Intervista a cura di Jacopo Carmassi, Principal Economist presso la Banca Centrale Europea. L’intervista è stata condotta su base esclusivamente personale e non coinvolge in alcun modo la Banca Centrale Europea né altri enti ai quali l’autore è affiliato.
Alex Muzio è il Presidente del Club di calcio belga Royale Union Saint-Gilloise, fondato nel 1897 a Saint-Gilles, un comune dell’area di Bruxelles. Dopo aver acquisito il controllo del Club nel 2018 insieme con Tony Bloom – Presidente e azionista di maggioranza del Brighton & Hove Albion, che milita nella Premier League inglese – dal luglio 2023 Muzio è azionista di maggioranza del Club (con il 75%). Da aprile 2024 è anche il Presidente della Union of European Clubs (UEC), l’associazione che si propone di rappresentare gli interessi dei Club di calcio non di élite in Europa. In questa intervista rilasciata a Calcio e Finanza prima della partita dell’Union Saint-Gillloise con l’Inter, valida per la terza giornata della UEFA Champions League, Alex Muzio ha condiviso le sue opinioni sul ruolo della UEC e su alcuni argomenti chiave per la governance e per l’ecosistema finanziario del calcio in Europa.
Domanda. La Royale Union Saint-Gilloise affronterà l’Inter nella terza giornata della UEFA Champions League. Un’altra grande notte, dopo il debutto vincente in Champions League a settembre ad Eindhoven e dopo il trionfo nel campionato belga nella passata stagione, per la prima volta dopo 90 anni. Senza dimenticare che l’USG è stata promossa nuovamente nella massima serie nel 2021, dopo 48 anni, che ha conquistato la Coppa di Belgio nel 2024 per la prima volta dopo 110 anni, e che ha anche vinto la Supercoppa del Belgio per la prima volta nel 2024. Si può dire che lei sia specializzato in miracoli calcistici?
Risposta. Sì, direi di sì… [sorride, ndr], ma non so quale potrebbe essere il prossimo miracolo, perché non credo che sia probabile che vinceremo la Champions League presto. Tuttavia, continueremo comunque a cercare di fare il meglio possibile, continueremo a spingere. Se un Club di calcio prova a rimanere fermo, è un problema. Devi sempre provare ad andare avanti, perché tutti gli altri faranno lo stesso – rimanere fermi non è un’opzione.
D. Tornando alla partita di Champions League, ma da una prospettiva finanziaria: se le ricordo che c’è una differenza di circa 500 milioni di euro nella dimensione di Inter e USG, guardando ai ricavi totali, qual è il suo primo pensiero di fronte a questo tipo di divario finanziario?
R. Senza dubbio l’entusiasmo è il primo pensiero, perché ci siamo guadagnati la possibilità di giocare con Club che hanno budget elevatissimi, e con i finalisti della Champions League. Non ci sentiamo eccessivamente sicuri di noi, ma certamente non siamo intimiditi o impauriti. Non ci sentiamo fuori posto, sentiamo che abbiamo il diritto di giocarcela, e giochiamo in casa. Anche il PSV aveva un budget significativamente più alto del nostro [l’USG ha vinto 3-1 ad Eindhoven nella prima giornata di Champions League a settembre, ndr]. E non giocheremo nella Champions League con nessun Club con un budget inferiore al nostro, ma neppure con Club il cui budget non sia tre o quattro volte il nostro budget. Tutte le altre squadre hanno un budget significativamente più elevato del nostro, e l’Inter non è neanche quella con il budget maggiore tra le squadre che affronteremo, dato che giocheremo anche contro il Bayern Monaco. Insomma, ho grande entusiasmo, questa è la sensazione principale.
Il nuovo formato della Champions League e il ruolo dell’UEC
D. Che cosa pensa del nuovo formato delle competizioni UEFA per Club, basato sul modello svizzero, con un gruppo di 36 squadre ciascuna delle quali gioca 8 partite (6 per la Conference League)? Si tratta di un formato che porta benefici per l’USG?
R. Penso che per le squadre della fascia 4 sia positivo, in termini di possibilità di passaggio del turno, poter giocare contro altre due squadre della fascia 4 [le 36 squadre sono suddivise in quattro fasce, sulla base del coefficiente UEFA dei Club che tiene conto delle ultime cinque stagioni; in Champions League e in Europa League, ciascuna squadra gioca contro due squadre di ciascuna fascia, ndr]. Questo è il grande cambiamento per un Club di fascia 4. Nel sistema precedente, che prevedeva gruppi di quattro squadre, i Club di fascia 4 giocavano solo contro squadre di fascia 1, 2 e 3. Adesso abbiamo più possibilità, in teoria. Il Newcastle è una delle squadre più forti del torneo, e quindi siamo stati un po’ sfortunati con il sorteggio, perché abbiamo dovuto affrontare un Club che, nonostante budget e qualità elevate, non ha giocato molto nelle competizioni europee di recente – ma questa è un’eccezione, non è usuale. Di solito, il nuovo sistema dovrebbe offrirci maggiori probabilità di successo, e questo ci dà la carica. Mi piace che giochiamo con otto squadre diverse, invece che con tre, e in generale sono molto contento del cambio di formato: ha introdotto molti elementi positivi senza troppi aspetti negativi.
