Le big di Serie A attente ai bilanci: risparmiati 350 milioni con il mercato. Ma per tutte restano nodi irrisolti

Si è chiusa ufficialmente la sessione estiva del calciomercato 2023/24: un’estate all’insegna del risparmio per la Serie A, anche se restano alcune problematiche per i top club italiani.

Derby Inter Milan 2023-2024
FOOTBALL AFFAIRS
Tijjani Reijnders e Nicolò Barella (Andrea Staccioli / Insidefoto)

La sessione estiva del calciomercato 2023/24 è terminata all’insegna del risparmio e all’attenzione ai bilanci da parte della squadre della Serie A. Calcio e Finanza ha analizzato in termini economici la campagna trasferimenti delle sei società con maggiori capacità di spesa – Inter, Milan, Juventus, Napoli, Lazio e Roma – ed è emerso che:

  • in meri termini di saldo tra entrate ed uscite per l’acquisto di cartellini vi sono state squadre che hanno chiuso la sessione in negativo – nella fattispecie Napoli e soprattutto Milan – per un totale aggregato delle sei big positivo per 35,6 milioni. Nel dettaglio:

 

  • invece se si considera con una lettura un po’ più approfondita l’impatto sul bilancio 2023/24 di tutte queste operazioni, contabilizzando ammortamenti, stipendi lordi e costo dei prestiti, al netto di plusvalenze, ricavi da prestiti e risparmio di ingaggi e ammortamenti si nota come tutte le sei big, anche le più “spendaccione” possano vantare saldi postivi per un totale monstre pari a quasi 350 milioni di impatto positivo sui conti della stagione 2023/24. Nello specifico:

 

Numeri che testimoniano di come ormai l’attenzione ai costi sia diventata prerogativa di tutti i club, anche di quelli che concorrono per il titolo, considerando anche le nuove regole del Fair Play Finanziario della UEFA. E che per la maggior parte di queste società il grosso del risparmio giunga non tanto dalla differenza tra acquisti e cessioni quanto dal risparmio su salari. E questo è un segno evidente di come nel calcio italiano ci sia ancora molto margine sul quale lavorare e da tagliare, soprattutto per quanto riguarda il livello dei salari che molti club hanno concesso ai propri giocatori negli anni passati. Un livello invece che ora invece non sono più disposti a garantire, soprattutto per calciatori magari di secondo piano.

Ora però la palla passerà al campo e a quello spetterà la parola per giudicare quale dirigenza abbia trovato i compromessi migliori tra esigenze economiche e competitività sportiva.

INTER, IL CASO LUKAKU E I DUBBI SULL’ATTACCO

La più risparmiosa è stata, come è evidenziato in tabella, l’Inter che secondo le nostre stime dalla campagna trasferimenti appena terminata otterrà un impatto positivo per quasi 105 milioni sul bilancio 2023/24. Ovvero oltre un terzo di quanto risparmiato dalle sei big a livello aggregato. Secondo i bookmakers Simone Inzaghi e i suoi sono inoltre tra i favoriti per il titolo e questo la dice lunga sui meriti dell’amministratore delegato nerazzurro Giuseppe Marotta e del suo staff.

Una volta riconosciuti questo grande lavoro (soprattutto nell’ottica di una società che a livello economico non sta benissimo), tuttavia non si può nascondere come il mercato interista, dopo una partenza sprint nella quale la società ha bruciato la concorrenza sia su Frattesi che su Thuram, si sia poi incartata sull’affaire Lukaku. Ora al di la del comportamento quantomeno discutibile del centravanti belga (secondo tutti gli organi di informazione si era promesso con mille parole ai nerazzurri salvo poi trattare sottobanco con altri club inclusi i rivali storici Juventus e Milan), non può passare certo inosservato come qualcosa non abbia funzionato nei “sistemi di sicurezza aziendali interni” del club.

Infatti se è vero che (come riportato da numerosi organi di stampa, Lukaku stava trattando quantomeno con la Juventus da marzo) è lecito chiedersi come sia stato possibile che nessuno – dai dirigenti in primo luogo, passando poi per allo staff tecnico che lavora ad Appiano Gentile sino ai compagni di squadra – si sia mai accorto che l’attaccante stava trattando con altri.

Il centravanti belga, pur essendo persona non stupida e parlando svariate lingue, non ha un background di un attore consumato o di un agente di polizia sottocopertura per non lasciarsi scappare il minimo indizio. Eppure niente, all’Inter tutto è andato avanti nella certezza assoluta che Lukaku non vedesse solo che i colori nerazzurri salvo poi scoprire amaramente che la realtà era ben diversa. Non solo, ma la fiducia in Lukaku (o la malriposta sicumera a seconda dei punti di vista) era talmente elevata che la dirigenza si è liberata a cuor leggero di un centravanti dal sicuro rendimento, per quanto non giovanissimo, quale Dzeko proprio perché erano sicuri di avere il belga tra i loro ranghi ai nastri di partenza del nuovo campionato.

