L’appuntamento è fissato per lunedì 13 nelle consuete stanze di via Rosellini a Milano, sede della Lega Serie A. Sarà in quella occasione che i 20 club del massimo campionato italiano inizieranno ufficialmente i lavori per definire il futuro prossimo della Lega. In particolare le squadre saranno chiamate, nel corso dell’assemblea, a esprimere un loro giudizio sul possibile ingresso di società di private equity o banche pronte a investire sul settore dei media e dei diritti TV della Serie A.
L’agenzia Reuters, in settimana, ha riportato che ai club è stato consegnato un documento che elenca banche e fondi che si sono avvicinati alla Serie A negli ultimi mesi spiegando che, dopo incontri con tutti i potenziali partner, sono state avanzate tre diverse tipologie di offerte di finanziamento:
- la prima opzione è una linea di credito “a livello di campionato”, ovverosia un finanziamento da garantire alla Lega che poi verrebbe distribuito tra i vari club;
• la seconda riguarda invece un investimento che comporterebbe l’ingresso del fondo all’interno del capitale della media company della Serie A, come inizialmente era previsto nell’operazione con CVC del 2020 (nei piani iniziali era previsto che CVC acquistasse il 10% della media company per 1,2 miliardi, progetto poi naufragato);
• la terza opzione infine combinerebbe capitale e debito, con un contributo a livello di capitale tuttavia inferiore perché la media company in cui entrerebbe il fondo avrebbe in mano soltanto la gestione dei diritti tv e commerciali a livello internazionale;
Va notato che la strada dei fondi è già stata discussa in Serie A tra il 2020 e il 2021, come in Bundesliga, mentre è già stata adottata invece da Liga spagnola e Ligue 1 francese. Anzi a dire il vero la Serie A, al tempo guidata dal presidente Paolo Dal Pino, fu la prima a pensare di poter varare questo tipo di progetto: la lunga trattativa con la cordata guidata da CVC iniziò nel 2020 e si protrasse fino al marzo 2021, quando quando sette società – Juventus, Inter, Atalanta, Fiorentina, Lazio, Napoli ed Hellas Verona -, le principali oppositrici del progetto (alcune anche alla luce dell’interesse sul fronte Superlega), decisero di inviare una lettera alla Lega per chiedere lo stop definitivo all’operazione con CVC e guardare con maggior premura ai diritti tv. Cosa che avvenne, con l’assegnazione dei diritti tv a DAZN per una cifra più alta delle aspettative.
La proposta di CVC prevedeva di rilevare il 10% della media company per una cifra intorno a 1,7 miliardi di euro, cifra che sarebbe stata variabile a seconda dell’entità del contributo dei fondi al minimo garantito di 1.080 milioni di ricavi annui assicurato per il primo triennio. A partire dalla stagione 2024/25, il consorzio avrebbe incassato un bonus performance pari al 10% della differenza tra i proventi per i club nell’anno in corso e l’ammontare percepito nel 2019/20, fino a un massimo di 40-45 milioni. Quanto alla governance, era previsto che il consorzio nominasse sei componenti su tredici del CdA della Media Company e l’amministratore delegato, con scelta del presidente demandata ai club, ma in un quadro di decisioni condivise. Al centro inoltre c’era anche il tema infrastrutturale: una parte del capitale investito sarebbe stata destinata all’obiettivo di spingere club e amministrazione a realizzare o rinnovare gli impianti. Cosa, quest’ultima, che poi è avvenuta ad esempio nell’operazione tra CVC e la Liga
DA GOLDMAN SACHS A BARCLAYS, ECCO CHI VUOLE INVESTIRE NELLA SERIE A
Non meno interessanti sono i nomi eccellenti della finanza mondiale che si sono avvicinati al dossier Serie A: Citi, Goldman Sachs, JPMorgan e Barclays sono i finanziatori elencati nel documento, che cita anche le società di private equity Apollo, Apax, Carlyle, Three Hills Capital Partners e Searchlight. Mentre Deutsche Bank, inizialmente indicata tra le banche interessate ad investire in Serie A, ha lasciato la corsa in quanto coinvolta in un processo simile nella Bundesliga tedesca. In questo quadro qualora i club decidessero di andare avanti con la questione dei fondi, la Lega assumerebbe un consulente esterno per portare avanti dei colloqui con i vari soggetti interessati, sollecitando tutte le principali istituzioni finanziarie a presentare la loro migliore proposta.
