Il Consiglio Federale della FIGC ha annunciato ieri l’introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio a partire dalla stagione sportiva 2018/2019. In attesa di conoscere nel dettaglio la norma, il suo iter d’applicazione e l’impianto “penale” che la accompagnerà, è inevitabile porsi alcune domande a proposito di un passaggio epocale per il calcio italiano.
Se da una parte non vi è dubbio sul fatto che sia giusto imporre alle società alcuni vincoli operativi che vadano nella direzione di una gestione più sana e possibilmente autonoma, vi sono allo stesso tempo diversi dubbi che sorgono pensando all’introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio, così come comunicata.
Ogni norma può essere in sè giusta o sbagliata ma spesso la sua bontà dipende dall’ordinamento all’interno del quale è inserita molto più che dal principio che essa afferma in sè.
L’impressione generale è che una norma del genere andrebbe accompagnata con alcune altre riforme strutturali del nostro calcio tra cui in particolare:
– la ristrutturazione dei campionati professionistici e la riduzione (fondamentale) del numero di squadre in serie A
– un piano infrastrutturale chiaro in grado di incentivare i club a dotarsi di strutture e servizi (in generale si direbbe “gli stadi di proprietà”) in grado di accogliere la tifoseria-clientela
– la revisione della distribuzione dei diritti tv
Innanzitutto è la stessa definizione di pareggio che andrà verificata. Cosa intendiamo con pareggio? I costi operativi e gli ammortamenti non devono superare il fatturato? Oppure si parla di pareggio in senso stretto, ovvero l’ultima riga del bilancio ufficiale del club?
Quale sarà il riflesso sulla competitività europea dei nostri club? Nemmeno il Fair Play Finanziario fin qui si è spinto ad imporre il pareggio di bilancio, concedendo comunque alle società un tetto triennale di possibile “rosso”. Una ulteriore restrizione rappresenterebbe per i grandi club italiani un aggravio nel tentativo di recuperare posizioni nel ranking (a livello sia individuale che di nazione).
Vi è un enorme rischio di ingigantire ulteriormente le differenze tra i club piccoli e medio piccoli. Lo stesso FFP quando è stato applicato ha mostrato chiaramente tutti i suoi limiti nel fatto di aver scavato un solco tra i grandi club e gli altri, creando una elite europea assolutamente
Il pareggio di bilancio può avere senso laddove parte dei ricavi sono collettivizzati, come negli sport Usa. In Italia i ricavi dei club sono rappresentati soprattutto diritti tv che sono spartiti in modo meno equo rispetto ad altri campionati (ad esempio la Premier league) ed è evidente che alcuni club non potranno mai puntare nemmeno a raggiungere non solo il top ma nemmeno la fascia medio-alta. Quindi non potendo spendere più di quanto incassano sono inesorabilmente destinate a dover investire poco nella rosa.
Quale effetto avrà, infine, una regola del genere sulle possibilità dei grandi gruppi stranieri di investire nel nostro calcio? Posto che al momento sono benaltri i problemi che li hanno tenuti lontani, è altrettanto vero che difficilmente una regola così stringente invoglierà a puntare su società così irrigidite dal punto di vista gestionale e – in gran parte – con scarse possibilità di successo anche sportivo.
Il pareggio di bilancio in se è un bene? Di certo va nella direzione di rendere più sostenibile il business e di evitare casi Parma. Ma attenzione alle controindicazioni:
– il Parma aveva formalmente bilanci in utile o con perdite limitate. Perché faceva plusvalenze sul player trading (che incidono positivamente sul bilancio), ma non incassava pressoché nulla dalle cessioni. Quindi mancava la cassa. E se manca la cassa si fallisce (in questo senso andrà verificata la bontà del cosiddetto indicatore di liquidità che sembra voler andare in questa direzione).
– se io sono, ad esempio, Volpi e voglio comprare la Samp. In virtù del ragionamento di prima sui ricavi non potrò mai investire come Juve o Milan, perché la Samp deve chiudere in pareggio. Ma io sono ricchissimo e posso ripianare il rosso di bilancio con le mie risorse. Perché non posso continuare a farlo? E allo stesso modo come potrà continuare a sopravvivere una società come il Sassuolo, retta dal mecenatismo old school della Mapei?
Sappiamo che esistono ad oggi alcuni vincoli (a partire dalla competitività europea dei grandi club) che suggeriscono di non andare dritti alla soluzione dell’introduzione di un Salary Cap, tuttavia l’impressione è che – se non si vuole cadere sempre più verso campionati scontati – il pareggio di bilancio, se non accompagnato da una radicale riforma della distribuzione dei ricavi in grado di mitigare le differenze tra grandi e piccoli club, rischia di compromettere definitivamente la competitività media del campionato italiano.