Superlega: italiane si, spagnole ni. Ecco a chi conviene veramente

Superlega europea squadre fondatrici ammesse. La creazione del supercampionato europeo comunemente individuata come Superlega (o Superleague nella sua declinazione inglese) tiene banco e si arricchisce ogni settimana di un nuovo…

MP & Silva, l'imprenditore Riccardo Silva

Superlega europea squadre fondatrici ammesse. La creazione del supercampionato europeo comunemente individuata come Superlega (o Superleague nella sua declinazione inglese) tiene banco e si arricchisce ogni settimana di un nuovo capitolo.

L’ultimo in ordine di tempo è quello del vertice delle squadre inglesi a margine del quale The Sun ha carpito qualche fotografia esclusiva, in seguito al quale è emersa una certa prudenza delle stesse squadre inglesi all’accettare la creazione del nuovo campionato, giusto per non dire diffidenza o contrarietà.

Lo scarso interesse delle squadre inglesi è presto giustificato: oggi la Premier Leaugue è il campionato più ricco del mondo in termini economici. In Premier i diritti tv valgono di fatto più della Champions League. Chi vi partecipa dall’anno prossimo avrà un minimo garantito di 150 milioni.

Ma il dato importante che si deduce da questa opposizione è un altro. Finora nessuno è stato chiaro su un punto chiave: Superlega significa che i top club usciranno dai loro campionati nazionali e ne giocheranno uno europeo? Oppure si tratta di un modo per identificare una nuova formula per la Champions league?

Il fatto che Arsenal e Liverpool storcano il naso fa capire che la prima ipotesi (campionato ex novo) che pareva la meno calda, abbia ancora qualche sostenitore ai tavoli delle trattative.

Lecito chiedersi: a chi realmente converrebbe, tra i club europei, l’abbandono dei propri campionati nazionali per entrare in una eventuale nuova Superlega?

Per capirlo bisogna soprattutto valutare valore e prospettive dei mercati dei diritti tv nei diversi paesi, pur non trascurando il fatto che senza campionato nazionale i club avrebbero una possibilità di vittoria stagionale in meno (per molti fregiarsi del titolo nazionale ultimamente è una consuetudine). E le vittorie, si sa, anche quando scontate, sono comunque sempre un veicolo commerciale per le società.

ITALIA: MOLTISSIMO. Fin da quando Andrea Agnelli ha lanciato (si era a ottobre del 2013) l’idea di un supercampionato europeo a 20 squadre l’ipotesi principale ventilata era quella del campionato alternativo. Oggi la situazione vede la Juventus egemone sul piano sportivo con una quota di diritti tv che oscilla tra i 100 e i 125 milioni di euro e che di fatto copre interamente gli ingaggi di una stagione.

L’appeal calante del nostro campionato e soprattutto il rischio che il valore dei diritti tv tenda a non aumentare in futuro sarebbero in prospettiva ulteriori incentivi.

Se la Juve ha grosse ragioni Milan e Inter ne hanno di enormi. Per tornare competitivi i due club hanno bisogno di investimenti, infatti entrambi cercando (quantomeno) nuovi soci. I bilanci oggi non permettono grandi margini di manovra: un campionato di livello europeo invece aumenterebbe lo status di due brand già forti (in una città, Milano, attrattiva e dal brand fortissimo: l’unica ad aver avuto due club Campioni d’Europa), e renderebbe le società più appetibili di oggi agli investitori stranieri, farebbe subito aumentare i ricavi televisivi grazie ai nuovi accordi della Superlega.

Roma e Napoli? Ci potrebbero stare come potrebbe starci il Bologna. Eresia? Tutt’altro! Bisognerà capire su quali basi verranno “ammesse” le società, ma è chiaro che garanzie patrimoniali e societarie e infrastrutturali potrebbero essere preponderanti (anche più del blasone, fino ad ipotizzare – ne parliamo più avanti – la nascita ex novo di nuovi club). Usciamo dai provincialismi: a livello internazionale una presidenza Joey Saputo può valere più di tante presidenze di Serie A che al momento lo sopravanzano in classifica.

Superlega europea calcio, Agnelli e Rummenigge spingono insieme per la novità

FRANCIA E GERMANIA: MOLTO. Mettiamo insieme i due paesi per ragioni economiche, sportive ed extra calcistiche. I primi due club a cui vengono associati sono PSG e Bayern Monaco. Egemoni in patria parigini e bavaresi sono già competitivi al massimo livello in Europa. Economicamente sono solidi e (a differenza della Juventus, in questo senso decisamente più parsimoniosa) hanno soci sempre disponibili a immettere capitali freschi in un’ottica di crescita. Nell’extra calcio, poi, il ruolo di Francia e Germania quando qualcosa di “europeo” si va a formare è da sempre decisivo. Per entrambi i club si tratterebbe di rinunciare di fatto a campionati vinti a mani basse, ma il mercato televisivo appetibile rappresenta la spinta decisiva. Ligue 1 e Bundesliga sono i campionati televisivamente meno appetibili: lasciarli non sarebbe un trauma.

Per gli altri club secondari (diciamo Borussia Dortmund in Germania, Lione e Marsiglia in Francia, ma vale il discorso fatto sopra per i club “minori” italiani) il salto europeo sarebbe del tutto interessante.