D. Lei non soltanto è Presidente e azionista di maggioranza dell’USG, ma ricopre anche il ruolo di Presidente dell’Union of European Clubs (UEC) dall’aprile 2024. La UEC ha come obiettivo quello di rappresentare gli interessi dei piccoli e medi Club di calcio in Europa: condivide questa definizione della UEC?
R. Sì, direi di sì, perché noi ci consideriamo un contrappeso all’EFC (European Football Clubs), come si chiama ora [fino al rebranding nell’ottobre 2025, si chiamava European Club Association o ECA, ndr]. Storicamente l’ECA si è pubblicamente presentata come un’associazione solo per i Club di élite. Di recente, un Club che ha fatto il suo ingresso nel Board dell’ECA ha espresso grande felicità e orgoglio per essere entrato nel Board, considerando l’ECA il gruppo che rappresenta gli interessi dei Club di élite – e questo è successo solo pochi mesi fa. Perciò è chiaro che, anche se l’EFC sulla scena pubblica ha cambiato approccio e dice di rappresentare tutti i Club, la realtà dei meccanismi di voto del Board, e perfino dei meccanismi per la scelta del Presidente, è molto determinata dai Club di élite. Ed è molto difficile ottenere trasparenza sui loro voti e su come funzionano i loro processi, ma è piuttosto trasparente che sono i Club di élite ad avere il controllo e il potere, e lo esercitano. Pretendono di avere la vanità di rappresentare tutti i Club organizzando feste sfarzose, invitando personaggi famosi e, in generale, dando ai CEO dei Club piccoli e medi la sensazione di essere coinvolti – ma senza alcuna pluralità nei meccanismi di voto e senza alcun diritto di poter cambiare alcunché. Quindi, come dicevo, noi ci sentiamo un contrappeso a quell’associazione di Club – e questo per definizione ci porta ai Club piccoli e medi.
D. La sua vita quotidiana con l’USG è certamente tanto piena ed impegnativa quanto di successo. E il suo ruolo aggiuntivo all’UEC certamente porta a sommare ulteriore lavoro e ulteriore stress – anche tenendo conto che lei ha costruito l’associazione dalle fondamenta, insieme con altre figure chiave della UEC. Perciò la domanda è: perché si è imbarcato in questa missione?
R. La prima cosa da dire è che, anche se sono naturalmente impegnato con l’Union Saint-Gilloise, ho conferito poteri a Philippe Bormans, il CEO, e Chris O’Loughlin, il direttore sportivo, per la gestione quotidiana del Club. Ritengo che sia molto importante, per un proprietario e per un Presidente, essere molto chiaro con tutti i componenti della struttura su chi ha il controllo dell’operatività quotidiana, e stabilire limiti e confini chiari. Perché altrimenti, in molte società rischia di capitare che qualcuno si senta dare un’indicazione da un capo, e poi incontri alla fine del corridoio il Presidente, che dice invece qualcosa di diverso – e a quel punto a chi dai retta? Questo genera confusione. Insomma, se è vero che sono impegnato, non sono strettamente coinvolto nelle funzioni quotidiane del Club, e questo mi concede maggiore flessibilità e più tempo.
Io credo che il calcio sia molto prezioso, e che non sia un business come un altro. In altre attività non si trovano la passione e l’amore che la gente ha per la propria squadra. A volte bisogna difendere quello in cui si crede. E io senza dubbio credo che nel calcio si stia creando un divario e che il sistema sia guidato in larga misura dai Club di élite, in termini di giocatori, in termini di finanze. Molto tempo è ormai andato e non tornerà indietro, ma possiamo frenare per rallentare questo andamento e renderlo meno marcato. In ultima analisi, se sei un tifoso di calcio in Bulgaria, per esempio, il Ludogorets ha vinto a questo punto 14 campionati di fila: non si dovrebbe essere nella condizione di sperare che la propria squadra arrivi seconda, bisognerebbe poter nutrire ambizioni per il proprio Club che siano realistiche. E più passa il tempo, più sta diventando progressivamente meno realistico che i tifosi di una squadra abbiano dei veri sogni che possano essere realizzati, e questa è una cosa molto brutta.
Ultimo punto: siamo a ottobre 2025, e se si provasse a prevedere chi raggiungerà i quarti di finale della Champions League nella stagione 2026/2027, si indovinerebbero probabilmente sei o sette squadre su otto – e potendo indicare dodici squadre se ne indovinerebbero probabilmente otto su otto. Se ci fossimo posti la stessa domanda anche solo 10 anni fa, rispondere non sarebbe stato neanche lontanamente facile come lo è oggi; e 20 anni fa la risposta sarebbe stata “non so neanche chi si qualificherà”. Dunque, la velocità del cambiamento è veramente drammatica, e serve qualche contrappeso prima che il sistema si rompa.