Non a caso voci di corridoio interne sostengono che sarebbe stato sufficiente un minimo campanello di allarme per trattenere il bosniaco a Milano nell’intento di dare sicurezza a un reparto che ha visto arrivare, oltre a Thuram (ma il francese era previsto anche in caso di permanenza di Lukaku), Marko Arnautovic quale soluzione di ripiego, per usare le parole dello stesso Marotta ai microfoni di Radio Serie A.

Non sorprende quindi che tutti gli osservatori reputino l’attacco, al di la del fatto che le squadre di Inzaghi abbiano sempre segnato parecchio, uno dei possibili punti deboli dei nerazzurri nella corsa al titolo. Sommer infatti viene considerato un buon sostituto di Onana, la difesa è stata puntellata con l’arrivo di Pavard (come erede di Skriniar) e il centrocampo resta, nonostante l’addio a Brozovic, probabilmente quello che garantisce le maggiori sicurezze. Invece è tutto da vedere se Arnautovic riuscirà a non far rimpiangere Lukaku.

MILAN TRA L’ADDIO DI TONALI E QUELLO DI MALDINI

Sulla sponda opposta del Naviglio, il Milan è la società che si è mossa con il maggiore anticipo. Il patron Gerald “Gerry” Cardinale e l’amministratore delegato Giorgio Furlani erano da tempo entrati in rotta di collisione con l’ex direttore tecnico Paolo Maldini nel corso della scorsa stagione e avevano già deciso di licenziare l’ex capitano dal suo incarico subito dopo la sparata televisiva di quest’ultimo nell’immediato post partita del ritorno del derby di Champions League contro l’Inter. Sparata nella quale l’ex giocatore aveva manifestato puntualizzazioni molto critiche verso allenatore e società.

Nelle settimane successive tutto è stato messo sotto il tappeto per l’imperativo categorico di centrare la qualificazione in Champions, ma la decisione era già stata presa. Non a caso non appena ottenuto ufficialmente il lasciapassare per la massima competizione continentale (grazie alla penalizzazione della Juventus) non sono passati che pochi giorni per dare il benservito alla ex gloria rossonera e della Nazionale.

Il Milan ha poi anticipato tutti anche per quanto concerne le operazioni in entrata incassando una cifra monstre per il sacrificio di Sandro Tonali, investendo però molto di più in entrata. Non a caso il saldo tra acquisti e cessioni per i rossoneri è stato di gran lunga il peggiore tra le big, negativo per 42 milioni. Quindi non si può dire che Cardinale non sia stato di parola con i tifosi.

Questo non significa però che l’impatto a bilancio di questa sessione del mercato sarà anch’essa negativa. Tramite gli ammortamenti e il taglio sui salari il club di via Aldo Rossi dovrebbe esser riuscita ad ottenere un impatto positivo di circa 50 milioni dai trasferimenti. In questo quadro se il Milan nonostante il girone di ferro nel quale è stato sorteggiato in Champions League riuscirà ad avere un percorso europeo tra il discreto e il buono non è escluso che anche nella stagione 2023/24 i rossoneri possano chiudere il bilancio in utile, dopo il profitto registrato nel 2022/23 per circa 15 milioni secondo le stime di Calcio e Finanza.

La squadra di Pioli per il momento non sembra patire due incognite che numerosi addetti ai lavori paventavano: ovvero una eventuale assenza di amalgama e il numero esiguo di giocatori italiani nella rosa. Quest’ultimo elemento sia chiaro non certo per una questione “politica” o esterofoba, ma per così dire tecnico/caratteriale. È opinione comune tra gli osservatori infatti che i giocatori della nazionalità del campionato in cui militano (spagnoli, in Spagna, tedeschi in Germania, italiani in Italia), nei momenti difficili siano quelli più determinati nel fare in modo che le cose non precipitino. Vuoi perché sono immersi totalmente nella realtà del Paese oppure perché nel post carriera la stragrande maggioranza di questi giocatori italiani continueranno a vivere nel Paese nel quale lavorano, molto addetti ai lavori sono convinti che avere un nucleo autoctono conti parecchio nello svolgimento della stagione. Sottintendendo che in svariati casi il nucleo autoctono è quello che molla per ultimo quando le cose vanno male. Al contrario i giocatori non nazionali alle prime difficoltà potrebbero intendere il passaggio in Italia come un interludio transitorio della loro carriera professionale.

