Nuova Champions, guerra sottotraccia tra UEFA e club

Il sorteggio dei gironi di Champions League – alla portata per il Milan e per la Juventus e meno per Napoli e Inter – ha inaugurato la stagione del grande calcio europeo.

Champions partita in chiaro
Football Affairs
(Foto: NICOLAS TUCAT/AFP via Getty Images)

Il sorteggio dei gironi di Champions League – alla portata per il Milan e per la Juventus e meno per Napoli e Inter – ha inaugurato la stagione del grande calcio europeo. Come è noto si tratta della penultima stagione in cui il massimo torneo continentale si giocherà con questa formula. A partire dalla stagione 2024/25 la Champions League si disputerà utilizzando un nuovo format e si seguirà il cosiddetto il modello svizzero.

Ma a Istanbul, città nella quale sono stati effettuati i sorteggi e in cui si disputerà la finale 2023, non è stata soltanto la composizione dei gironi a tenere banco. Sottotraccia infatti sono iniziati i giochi tra UEFA e i club su come saranno distribuiti i proventi nel nuovo format della competizione. Una partita non da poco visto che la Champions League è la vera macchina da soldi del calcio continentale e quindi la ripartizione dei ricavi è questioni di vita o di morte per molti club.

Gli scontri interni sulla riforma della Champions League

In particolare il Times – lo storico quotidiano londinese è sempre molto informato su quanto succede nei meandri delle stanze segrete del calcio europeo – questa settimana ha spiegato come ci sia in corso una lotta di potere sulla distribuzione dei ricavi per la Champions League a partire dalla stagione 2024/25, quella che vedrà per l’appunto l’introduzione del nuovo format.

Secondo il quotidiano inglese in particolare, la UEFA potrebbe varare una misura in favore dei club medio-piccoli tagliando la quota di ricavi da diritti tv che viene assegnata ai club sulla base del ranking storico/decennale. L’obiettivo sarebbe quello di garantire una distribuzione più equa tra le varie società.

Va spiegato infatti che nel sistema esistente, il 30% delle risorse – qualcosa tipo 600,6 milioni di euro nella stagione 2022/23 – viene assegnato alle 32 squadre partecipanti alla competizione in base alle loro prestazioni nelle competizioni europee per club negli ultimi dieci anni. Questo significa ricavi maggiori per i grandi club, con il Real Madrid (primo) che ha incassato 36,4 milioni e l’ultima classificata che porta a casa poco più di un milione.

Una situazione che evidentemente non può andare bene ai club medio-piccoli che da tempo denunciano come ormai il calcio europeo si sia ridotto a una oligarchia in cui possono sperare di vincere soltanto un manipolo di top club. Per questo secondo il Times, alcune figure di alto livello della UEFA sarebbero propense ad abbassare la quota assegnata ai top club, aiutate anche dal fatto che si sta registrando un contestuale aumento dei ricavi da diritti tv di circa il 25% fino a 4,5 miliardi di euro a stagione. E questo potrebbe aiutare ad addolcire la pillola per le grandi società.

Infatti in settimana Paramount Global ha rinnovato l’acquisto dei diritti tv della UEFA Champions League negli Stati Uniti, siglando un accordo del valore di oltre 1,5 miliardi di dollari in sei anni (poco meno di 1,5 miliardi di euro). Nei fatti sfruttando la crescente popolarità del soccer negli States (si ricordi che gli Usa ospiteranno il Mondiale 2026) il broadcaster pagherà circa 250 milioni di dollari all’anno, rispetto ai circa 100 milioni all’anno previsti dal precedente accordo e trasmetterà il torneo con le migliori squadre di calcio europee dal 2024 (anno nel quale prenderà il via la nuova Champions) al 2030.

Insomma l’idea della UEFA sembra essere la seguente: se i grandi club prenderanno più soldi visto l’aumento dei contratti, allora perché non togliere una regola che li privilegia. L’obiettivo di Nyon è ovviamente quello di migliorare l’equilibrio di un torneo che sembra sempre più ristretto a un numero limitato di potenziali vincitrici. Il punto è se i grandi accetteranno di vedere ridotto il proprio peso percentuale nella distribuzione dei proventi. In termini sportivi le istanze della UEFA hanno senso: lo sport non è un business come gli altri e c’è bisogno di concorrenti per dare vita a uno spettacolo importante (è la logica che sottintende le leghe americane per esempio). In termini aziendali ha meno fondamento: se io sono una impresa leader devo invece far leva sulla mia primazia per incrementare il divario su chi contende il campo.

Passerà la riforma? Le scommesse sono aperte. Quel che è certo è che il momento per molti club, anche tra i principali, non è dei migliori in termini finanziari. Si pensi ai problemi del Barcellona, club che probabilmente sta fronteggiando la peggior crisi economica della sua storia e al quale gli oltre 34 milioni incassati grazie al ranking storico non hanno certo fatto dispiacere. Perché i Blaugrana, peraltro tra i ribelli della Superlega, dovrebbero appoggiare tale riforma? Ma anche la stessa Juventus, che nel 2021 ha dovuto ricorrere a un aumento di capitale di 400 milioni e che incasserà quasi 33 milioni dal ranking storico nel 2022/23 (unica italiana nelle top 5), perché dovrebbe accettare di perdere questa grande fonte di ricavi, nella quale per altro ha un grande vantaggio competitivo nei confronti delle rivali italiane?

E’ evidente che la lotta di potere menzionata dal Times si combatterà su molte variabili. Una tra queste è sicuramente l’ombra della Superlega con cui l’UEFA ha ancora aperto un contenzioso al Tribunale di Madrid, che ha rimandato a sua volta la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Ma qui è ancora presto per capire quanto succederà.

Le nuove sanzioni per violazioni del Fair Play Finanziario

Nel frattempo, e forse non a caso in coincidenza sulla possibilità di tagliare la norma sul ranking storico, è emerso che diversi club, tra cui alcuni importanti come Arsenal, Barcellona, Juventus, Inter e Roma, sarebbero nella lista UEFA per possibili sanzioni. E su questo fronte va segnalato come sempre negli ambienti londinesi si sussurri che la UEFA potrebbe avere la mano più leggera con i club importanti e più pesante con quelli medio o piccoli.

La stessa mano leggera che la UEFA è stata accusata, dal New York Times, di avere avuto con il Paris Saint-Germain e in particolare con il suo presidente Nasser Al-Khelaifi a proposito degli episodi legati alla sfida tra i parigini e il Real Madrid nella fase a eliminazione diretta della scorsa edizione della Champions League. Del resto, il presidente del club della capitale francese si era schierato a fianco di Ceferin nella ben nota diatriba sulla Superlega, un aspetto da non sottovalutare nei rapporti dietro le quinte.

Tornando al tema del FPF, quella della UEFA è solo una compensazione o una captatio benevolentiae? Sicuramente a Nyon sanno benissimo che senza i top club nessun grande spettacolo può essere messo in scena e qualsiasi riforma necessità anche della loro approvazione. Ed è altrettanto certo che la battaglia sottotraccia tra UEFA e club, il grido d’allarme di cui più volte ha parlato il presidente della Juventus Agnelli, si giocheranno molto con le armi della politica più che della finanza. Segno evidente che, a meno di eventi eccezionali al momento non prevedibili, una gestione stile leghe statunitensi del pallone in Europa è ancora ben lontana.