D. E quali sono, a suo avviso, le principali cause di questo trend che sta descrivendo?
R. Per le federazioni nazionali dal 15mo posto in giù della graduatoria UEFA, la situazione è alimentata dal declino dei diritti TV a livello nazionale, dalla crescita dei diritti TV UEFA, dalla distribuzione delle risorse e dei contributi di solidarietà. Per esempio, all’inizio della stagione in Serbia, sulla base di varie previsioni statistiche, ci si aspettava che la Stella Rossa Belgrado si qualificasse per la Champions League, e che nessun altro Club serbo si qualificasse per la fase a girone. Questo avrebbe significato che la Stella Rossa Belgrado avrebbe ottenuto circa 40 milioni di euro di diritti TV, considerando sia i diritti in Serbia che quelli della UEFA, e ciò che viene dopo sono solamente i contributi di solidarietà, perché non c’è un pacchetto nazionale di diritti TV particolarmente degno di nota in Serbia. Il grafico che mostra la relazione tra soldi spesi e punti conquistati è ormai consolidato: se ricevi 40 milioni di euro in una stagione e il tuo rivale, il secondo miglior Club, riceve 1 milione di euro, è chiaro che questo produce effettivi distorsivi drammatici sul campionato. E se si obietta che le federazioni nazionali dal 25mo/30mo posto in giù del ranking UEFA non sono di fatto rappresentate nella Champions League: se partecipi all’Europa League o alla Conference League e competi in uno di quei campionati nazionali, riceverai 10 milioni di euro, o 7 milioni di euro, e le squadre rivali riceveranno zero. Considerato il livello dei budget in questi paesi, con una sola partecipazione alla fase a girone dell’Europa League un Club potrebbe finanziarsi un budget che gli consenta di essere per numerosi anni il più grande Club nel suo paese.
Oltre a questo, ho la sensazione che ci sia un elemento di natura più sociale. Anche se questo non è il mio campo perché sono principalmente un uomo di calcio, se si guarda a qualsiasi settore di attività le aziende più grandi sembrano capaci di diventare sempre più grandi – si pensi per esempio ai vari Google, Amazon, Apple. Non vedi più le piccole aziende, tutto ha subito un’accelerazione in questa direzione, e la globalizzazione è un fattore. La UEC non ritiene necessariamente che tutti pensino le stesse cose che pensiamo noi. Ma la ragione per la quale la Superlega ha potuto anche solo essere sul tavolo è che le attenzioni per i grandi Club e la loro attrattività sono di gran lunga maggiori che per tutte le altre squadre: sono i grandi Club a guidare gli ascolti e le risorse delle competizioni UEFA. Penso che chiunque faccia finta che non sia così non sia onesto.
D. Potrebbe per favore approfondire il tema della concentrazione dell’interesse sui grandi Club?
R. Il grande cambiamento è che chiaramente i diritti TV hanno oggi un ruolo enorme per i ricavi dei Club, e in aggiunta i social media consentono di promuovere i prodotti in una maniera che trenta anni fa non era possibile, e tutto questo ha causato un’accelerazione delle risorse finanziarie verso i Club più grandi, perché quelle sono le squadre a cui le persone vogliono essere associate. Prima invece c’era uno spirito di solidarietà, e la consapevolezza che nello sport non funziona come in altri settori. Sarebbe veramente bello se, nel calcio in generale, i Club si rendessero conto un po’ di più che hanno bisogno l’uno dell’altro, che esistono gli uni con gli altri. Non ha senso essere la migliore squadra in un paese con un margine enorme sulle altre. Non è una cosa buona. La gente sembra pensare che questa sarebbe una cosa buona, e che vincere sempre sarebbe fantastico – ma io non credo che lo sia. So bene che ci sono molti tifosi di squadre di calcio che la vedono in questo modo, e sono liberi di farlo. E non voglio dire che sia una questione di essere una cosa buona oppure una cosa tremenda, una cosa giusta o una cosa sbagliata – non è così. Ma la mia visione del calcio è molto più focalizzata su una solidarietà competitiva: se i Club sono gestiti bene, ognuno può avere una possibilità – ma non credo che la realtà sia questa ed è un peccato.
Nel calcio, al centro ci dovrebbero essere la comunità, l’equilibrio e la possibilità per tutti di avere chances di vittoria. Non sono un comunista che vuole che tutti vincano ogni tanto. Ma lo spirito di solidarietà e lo spirito di competizione si sono un po’ prosciugati. Pensiamo alla NFL negli Stati Uniti, alla Indian Premier League (IPL) di cricket, e anche in misura minore ma comunque significativa alla Premier League in Inghilterra: tutte queste tre organizzazioni hanno compreso il valore di sostenere la competizione. Nel lungo termine non puoi avere un prodotto se una squadra è di gran lunga superiore a tutte le altre, ma neanche se ci sono due o tre squadre che sono di gran lunga superiori a tutte le altre, e se sai chi vincerà già all’inizio della stagione. Ma nella NFL, per esempio, a inizio stagione non puoi dire chi vincerà. Nella IPL, quando la stagione comincia, tutte le squadre hanno buone possibilità di vittoria. E la Premier League è ben consapevole di tutto questo.
