalenza dall’investimento non sia l’unico motivo dietro la decisione di Henry. Citando le parole dell’allenatore dei Reds Juergen Klopp di inizio novembre – “ci sono tre club nel mondo del calcio che possono fare ciò che vogliono a livello finanziario” con chiaro riferimento alle tre società posseduta da entità del Golfo Persico: Manchester City, Newcastle United and Paris Saint-Germain – gli osservatori inglesi hanno fatto notare come il timore che regna non solo nei piani di Henry ma anche di molti proprietari occidentali (per lo più statunitensi) di squadre della Premier League è che l’equazione società vincenti e insieme con ottimi risultati di bilancio che è stato il paradigma di alcuni club del campionato inglese di questi anni sia fortemente in pericolo.
Anche perché il tramonto della Superlega (Henry inizialmente aveva aderito al progetto salvo poi fare marcia indietro come tutti gli altri club inglesi coinvolti) ha fatto scomparire l’idea dei posti assegnati per diritto al massimo torneo europeo. E con il fatto che la Premier League (che ha a disposizione quattro posti per quella macchina da soldi che è la Champions League) è sempre più competitiva – ormai alle storiche big six (Arsenal, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Chelsea e Tottenham Hotspur) va aggiunto a pieno titolo anche il Newcastle saudita- per le squadre inglesi ottenere la certezza di un posto stabile nel più importante e remunerativo torneo europeo è sempre più difficile e nessun club ha la garanzia di restare al vertice.
In questo quadro gli sport nordamericani – caratterizzati dal numero chiuso- sembrano un investimento più semplice e meno rischioso. E non a caso lo stesso Henry non più tardi dell’anno scorso ha acquistato una quota dei Pittsburgh Penguins di hockey su ghiaccio e starebbe valutando l’acquisto di una franchigia di basket del campionato NBA.
E probabilmente non è nemmeno un caso che per varie vicissitudini negli sport nordamericani si registra un grande numero di franchigie in vendita, quasi che chi voglia realizzare degli investimenti sia fiutando l’ottimo momento per uscire.
In particolare, secondo il magazine Sportico sono sul mercato:
- i Washington Commanders di football americano (NFL) valutati 4,78 miliardi di dollari,
- i Los Angeles Angels di baseball (MLB) valutati 2,5 miliardi di dollari,
- i Washington Nationals di baseball (MLB) valutati 2,23 miliardi di dollari
- i Phoenix Suns di basket (NBA) valutati 1,92 miliardi di dollari
- e i canadesi Ottawa Senators di hockey su ghiaccio (NHL) valutati 655 milioni di dollari
L’impatto di queste dinamiche sulla Serie A
E’ evidente che di queste dinamiche bisogna tenere conto anche per quanto riguardo i club italiani che stanno cercando o valutando la vendita o l’ingresso dei nuovi soci, Anche perché il campionato di Serie A sta dimostrando (Napoli a parte) che come in Inghilterra nessun club può dirsi relativamente sicuro di partecipare alla prossima Champions League.
E per quanto riguarda i club che si stanno guardando intorno il caso più di attualità è quello dell’Inter.
Il presidente nerazzurro Steven Zhang, durante l’ultima assemblea degli azionisti, ha assicurato sull’intenzione del gruppo Suning di restare a lungo nel club milanese. E questo malgrado le notizie non confortanti che arrivano dalla Cina sullo stato di salute del gruppo al quale l’Inter appartiene e malgrado gli advisor Goldman Sachs e Raine Group si siano attivati sul dossier.
In questa stessa rubrica però Calcio e Finanza aveva spiegato di avere avuto una indiscrezione secondo la quale una grossa offerta era arrivata al club nerazzurro da un gigante straniero per il 100% del capitale sociale e che i possibili acquirenti non vorrebbero soci di minoranza significativi e quindi gli Zhang dovrebbero uscire totalmente. Non solo, ma nello stesso giorno dalle dichiarazioni di Zhang all’assemblea dei soci l’agenzia Reuters aveva scritto che due offerte per la società milanese erano arrivate degli Stati Uniti.
Al di là delle dichiarazioni di facciata quel che è certo che nel 2024 Suning dovrà ripagare un prestito da 292 milioni (con interessi PIK al 12%) al fondo statunitense Oaktree, soldi che gli Zhang hanno richiesto per la necessità di immettere liquidità nell’Inter (che dopo il -245 milioni nel bilancio 2021, nel 2022 ha chiuso l’esercizio con una perdita di 140 milioni). Se Suning, che sinora ha investito oltre 600 milioni nel club nerazzurro, non lo ripagasse, rischierebbe di perdere la società a zero con l’Inter che passerebbe nelle mani del fondo USA.
In sostanza, se Suning non riuscisse a ripagare il finanziamento garantito da Oaktree, nelle mani del fondo californiano finirebbe il 68,55% dell’Inter in mano alla famiglia Zhang, ma anche il restante 31,05%: Oaktree avrebbe, così, il 99,6% delle azioni del club nerazzurro e sarebbe proprietaria del club.
Secondo le indiscrezioni delle settimane scorse la famiglia Zhang valuterebbe l’Inter circa 1,2 miliardi (che comunque non consentirebbe alla dinastia cinese di uscire con una plusvalenza, visti i debiti) e però non sarebbe molto propensa a lasciare del tutto l’azionariato del club. La sensazione, al momento, che, viste anche le dinamiche internazionali di cui sopra, probabilmente queste non condizioni non hanno trovato riscontro sul mercato. Tanto che Il Sole 24 Ore ha parlato di un piano B che comporterebbe un rifinanziamento del bond con Oaktree.
Quel che è certo e che come è emerso dal bilancio l’Inter in virtù della sua esposizione debitoria ha accumulato nel 2021/22 oltre 40 milioni di interessi. Una cifra che per esempio da sola può significare l’acquisto di due o tre buoni giocatori in sede di calcio mercato.
E l’interrogativo è: può l’Inter continuare ogni stagione a partire con un siffatto handicap finanziario nei confronti delle sue avversarie italiane ed europee?