Come si spiegava la Serie A fu la prima a pensare a questo tipo di proposta. Poi la iniziale opposizione di presidenti quali De Laurentiis e Lotito, convinti che si stessero vendendo i gioielli di famiglia, venne rafforzata da Inter, Juventus e Milan, inizialmente a favore all’ingresso dei fondi, quando venne concretizzata l’offerta di DAZN (che all’epoca però aveva l’asse con TIM) e perché in lontananza le Big3 erano allettate dai soldi del progetto Superlega cui segretamente stavano lavorando.
E ora? A tre anni di stanza qual è la situazione sulla questione fondi? In termini tecnico ora si attende l’approvazione delle linee guida da parte di AgCom e Antitrust per poi fare il bando sui cinque anni dal 2024. Tuttavia da quanto trapela, si attendono offerte inferiori a quelle del triennio in corso, pari a 927,5 milioni in media l’anno (840 milioni da DAZN e 87,5 da Sky). DAZN non ha più Tim alle spalle, Sky ha dimostrato di poter sopravvivere anche senza tutte le partite di Serie A e altri player (Amazon/Mediaset) non hanno dimostrato particolare interesse. In più, Sky e Amazon hanno già investito fortemente sui diritti tv della Champions.
In questo quadro in un mercato nazionale già saturo, sembra quasi impossibile l’arrivo di offerte al rialzo e quindi la partita sui diritti tv potrebbe giocarsi all’estero, dove la Serie A incassa un decimo degli omologhi ricavi della Premier e circa un quarto della Liga: attualmente la Lega incassa intorno ai 200 milioni di euro contro i 2,1 miliardi degli inglesi e gli 800 della Spagna. Detto questo l’immagine dell’Italia all’estero non è granché, la questione stadi nel suo complesso e il caso Juventus ad esempio non hanno certo giovato al nostro movimento oltre i confini, e quindi il lavoro per cercare di colmare questo gap non sarà semplice.
DA CARDINALE A DE LAURENTIIS, LE POSIZIONI DEI CLUB SUI FONDI
Entrando invece nello specifico dei desiderata dei singoli club sulla questione fondi, va detto che a giudicare dalle prima prese di posizione permangono forti dubbi in seno alle varie società, espressi soprattutto da parte di alcune big. Il proprietario del fondo RedBird che detiene il controllo del Milan, Gerry Cardinale ha dichiarato al recente summit organizzato dal Financial Times: «Gli investimenti dei fondi di private equity nella Lega Serie A? Non sono un sostenitore, non vedo perché ipotecare il futuro. Se ci sarà una discussione, diremo che possiamo farlo da noi, che siamo autosufficienti. Ci sono tante cose su cui possiamo incidere. Abbiamo tanto da fare, ma non dobbiamo guardare fuori dal nostro ecosistema per essere efficienti, per quanto mi riguarda non accadrà mai». A questa voce si èsono poi aggiunta anche quella del presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis e del patron del Torino, Urbano Cairo, tre anni fa invece favorevole al’opzione CVC.
A tutto questo si aggiunga il fatto che il patron della Lazio Claudio Lotito ha sempre visto non di buon occhio (per usare un eufemismo) l’entrata dei fiondi nella stanza dei bottoni della Serie A. E se il numero uno biancoceleste era già potente in Lega Serie A prima di diventare senatore con le ultime elezioni politiche, ora lo è ancora di più visto che a fine del 2022 grazie al suo intervento il governo ha varato. E di questa misura, eccezion fatta per Cremonese e Fiorentina (come svelato nelle scorse settimane da questa testata), hanno beneficiato tutti i club della massima serie, tra cui soprattutto Inter e la stessa Lazio.
In questo quadro sarà inoltre interessante capire la posizione della Juventus e del suo nuovo chief football officer Francesco Calvo. Il tutto rammentando come proprio questa rubrica, nell’appuntamento di qualche settimana orsono, aveva sottolineato come nei piani di Exor (la holding della famiglia Agnelli-Elkann che controlla la Juventus) la nuova gestione del club targata Maurizio Scanavino e Francesco Calvo dovrebbe anche iniziare ad avere un maggior dialogo con le istituzioni italiane, calcistiche e non solo. In quest’ottica è difficile pensare che la Juventus al momento possa prendere una posizione di rottura, ma piuttosto sarà una posizione di dialogo e di comprensione del problema.