Per molti anni il Paris Saint-Germain ha creduto di essere la locomotiva che avrebbe guidato il resto della Ligue 1. E come è andata a finire? Che sono passati dalla previsione di un pacchetto di diritti TV di 1 miliardo di euro ad una cifra probabilmente intorno ai 180 milioni di euro per il primo anno – e semplicemente un caos generalizzato, perché la gente non ha più interesse per il prodotto Ligue 1, perché non ci sono storie da apprezzare, perché di fatto le persone sanno già qual è la squadra più forte, e anche quali sono le squadre subito sotto. Il sistema è stato segmentato in una maniera tale che non risulta più interessante. E penso che questo sia ciò che i grandi Club devono realizzare, che nel lungo termine se questo continua a succedere le persone perderanno interesse in una certa misura – e quando questo accadrà, sarà troppo tardi.
D. C’è qualche altro aspetto specifico che la preoccupa?
R. Vorrei evidenziare la doppiezza dei grandi Club dei campionati al di fuori delle Big Four – non si può più parlare di Big Five, perché con la questione dei diritti TV la Ligue 1 non può più considerarsi parte delle Top Leagues. Fuori dalle Big Four, è piuttosto chiaro che i diritti TV UEFA che ricevono i grandi Club degli altri campionati non corrispondono al valore che questi Club aggiungono alle competizioni europee. Questi Club fanno pressioni con prepotenza a livello nazionale sostenendo che meritano di più, ma quando si tratta delle competizioni UEFA cambiano faccia completamente, con una modifica a 180 gradi, e sembrano ignorare la realtà delle competizioni UEFA: perché si rendono conto che non sono loro a generare ricavi di 5 miliardi di diritti TV – sono piuttosto partite come Liverpool – Real Madrid, o Paris Saint-Germain – Barcellona. E quindi quei Club sono largamente soprapagati, perché ricevono dalla UEFA molti più soldi di quelli che generano con i numeri degli ascolti delle loro partite.
Club d'élite contro le medio-piccole: si accende lo scontro tra ECA e UEC
Il nodo delle risorse per i club medio-piccoli
D. La UEFA distribuisce 308 milioni di euro in contributi di solidarietà per i Club che non partecipano alle competizioni UEFA per Club, e 132 milioni di euro ai Club eliminati nei turni di qualificazione. La UEFA ha inoltre distribuito, in accordo con la European Club Association, oltre 230 milioni di euro a circa 900 Club in Europa, per i giocatori che hanno partecipato alle competizioni con le squadre nazionali, attraverso il Club Benefits Programme. E la FIFA distribuisce 250 milioni di dollari in contributi di solidarietà in relazione al mondiale FIFA per Club, che andranno a beneficio di Club di calcio in tutto il mondo. E quindi dove è il problema per i Club medio-piccoli? Non ricevono già risorse sostanziali attraverso la redistribuzione di denaro che è principalmente generato dai grandi Club?
R. In primo luogo, la distribuzione delle risorse del Club Benefits Programme va principalmente a beneficio dei grandi Club, perché sono i grandi Club che hanno i giocatori internazionali. Secondo, sui contributi di solidarietà del mondiale FIFA per Club: se ne è parlato molto, ma in realtà non sono ancora stati pagati. Non so quando succederà – se succederà. Tutti continuano a parlarne, ma prima o poi dovranno effettivamente distribuire il denaro. Siamo quasi a novembre – dove sono i soldi? A chi andranno? Quando?
Tornando al punto specifico della domanda: capisco quel punto di vista in una certa misura, perché fondamentalmente i diritti TV UEFA sono legati ai Club che partecipano alle competizioni, la gente guarda le partite di quelle squadre, e quindi, in teoria, perché non potrebbero tenersi anche tutti i soldi per sé? Ma, di nuovo, direi che questo non è quello sui cui si basa lo sport. Per esempio, in Inghilterra, la Premier League distribuisce circa il 17% dei propri ricavi lungo la piramide. La piramide sta lottando per ottenere il 25%, e penso che probabilmente il punto di arrivo sarà in mezzo a questi due numeri. Questo è molto di più di quanto distribuisca la UEFA – e la UEFA è un organismo per il calcio, per il calcio europeo, non è un’attività a scopo di lucro, non cerca di fare profitti; la Premier League invece sì, e distribuisce una quota di solidarietà significativamente più elevata. Perciò i numeri che lei ha menzionato possono suonare come grandi numeri, ma quando si pensa che poi devono essere distribuiti tra circa 1.450 Club…
D. Potrebbe descrivere la missione della UEC in una frase – o anche solo in una parola?
R. Equilibrio. Perché l’equilibrio competitivo non sta funzionando, non va bene, e lo si può vedere chiaramente, i dati lo mostrano, basta vedere come sono i campionati oggi e come erano in passato. Quindi direi che l’equilibrio è la prima cosa. E poi puntiamo anche alla sostenibilità finanziaria, anche se credo che le due cose vadano a braccetto: tutti cercano di salire la scala per ottenere le risorse UEFA, in molti campionati, e nel far questo perdono tanti soldi, e dunque non c’è sostenibilità finanziaria. Se ci fosse una distribuzione più omogenea, non ci sarebbe bisogno di fare questo per sopravvivere. Perciò le due cose – equilibrio competitivo e sostenibilità finanziaria – sono piuttosto connesse, ma l’equilibrio è cruciale.