Ovviamente solo il campo emetterà il verdetto su questi temi così come sentenzierà su una terza possibile incognita che riguarda più specificamente l’uscita di Maldini. I direttori sportivi spesso sostengono che il loro lavoro è composto da almeno due sessioni ben distinte: il mercato e la gestione durante la stagione. Ora se pochi avevano dubbi sulle capacità di Goeffrey Moncada di gestire il mercato (non a caso il francese è stato uno degli scopritori tra gli altri di un certo Kylian Mbappé), occorrerà invece vedere come il neo capo dell’area sportiva del Milan ora gestirà la stagione una volta conclusa la campagna trasferimenti. «Perché un conto è se in un momento non facile scende sul campo di Milanello il monumento Paolo Maldini, con tutto il suo allure di leggenda del calcio globale, a spiegare ai giocatori certe cose e come si esce da situazioni complicate, un conto invece se a entrare nella testa dei giocatori deve essere un giovane direttore sportivo, per quanto bravissimo nella sessione di mercato. E in questo senso bisognerà anche vedere le capacità di Pioli e Furlani nella gestione», ha spiegato un direttore sportivo di Serie A alla nostra testata.

JUVE, MERCATO BLOCCATO E IL TEMA AUMENTO DI CAPITALE

La Juventus è stata, prima dell’inserimento della Roma, l’altra protagonista dell’affaire Lukaku. Qualcuno sostiene che le avances di Allegri a marzo abbiano ottenuto quantomeno l’obiettivo di non permettere all’Inter di assicurarsi Lukaku rovinando i piani nerazzurri. Questo potrà essere vero, però visto come è andata vi è da porsi l’interrogativo: la Roma non è una rivale della Juventus? Quantomeno in ottica qualificazione Champions League lo è eccome, nonostante l’avvio pessimo dei giallorossi.

Quel che è certo è che rovinare i piani interisti non era l’obiettivo principale della dirigenza bianconera che nello scambio LukakuVlahovic voleva invece prendere due piccioni con un fava: garantirsi un centravanti, Lukaku, che nell’immediato e nel campionato italiano è una sicurezza (pur privandosi di un potenziale crack giovane per il futuro) e nello stesso tempo avere un enorme ritorno economico. Se lo scambio fosse stato realizzato secondi i desiderata bianconero infatti la Juventus avrebbe avuto un impatto a bilancio positivo di oltre 20 milioni.

Questa rubrica aveva per prima messo in evidenza che la Juventus di qui a poco più di un anno potrebbe avere necessità di un ulteriore aumento di capitale. Sebbene il socio di maggioranza Exor non lo abbia mai paventato, i conti bianconeri, già non belli, presto si appesantiranno ufficialmente della perdita pesante legata al bilancio 2022/23 (150 milioni secondo le stime di Calcio e Finanza) e delle conseguenze della prossima stagione senza gli incassi delle coppe. Pertanto lo spazio di manovra sarà ulteriormente esiguo e per questo l’obiettivo dello scambio Luklaku-Vlahovic era più economico che tecnico.

Il punto è però che sull’altare di quell’operazione col Chelsea, non finalizzata, il mercato bianconero è risultato nei fatti ingessato. Cosa che non significa che la Juventus non sia competitiva. Al di là della partenza di Angel Di Maria (molto pesante tecnicamente), va riconosciuto infatti che Allegri (se si esclude la quasi ingiustificabile eliminazione in Champions League) con questa rosa l’anno scorso ha portato la Juventus alla qualificazione per la massima competizione europea sul campo. Il tutto in una annata che per le note vicissitudini è stata tra le più complicate dell’intera storia bianconera.

In questo quadro il nuovo direttore sportivo Cristiano Giuntoli ha operato scelte al risparmio non senza sacrifici, sia di prospettiva (a molti tifosi non è piaciuto né l’ addio a Rovella né quello a Pellegrini) sia di una sorta di mancanza di gratitudine (Bonucci). Giuntoli ha ridotto la rosa in maniera notevole (da oltre 40 giocatori si è passati a circa 30 sotto contratto) e quello che più conta ha ottenuto un saldo positivo per 31,4 milioni nella differenza tra acquisti e cessioni, che sale a 83 milioni considerando invece l’impatto a bilancio generale. Un cambio di tendenza vigoroso rispetto alle ultime stagioni. Cosa che in primo luogo evidenzia ancora di più l’importanza che avrebbe avuto lo scambio Lukaku-Vlahovic nel rendiconto juventino se si fosse finalizzata l’operazione. E che in seconda istanza indica che la strada del risparmio, vista l’annata senza coppe, proseguirà anche nelle prossime stagioni.

L’interrogativo però resta se questi risparmi, necessari visti i conti bianconeri, saranno sufficienti a spazzare via le nubi di ipotesi di un nuovo aumento di capitale per la società. Per il momento non sembrano sufficienti, considerando la stagione senza incassi europei che vivrà la Vecchia Signora. E probabilmente questo spettro non sarebbe stato eliminato neppure fosse andato in porto lo scambio Lukaku-Vlahovic.