SERIE A, LO SCONTRO DE SIERVO-CASINI E IL TEMA GOVERNANCE
Venendo invece al cuore del problema in linea teorica ha molto senso la posizione dei proprietari dei club contrari a cedere quote azionarie ai fondi della nuova media company della Lega: perché, spiegano, dovremmo appaltare a un soggetto terzo il diritto di commercializzare la Serie A quando lo possiamo fare direttamente noi incassando l’intero margine. Al limite, se c’è bisogno di cassa, si opti per un mero finanziamento (tra l’altro compreso tra le opzioni elencate in precedenza) ma non si vada verso la cessione di qualche leva di comando.
In pratica però la storia insegna che la Lega Serie A, anche per la questione del voto capitario (pertanto ogni club vale un voto, con ogni anno la modifica della composizione dei venti votanti alla luce di retrocessioni e promozioni) e dove le decisioni devono essere prese tramite un quorum legato alla maggioranza dei due terzi (quindi servono 14 voti a favore), si è spesso contraddistinta per la sua litigiosità interna e per un forte incapacità di decidere. Insomma se è vero che la teoria spinge per non fare entrare i fondi, la pratica è molto più variegata. Altrimenti perché in Spagna e Francia quest’ultima mossa è già stata presa? E in ultima istanza l’interrogativo è: i presidenti sono pronti a gestire la Lega Serie A in maniera moderna, oppure il rischio è che come tre anni fa è di rimanere in mezzo al guado, non scegliere e ritrovarsi tra altri tre anni con la stessa situazione di adesso ma con il tempo che è passato? In Spagna, per esempio i mezzi freschi entrati dai fondi sono riusciti a calmierare la situazione finanziaria generale e ad aiutare alcuni club a fare fronte alle proprie necessità sviluppando anche i progetti infrastrutturali.
Non certo da ultimo, c’è un tema di governance legato a questa scelta. E non è un caso se proprio in questi giorni sia scoppiato un alterco notevole tra l’amministratore delegato Luigi De Siervo e il presidente di Lega Casini (sponsorizzato soprattutto da Lotito), litigio che poi è rientrato grazie alla sapiente opera di mediazione soprattutto dell’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta.
Non si è trattato infatti soltanto di un attrito personale, ma di un nodo irrisolto che ha una base strutturale. In termini teorici infatti Casini è il presidente e quindi in teoria dovrebbe rappresentare la Lega nelle istituzioni, ma nei fatti è anche espressione di una fazione di alcuni club, soprattutto quelli legati a Lotito. A De Siervo, in quanto amministratore delegato, spetterebbero i compiti operativi ed proprio qui che l’ad ha lamentato una invasione di campo da parte di Casini. Si tratta di una tensione che da sempre ha contraddistinto chi occupa la poltrona di presidente e quella di amministratore delegato ma che nei giorni scorso è sfociata in un litigio durissimo via mail, prima appunto che Marotta (e anche Lotito) mettesse una pezza.
Secondo quanto pubblicato dalla testata Tag.43 diretta da Paolo Madron, tutti i consiglieri della Lega hanno infatti potuto leggere la relazione dell’Organismo di Vigilanza, in merito alla vicenda che è scaturita dopo l’intervista del 15 febbraio di De Siervo a La Repubblica in merito al tema pirateria, a cui era seguito uno scambio di lettere e accuse tra l’ad e gli operatori di telefonia (Asstel). Questa relazione era stata voluta dal presidente Casini dopo che aveva ricevuto in copia, per un errore di invio da parte di De Siervo, una email del 23 febbraio indirizzata all’avvocato personale dello stesso De Siervo, a cui veniva richiesto di preparare una lettera in risposta alla nota di rimbrotto inviatagli da Casini in relazione all’intervista. Nella email, allegata alla relazione dell’Organismo di Vigilanza, De Siervo ha chiesto al suo avvocato, Giacomo Bai, di studiare bene la situazione perché «lo voglio sfondare!». Ma soprattutto, ed è qui il nodo strutturale, nella successiva risposta del 5 marzo, De Siervo ha accusato Casini di «violare spudoratamente lo statuto della Lega per entrare nella gestione operativa» che è di competenza dell’amministratore delegato.
Ora i mandati di De Siervo e Casini scadono rispettivamente nel 2024 (per entrambi gli incarichi la nomina spetta ai club e hanno durata legata al cosiddetto quadriennio olimpico come tutte le associazioni sportive italiane) e quindi sarà interessante vedere come usciranno dalla guerra che si accinge ad iniziare sul tema fondi e diritti televisivi la Lega Serie A e i suoi principali profili manageriali.