D. Quali sono, dal suo punto di vista, le principali sfide per i Club medio-piccoli in Europa?
R. Per prima cosa, le squadre dei campionati nazionali che non partecipano regolarmente alle competizioni europee stanno soffrendo per una riduzione dei diritti TV nazionali, mentre i loro rivali stanno ricevendo maggiori risorse dalla UEFA. E l’equilibrio viene messo a dura prova. Questo è un problema significativo per i nostri membri, che in generale non viene rappresentato da altri organismi – European Leagues è quello più allineato su questo punto, anche loro sanno che questo sta accadendo.
In secondo luogo, io penso che, in generale, non stiamo necessariamente premiando le cose giuste. Noi abbiamo al momento la nostra importante proposta di policy, e ne renderemo nota un’altra a breve. La proposta importante che abbiamo adesso è il Player Development Reward o PDR [il PDR redistribuirebbe almeno il 5% dei ricavi delle competizioni UEFA per Club ai Club che hanno formato, tra i 12 e i 23 anni di età, calciatori che prendono parte alle competizioni UEFA per Club, ndr]. Allo stato attuale, i contributi di solidarietà UEFA sono sostanzialmente versati in generale alle squadre professionistiche delle prime divisioni in Europa. Questi pagamenti di solidarietà sono distribuiti in ogni caso – puoi essere il migliore oppure il peggiore Club del tuo campionato nella formazione dei giovani calciatori, ma ricevi sostanzialmente lo stesso ammontare. Questo è molto positivo per i Club in termini di cash flow, perché hanno la certezza di ricevere queste risorse. Ma non incoraggia la buona formazione dei giocatori, perché ricevi il denaro in ogni caso. E poi c’è la solidarietà per i trasferimenti dei calciatori in base alle regole FIFA, che funziona in maniera opposta: se sviluppi un grande talento, il giocatore probabilmente farà strada e sarà venduto a cifre elevate, ma non si sa quando questo si verificherà, e dunque non si possono fare pianificazioni con queste risorse di solidarietà. Peraltro, questo meccanismo non è neanche perfetto nel premiare la migliore formazione, dato che alcuni dei migliori calciatori non cambiano mai Club, mentre altri invece si spostano in continuazione.
Per questo abbiamo elaborato la proposta sul PDR – perché pensiamo che incorpori il meglio dei due sistemi. Riteniamo veramente che se tu sviluppi talenti di alto livello, giocheranno nelle maggiori competizioni europee – e si sa all’inizio delle competizioni a settembre chi si è qualificato per queste competizioni, e dunque è possibile fare delle previsioni molto accurate su quanto denaro si riceverà per i giocatori che sono stati formati. Questa è una proposta molto importante per noi: cerchiamo di incoraggiare buoni comportamenti dei Club, e uno dei migliori comportamenti che un Club di calcio possa avere è formare giovani talenti.
D. Può dirci qualcosa sulla prossima proposta di policy della UEC, a cui ha fatto cenno?
R. Abbiamo parlato prima della crescita notevole dei diritti TV UEFA e della contrazione dei diritti TV domestici. Un trend che prevedo continui. La nuova proposta è legata a questo.
D. Che cosa ha fatto e che cosa farà la UEC, oltre alle proposte di policy, per aiutare i propri membri nelle sfide che ha descritto?
R. Mentre l’EFC riceve circa 25-30 milioni di euro all’anno dalla UEFA, noi riceviamo zero. Noi siamo impegnati nel rappresentare i nostri Club – questa è la cosa migliore che possiamo fare, con le risorse finanziarie che abbiamo a disposizione. Io sono un volontario. Non ricevo alcun compenso per il mio ruolo nella UEC. E mi pago anche da solo i miei viaggi per partecipare ad eventi, piuttosto che chiedere alla UEC di pagarmeli, perché credo in questa missione e sono felice di fare tutto ciò che può essere di aiuto. Per quanto riguarda quello che facciamo per i nostri membri, per esempio abbiamo offerto assistenza legale per la FIFA Clearing House, ma in generale offrire servizi al momento non è qualcosa che siamo in grado di finanziare come fa l’EFC, perché noi non abbiamo alcuna fonte di finanziamento esterna.