NAPOLI, L’ADDIO A KIM E IL RISCHIO PANCIA PIENA

Per quanto concerne i campioni d’Italia del Napoli, Aurelio De Laurentiis come sempre ha dimostrato di sapere fare bene i conti e se il saldo tra acquisti e cessioni è negativo per circa 7 milioni mentre l’impatto a bilancio è invece positivo per oltre 53 milioni. La squadra è praticamente quella che ha schiantato tutti nel campionato scorso ad eccezione del difensore Kim Min-jae e di Luciano Spalletti, ora rimpiazzato da Rudi Garcia. Però i partenopei con Oshimen sono, insieme alla Roma (se Lukaku non avrà i problemi fisici dello scorso anno) e forse l’Inter (Lautaro Martinez anche se l’argentino è più una seconda punta), i soli ad avere in rosa un attaccante che garantisce da solo almeno 20 gol a stagione. E questo non è un vantaggio da poco.

Per quanto riguarda la guida tecnica va notato inoltre che, per quanto sia sempre difficile mettere a paragone annate diverse, la media punti di Garcia in Serie A (alla Roma) è tutt’altro da disprezzare. Nellse sue stagioni in giallorosso il transalpino ha ottenuto una media di 2 punti a partita, mentre quella di Spalletti lo scorso anno per esempio fu di 2,37 punti a partita.

Un’incognita per i partenopei potrebbe essere l’appagamento. Avere vinto uno scudetto a oltre 30 anni da precedente potrebbe avere lasciato una sorta di pancia piena nell’ambiente e nella società che però senza nessun dubbio si presenta ai nastri di partenza quali una delle grandi favorite nel torneo grazie soprattutto alla forza del proprio centrattacco nigeriano.

LAZIO E ROMA TRA ACQUISTI E LUKAKU

Passando nella Capitale, la Lazio, che come il Napoli che ha avuto una politica dei salari oculata, ha registrato pure lei un impatto a bilancio positivo (per oltre 38 milioni) pur in presenza di saldo tra acquisti e cessioni negativo legato soprattutto all’arrivo di Guendonzi. Confermando praticamente che pur nelle società in cui una politica di salari non eccessivi è pratica ormai in uso da numerose stagioni la possibilità di tagliare il grasso in eccesso è sempre possibile. Se Sarri e i suoi riusciranno ad andare bene in Europa (il girone in Champions League non è impossibile) allora non solo i tifosi ma anche il presidente Claudio Lotito e il bilancio biancoceleste potrà trarne grande giovamento.

La Roma invece ha probabilmente fatto il colpo dell’estate assicurandosi Lukaku in prestito oneroso per circa 6 milioni. Praticamente meno di quanto sarebbe costato all’Inter se il belga non avesse volato le spalle ai nerazzurri e molto meno anche di quanto si sussurrava sarebbe stato pagato dalla Juventus. Un colpo last minute e realizzato tramite un blitz opportunistico (un ripiego per il belga secondo i maligni) sullo stile di quanto fatto per Dybala, che però rende la Roma tra le squadre più attrezzate in attacco. Il tandem Lukaku-Dybala, se entrambi dovessero stare bene, impone infatti a Josè Mourinho quantomeno di ottenere la qualificazione in Champions League, nonostante l’avvio non sia stato certo eccellente.

In questo quadro, non sorprende che l’impatto a bilancio dei giallorossi sia quello meno positivo tra le big (circa 18 milioni) mentre il solo saldo tra acquisti e cessioni è molto più elevato (+32,5 milioni). L’affare Lukaku d’altronde appesantisce non poco il primo indicatore. Questo detto, sono comunque numeri che testimoniano una volta ancora l’impegno dei Friedkin nella società giallorossa. Non a caso i texani hanno investito oltre 800 milioni nel club da quando ne sono diventati proprietari nel 2020.

Ora però al di la dell’impegno dei Friedkin, senza il quale va detto nulla sarebbe stato possibile, tutto questo però non può prescindere da una questione: se è evidente che l’operazione Lukaku sia stata una opportunità favorevole emersa nel mercato e della quale la Roma è stata brava ad approfittare (così come lo fu per Dybala), però è altrettanto palese che, piaccia o non piaccia il personaggio o il suo atteggiamento oppure che il suo gioco non incanti i palati più raffinati, non sarebbe intellettualmente onesto non riconoscere i meriti di Josè Mourinho nell’attrarre a Roma giocatori così importanti.

Lavorare con il portoghese ha ancora parecchio fascino per svariati giocatori e la presenza del lusitano è un asset tanto importante per la società capitolina che quasi va oltre il suo lavoro sul campo. Lavoro che comunque parla di due finali europee raggiunte in due stagioni, delle quali una vinta e una persa soltanto ai rigori. Non di Champions League certo, però pur sempre finali europee.