La defezione di Giorgio Chiellini a pochi giorni dalla finale di Champions League potrebbe spostare un po’ di più l’ago della bilancia in favore del Barcellona. A Berlino, i Blaugrana arrivano con i favori del pronostico contro la Juventus.
Ma una cosa è certa. Il Barcellona non guarderà la Juventus dall’altro in basso. E non solo perché è una finale, una gara secca in cui tutto può succedere: dalle parti del Camp Nou si ricordano ancora dell’atteggiamento tenuto prima della finale di Champions ad Atene nel 1994, persa poi malamente contro il Milan di Fabio Capello. Ma anche perché, nonostante la distanza economica tra i due club ci sia ancora, la Juventus negli anni sta lavorando per limare il gap. Nel frattempo, è diventato il primo club italiano per ricavi. Il desiderio è quello di tornare un modello, come accadeva 12 anni fa. Internazionalizzando le fonti di ricavo.
Quando la Juve era un modello per il Barcellona
C’è stato un momento in cui le squadre italiane vincevano in Europa, sul campo e nei bilanci. Non parliamo di ere geologiche fa: basta avvolgere il nastro di 12 anni. Per la precisione all’altezza temporale di un quarto di finale di Champions League. Siccome la storia ama ripetersi, in quell’edizione della “Coppa dalle grandi orecchie”, i bianconeri all’epoca guidati da Marcello Lippi affrontarono le due big di Spagna nel cammino verso la finale. Ci fu la doppia sfida contro il Real Madrid in semfinale, allora come oggi, finita allo stesso modo, cioè con la Juve in finale. E ci fu anche la gara contro il Barcellona. Anzi, le gare: quella volta i Blaugrana non vennero affrontati all’ultimo atto, ma ai quarti.

Ed anche all’epoca, il Barcellona appariva favorito. Il campo disse poi un’altra cosa, ma anche il modello della gestione d’impresa bianconera parlava un linguaggio differente dal catalano. Lo dimostra un passaggio di un pezzo scritto di recente da Esteve Calzada, ex ceo del Barça, per le colonne di Marca: “Il 9 aprile del 2003, in coincidenza con un quarto di finale Juve-Barcellona di Champions, nel vecchio stadio Delle Alpi, ho chiesto di incontrarmi con Romy Gai, il mio omologo nel team italiano. Volevo imparare dal suo modello di gestione del marketing, che prevedeva ricavi maggiori del 50% rispetto a quelli del Barcellona, nonostante il loro stadio contenesse in media 20mila spettatori“.
Calzada imparerà in fretta. Alla fine di quella stagione, la Juventus chiuderà con 215 milioni di ricavi, contro i 169 del Barcellona. L’anno dopo, Juve ancora in vantaggio, m il divario si assottiglia: 229 milioni a 208. Nel 2006, il Barcellona vince la Champions, portando i ricavi totali a 259, contro i 251: il sorpasso è compiuto.
Il sorpasso Blaugrana
Nel frattempo, la Juve finisce in Serie B per la questione legata a Calciopoli: la retrocessione d’ufficio non fa altro che dare una potente accelerata al distacco tra i due club. Un distacco che, come visto, si era già prepotentemente assottigliato. I minori introiti da diritti tv colpiscono in maniera netta le entrate, che passano da 251 a 149 milioni di euro. Il ritorno in Serie A prima e in Champions poi aiutano ad innalzare il trend, che torna sopra il tetto dei 205 milioni. Nel frattempo, il Barcellona ha tranquillamente sfondato il muro dei 300: sono 309 nel 2007/08, 366 nel 2009, anno della prima Champions degli “alieni” di Guardiola. I risultati del campo influiscono: 8 vittorie in Liga e 3 Champions in 12 anni hanno fatto sì che il Barça passasse de -27% a +74% di ricavi rispetto alla Juve.
I risultati vengono accompagnati da una gestione di stampo internazionale: si punta ad incrementare gli introiti da sponsor legati all’emergente mondo arabo da una parte, mentre dall’altra si punta ad aumentare l’allargamento della fan base fuori dai confini spagnoli. Sì, perché l’immagine va veicolata attraverso i social. E se in Spagna non sei la squadra più amata (25,4% di aficionados, contro i 37,9% del Real Madrid), allora si punta sull’estero. Ed ecco che arrivano gli oltre 124mila contatti tra Facebook, Twitter e Instagram. Più esposizione, più sponsor, più soldi e meno dipendenza dai diritti tv, dove fino a quest’anno comunque le big hanno avuto ricavi smodatamente più alti delle altre.
“La nuova Vecchia Signora”
Dopo il settimo posto in A nel 2011, anno in cui la Juve sprofonda a 154 milioni di euro di ricavi, è partita la riorganizzazione. Prima, lo stadio di proprietà, che è arrivato ad assicurare al club alla voce matchday ricavi da circa 41 milioni di euro, contro gli 11 dell’ultima stagione all’Olimpico. Sebbene lo stadio sia più piccolo del Camp Nou e i suoi ricavi di conseguenza inferiori, ciò che conta è l’effetto domino sulle altre voci della gestione caratteristica. Perché uno stadio che fa quasi il 90% di percentuale di riempimento porta entusiasmo di pubblico e di investitori: è quell’effetto moltiplicatore che fa sì che Nike lasci la sponsorizzazione tecnica del club con effetti indolori, perché dalla prossima stagione ci sarà Adidas con i suoi 23 milioni di euro all’anno.
La Juve è ripartita dall’Italia. Lo stadio nuovo, i 4 scudetti, l’allargamento della fan base. A differenza del Barça, i bianconeri sono i più tifati in Italia e dopo averli accaparrati sui social, ora è il momento di mettere il naso fuori dai confini della Serie A: non è un caso che i fan sui social bianconeri siano ultimamente cresciuti di più (19%) di quelli del Barça (12%). Il salto di qualità lo fai quando ti consolidi in casa e cerchi il dominio anche fuori. La Juve lo sa bene, tanto che dal punto di vista economico ha avuto tante soddisfazioni dalla Champions, grazie anche al più vantaggioso market pool per le italiane. Nel 2013 i bianconeri sono usciti ai quarti e si sono portati a casa 65,3 milioni contro i 45,5 dei semifinalisti Blaugrana. Nel 2014, Juve fuori dal girone nella neve di Istanbul: 43,1 milioni di incasso, contro i 42 del Barcellona fuori ai quarti. Il capolavoro quest’anno: 75 milioni a 53 per le due finaliste. E e aggiungiamo tutte le voci come il botteghino, questa coppa per la Juve ne varrà oltre 100.

Con il consolidamento in Europa, la Juve può tornare grande. I ricavi oltre i 300 milioni sono il segnale maggiore, ma sotto c’altro. Nell’ultimo bilancio gli introiti erano legati ancora per il 55% a quelli da broadcasting (153 milioni), ma crescono quelli commerciali del 24%. Gli accordi globali sono ancora pochi, ma la strada intrapresa va verso l’incremento: l’accordo con il regional sponsor messicano Tecate ne è la conferma. Anche in Spagna se ne sono accorti: su Marca la chiamano “La nuova Vecchia Signora”.