D. L’Union Saint-Gilloise ha un rapporto estremamente basso tra i costi per i calciatori e i ricavi totali (circa il 50%), relativamente alla maggior parte delle altre squadre in Europa. Come Presidente dell’USG ma anche come Presidente della UEC, direbbe che questa è la ricetta principale per la sostenibilità finanziaria dei Club, o è più complesso di così?
R. Direi che senza dubbio è più complicato di così. E questo è parte del problema del sistema, per come funziona oggi. Pensiamo, per esempio, alla Championship inglese, oppure alla seconda divisione belga e a molte altre seconde divisioni: se provi a gestire il tuo Club utilizzando il 50% dei tuoi ricavi, probabilmente finisci per avere il budget più basso del campionato, e probabilmente retrocedi. È così che vogliamo il calcio? Non riesci ad essere al tempo stesso finanziariamente sostenibile e competitivo – e non credo che questo sia quello che vogliamo, ma in generale è difficile pagare stipendi corrispondenti al 50% dei ricavi e riuscire a sopravvivere – e questo in qualsiasi competizione, direi.
D. Eppure l’Union Saint-Gilloise ci riesce.
R. Lo gestiamo, ma bisogna anche tenere a mente che nelle prime tre stagioni della nostra proprietà abbiamo perso una quantità di denaro significativa. Non c’è il Financial Fair Play in Belgio e quindi non eravamo soggetti a regole di questo genere. All’inizio, abbiamo individuato tre possibili percorsi: avere un budget molto basso e impiegare molto tempo per essere promossi, perdendo intanto molti soldi in quegli anni; oppure, andando ad un estremo opposto, spendere una fortuna ma avere buone possibilità di promozione; oppure una via di mezzo – che è la strada che abbiamo scelto. Ma questa via di mezzo ci ha comunque portato a perdere in media 7 milioni di euro all’anno nella seconda divisione belga, a fronte di ricavi per 3 milioni di euro: in pratica, perdevamo una cifra che era più del doppio dei nostri ricavi. La maggior parte delle persone direbbe che questo è piuttosto folle e finanziariamente irresponsabile, ma la realtà è che nella prima stagione avevamo il quarto o quinto budget più alto, nonostante quel caos completo e quella follia.
D. E questo non accade perché i costi dei calciatori, e di tutto quello che gira intorno, sono aumentati a dismisura negli ultimi 20 anni? Perché i costi per i calciatori sono la variabile principale.
R. Come anche il fatto che il business dei Club di calcio non è un business “normale”: hanno uno scopo più alto delle attività normali. L’altra faccia della medaglia è questa: ho parlato con persone che possiedono Club in Belgio, che avevano dei business di successo che fatturavano 50 o 100 volte quello che fatturano i loro Club. Nessuno aveva sentito parlare di loro grazie alle loro attività, ma appena hanno comprato un Club di calcio, investendo peraltro una piccola frazione della loro ricchezza, tutto ad un tratto sono diventati famosi, e questo era molto importante per queste persone – non lo è per me, ma è molto importante per molte persone che investono nel calcio. Questo significa che si può anche accettare di perdere molti soldi, e quando la cultura è questa, se vuoi essere anche solo vagamente competitivo devi essere disposto a perdere una media quantità di denaro – e questo è parte del problema.
Una nuova sfida per l’UEFA? La proposta della UEC per ridistribuire i ricavi ai club che formano i giocatori
D. Potrebbe indicare uno sviluppo positivo e uno sviluppo negativo nell’ecosistema e nella governance del calcio europeo in questo ultimo anno, dopo la conferenza UEC a ottobre 2024?
R. Una cosa chiaramente negativa è il fatto che l’ECA abbia fatto il rebranding, che abbia ampliato il numero dei suoi membri, e che sta apparentemente facendo un buon lavoro nel convincere le persone che loro rappresentano fasce significative di squadre del calcio europeo, quando in realtà non è cambiato niente: non c’è stato nessun cambiamento nei meccanismi di voto, nessun cambiamento nella governance, nessun cambiamento su nulla. Ai nuovi membri dicono letteralmente “non avete diritti, ma vi daremo giocattoli luccicanti” (come i servizi che noi non possiamo offrire, come detto in precedenza), “e vi inviteremo a delle feste eleganti”: e questa patina di inclusività sembra avere vagamente successo. Questo è indubbiamente uno sviluppo negativo.
Direi che una buona cosa è Glenn Micallef [Commissario europeo per l’Equità, Intergenerazionale, la Cultura, i Giovani e lo Sport, ndr]. Sembra comprendere che cosa è il calcio europeo, sembra capire gli stakeholders, sembra capire il background e la situazione in cui siamo oggi. Direi che si tratta di un ingresso molto positivo nel mondo del calcio europeo.
D. Per quali ragioni un Club di calcio in Europa, maschile o femminile, dovrebbe decidere di diventare membro della UEC, invece di essere membro dell’EFC, che adesso annovera oltre 800 membri, ha una struttura interna solida e una posizione consolidata nell’ecosistema del calcio europeo?
R. In inglese esiste questa espressione: “turkeys voting for Christmas”. Per come la vedo io, se sei un Club e decidi di unirti all’EFC, sei un tacchino, perché riesci a partecipare a una festa e a sistemarti le unghie: in questo modo, sei finito a votare per il Natale. Questa è la mia sensazione su questa situazione. Se vuoi aiutare il tuo Club nel lungo periodo ad avere qualche forma di sostenibilità finanziaria, qualche possibilità di competere e di avere successo, allora la UEC non può che essere una scommessa migliore nel lungo termine.
D. Lei si trova in una situazione particolare, perché l’USG è stata in precedenza un membro del network dell’ECA. Ritiene che dovrebbe essere possibile per i Club, o auspicabile, essere membri di entrambe le associazioni?
R. Non siamo mai stati un membro pieno dell’ECA, eravamo parte dell’ECA network ma poi ci è stata negata la membership piena. Nel febbraio della stagione in cui eravamo in cima alla classifica, abbiamo iniziato a chiedere di diventare membri. Ci hanno messo molto tempo per risponderci, e quando lo hanno fatto pensavamo che saremmo stati ammessi. Invece ci hanno risposto così – e questo è molto importante da un punto di vista legale: poiché avevamo indicato di essere membri di un’altra organizzazione, la UEC, ci hanno detto che i membri dell’ECA non potevano essere anche membri di un’altra organizzazione, perché loro non ammettono una doppia membership. Ho avuto una lunga conversazione con il CEO dell’EFC Charlie Marshall, che mi ha spiegato le loro ragioni. E io ho spiegato che non ero preparato a lasciare la UEC, dicendo anche molto chiaramente che l’USG sarebbe stata felice di essere parte di entrambi i gruppi, che alla UEC sarebbe andato bene se l’USG fosse stata parte di entrambi i gruppi. L’unica parte non contenta era l’ECA. Io ho detto che, per come la vedevo, l’ECA stava bloccando la nostra adesione. Loro hanno continuato a dire che legalmente non erano loro a bloccare noi, ma eravamo noi a bloccare noi stessi, dato che eravamo membri di un altro gruppo.
D. Lo scontro tra EFC e UEC è stato di pubblico dominio negli ultimi anni. Lei sarebbe disponibile ad avere un dibattito pubblico con l’EFC?
R. Sì, certo, senza alcun problema. Io credo che quello per cui ci battiamo noi sia piuttosto chiaro. Penso invece che, in generale, loro sappiano che non è chiaro per cosa si battano: se veramente rappresentassero tutti quei Club, avrebbero concesso loro il diritto di voto. Non credo che sarebbe un dibattito pubblico particolarmente difficile in teoria, ma penso anche che la cosa non sia di interesse per loro. Immagino che direbbero che non hanno bisogno di discutere con me, che hanno un Memorandum of Understanding per il lungo periodo sia con la UEFA che con la FIFA, e che non possono mettersi a rispondere a richieste di dibattiti pubblici a destra e a manca. Per essere chiaro, io non sto facendo questa richiesta – è lei che ha posto la domanda, non l’ho proposto io.
D. Ha menzionato UEFA e FIFA e il loro Memorandum of Understanding con l’ECA. Dal vostro lato, come progettate di procedere con le vostre interazioni con gli stakeholders europei, e in particolare la UEFA, la Commissione europea e il Parlamento europeo, anche considerando le difficoltà che avete incontrato finora per ottenere un riconoscimento formale (per esempio con un’inclusione nel Social Dialogue)? Qual è il piano per rafforzare queste relazioni, ottenere questo riconoscimento e magari diventare così maggiormente efficaci?
R. Abbiamo una relazione eccellente con la Commissione europea e con il Parlamento europeo. Penso che abbiano molto rispetto per quello che facciamo, e io come ho detto ho molto rispetto per il Commissario Micallef. Quello che dobbiamo fare è presentare proposte di policy realistiche che migliorerebbero il calcio europeo, e mostrare quello in cui crediamo in modo formale e concreto. Il PDR è stata la prima delle nostre proposte, e mi piacerebbe molto se avessimo più risorse per poter spendere più tempo sullo sviluppo delle proposte di policy. È incredibilmente difficile svilupparle con le risorse che abbiamo.
E so bene che siamo stati chiamati “gruppo di protesta” in passato, ma non è questo quello che vogliamo essere, e non è questo quello che siamo, secondo me: e il modo di dimostrarlo è sviluppare proposte di policy realistiche che possano essere discusse. Non basta dire semplicemente “sei cattivo” – questo non porta a nulla, non dà alcun beneficio. Dobbiamo dimostrare ai vari stakeholders che siamo un gruppo pragmatico e positivo che vuole fare progredire le cose, piuttosto che un gruppo negativo che si lamenta e non fa nulla, limitandosi a dire che qualcosa non è buono.
L’impatto della proposta per la redistribuzione delle risorse
D. Torniamo alla proposta sul PDR: ne avete discusso con gli altri stakeholders e avete ricevuto supporto, anche considerando che il PDR potrebbe introdurre un po’ di armonizzazione nei sistemi di remunerazione della formazione, ad oggi regolati dalle regole FIFA e da quelle domestiche (diverse nei vari paesi europei)? Come è stata accolta la proposta dagli altri stakeholders, e vedete possibilità che possano abbracciarla e promuoverla?
R. La prima cosa da dire è che il PDR è concepito per essere in aggiunta al sistema di solidarietà esistente – non per sostituirlo, ma per aggiungersi. In termini di feedback ricevuti, siamo stati piacevolmente sorpresi dalla sostanziale assenza di reazioni negative. La risposta è stata veramente positiva – che sì, questo produrrebbe dei buoni effetti per il calcio europeo: i Club sarebbero incentivati a formare meglio i giovani calciatori e potrebbero prevedere meglio i propri cash flow, e si tratterebbe di un meccanismo annuale che si ripete e non di una misura una tantum.
Adesso si tratta di aspettare il prossimo ciclo negoziale per vedere se riusciamo ad inserirlo nelle conversazioni, quando le conversazioni hanno luogo – e questo è parte del problema con l’EFC e con il modo nel quale le cose sono gestite nella governance del calcio europeo. Spesso arriva il comunicato stampa che ti dice quello che è stato deciso. Non c’è una conversazione sul processo con il quale le cose vengono decise. Non c’è niente di pubblico fino al momento in cui viene detto quali sono le opzioni che verranno esplorate e sulle quali si deciderà. Succede letteralmente che un giorno la UEFA e l’EFC pubblicano un comunicato congiunto che illustra, per esempio, come funzioneranno i contributi di solidarietà – e questo è quanto. Ora, questo non suona bene, ma quello che noi dobbiamo fare alla UEC è continuare a tenere il PDR nell’agenda e nelle discussioni pubbliche, in modo che auspicabilmente la UEFA pensi che sia un’idea molto buona e decida di includerla nelle conversazioni. Per essere chiaro, noi crediamo fortemente che il meccanismo del PDR dovrebbe applicarsi anche al mondiale FIFA per Club.
D. Il PDR non rischierebbe di aggiungere costi finanziari in aggiunta ai contributi di solidarietà e ai meccanismi esistenti per la remunerazione della formazione dei calciatori?
R. Per il PDR, i soldi verrebbero dai Club della Champions League, ed è mia ferma opinione che questi Club ottengano una quantità di denaro largamente eccessiva dalla Champions League. Quindi non ho alcun tipo di problema con questo. I Club di Europa League, i Club di Conference League, quelli eliminati nei turni di qualificazione e quelli che non partecipano – tutti questi Club potrebbero ricevere denaro dal PDR. Solo i Club di Champions League non lo riceverebbero, ma questo per me è un aspetto positivo, sia per tutto ciò di cui abbiamo parlato per il PDR, sia per l’equilibrio competitivo – perché farebbe muovere i Club di Champions League verso gli altri Club. E questo può essere solo positivo per l’equilibrio competitivo.
D. Per concludere su una nota più personale: abbiamo tutti qualche dolce ricordo su come siamo venuti in contatto con il calcio per la prima volta nella nostra vita – qual è il suo dolce ricordo, e come si lega al suo lavoro per l’USG e per la UEC?
R. Per me il legame che ho con l’Union Saint-Gilloise è di gran lunga più forte di qualsiasi altro legame che io abbia mai avuto con un Club di calcio. Dal 2018 sono stato presente alla stragrande maggioranza delle partite, ad eccezione del periodo della pandemia. Vincere la Coppa del Belgio è stato incredibile, ma al tempo stesso avevamo una partita pochi giorni dopo e stavamo cercando di vincere il campionato, quindi non me la sono necessariamente goduta come avrei potuto. La vittoria del campionato è stato il giorno più bello della vita di mio figlio di 8 anni. È stato incredibilmente speciale, e lo è ancora. Sento una grande sensazione di realizzazione, soddisfazione e piacere, anche guardando indietro e pensando a tutto il lavoro fatto, a tutte le brave persone che ho assunto all’USG e che hanno potuto vedere quel giorno, e ai tifosi. C’era un famoso proprietario di un bar a Bruxelles, che aveva 90 anni ed era tifoso dell’USG: il suo bar, pieno di cose dell’USG, si trova nella zona di Anderlecht. In quei 90 anni l’Anderlecht aveva vinto 34 campionati del Belgio, e noi nessuno. È venuto a mancare recentemente, ma ha potuto finalmente assistere a quella giornata – deve essere stato magico.
So che non è esattamente la risposta alla domanda che mi ha posto, ma quel giorno, e anche dopo, è così tanto più importante di qualsiasi altra cosa che mi è capitata nella mia esperienza nel calcio, che la risposta deve essere questa.
D. Quindi possiamo dire che quel giorno sarà il dolce ricordo per molte persone per lungo tempo.
R. Sì, direi di sì.