SPAGNA: INTERESSI DIVERGENTI. Oggi Real Madrid e Barcellona sono i due club più ricchi al mondo. Giocano sistematicamente almeno i quarti di finale di Champions League e in Spagna hanno, di fatto, garantiti due posti su 3 nella Liga Spagnola. Insomma: hanno possibilità di vincere ovunque, perchè cambiare?

A differenza degli altri Paesi la Spagna accetta il duopolio da sempre e questo sul piano tecnico tattico è anche la sua fortuna: sapendo di non poter competere per il titolo se non sporadicamente e per congiunzioni astrali favorevoli i club secondari (Valencia, Siviglia, Villareal) possono concentrarsi su altro: fanno storicamente meno mercato all’estero e puntano di più sui giovani (il 23% delle rose è “fatto in casa”, nessuno fa meglio nei Big 5). Ma così facendo finiscono per puntare tutto sull’Europa – dove le chances di alzare un trofeo sono maggiori – ottenendo i migliori risultati di tutti.

Il nuovo accordo dei diritti tv della Liga (per la prima volta collettivo, mentre prima era individuale) premierà proprio questi secondi club bloccando di fatto intorno ai 150-160 milioni gli introiti di Barcellona e Real Madrid.

Lasciare la Liga non potrebbe non avere un impatto economico, ma andare in Superlega sarebbe interessante per Real Madrid e Barcellona qualora gli introiti televisivi (che sicuramente potrebbero avvicinarsi se non addirittura superare la Premier League) diventassero più cospicui.

Gli altri, come Atletico Madrid o Valencia (entrambi con partecipazioni asiatiche, peraltro) avrebbero invece tutto l’interesse a fare il salto europeo: già in Spagna non vincono, il mercato tv internazionale sarebbe più premiante e i loro brand avrebbero un appeal superiore (una situazione quindi simile a quella di Milan e Inter).

INGHILTERRA: PER NIENTE. I club inglesi si trovano di fronte ad un paradosso. Per ricavi sono i più ricchi di tutti (basti dire che la diciottesima di Premier fattura come il Napoli) e l’arrivo del nuovo contratto tv (7 miliardi l’anno) garantirà circa 150 milioni l’anno a tutti (significa che l’ultima prende grosso modo il 25% circa in più della Juventus campione d’Italia). Ma sul piano sportivo (anche per il fatto di aver equamente distribuito i proventi televisivi negli ultimi anni) questo significa soprattutto tre cose:

– campionato altamente competitivo (basti vedere la Premier di quest’anno con Leicester e Tottenham protagonisti)
– gare logoranti e quindi più “stanchezza” infrasettimanale in Europa (i risultati delle ultime due stagioni non sono solo dati tecnici o di disinteresse)
– maggiore alternanza di squadre che si qualificano per le Coppe (quest’anno rischiano di stare fuori Liverpool, Chelsea e Manchester United) e quindi uno svantaggio competitivo enorme dei top club (che perderebbero in Europa il loro gap guadagnato con i diritti tv di Premier)

Ecco per chè le inglesi preferirebbero che tutto fosse discusso in termini di (il “complotto dei giganti” lo ha definito settimane fa il Sun) nuova formula di Champions League, con licenze (ovvero posti garantiti) per i club dal maggior blasone e con i fatturati più alti.

In estrema sintesi: oggi l’ipotesi che nasca non già una Superlega Europea tout court ma piuttosto una Superlega della Zona Euro (quindi senza le inglesi) è tutt’altro che da scartare. Anche perchè salverebbe di fatto il valore della Champions League dell’UEFA (che manterrebbe il suo appeal e sarebbe anche il banco di prova per la sfida Europa – Gran Bretagna).

GLI ALTRI. Più che chiedersi se per i club portoghesi (Benfica, Porto, Sporting) o olandesi (Ajax, Psv, Feyenoord) o belgi l’approdo in Superlega sarebbe auspicato o meno (ovviamente sul piano dei ricavi tv lo sarebbe, alla grande) è interessante evidenziare che la creazione di un campionato europeo per club con il sistema delle franchigie all’americana (si partecipa per titoli: capitale azionario, bacini d’utenza, forza infrastrutturale) avrebbe l’effetto non solo di valorizzare la storia ma probabilmente di rendere appetibili nuove piazze.

Si pensi a Dublino: città a forte vocazione internazionale, aperta all’afflusso di capitali, dall’ottimale condizione logistica e infrastrutturale (l’Aviva Stadium è un gioiello). Un eventuale Dublin FC sarebbe impensabile in un sistema calcio nazionale come quello irlandese, ma nella prospettiva europea la nuova franchigia avrebbe grandissimo appeal. E lo stesso varrebbe per molte altre città: Berlino, Bruxelles, Glasgow, Varsavia, Belgrado, la stessa Atene. In generale laddove un mercato calcistico esiste e dove il movimento nazionale non riesce ad essere leva decisiva per la competitività europea del club ai massimi livelli.

Il punto è che ai tavoli dell’ECA si ragiona di business e di potenzialità di business. Il blasone e la storia sono credenziali che ognuno porta, ma l’apertura delle porte quando avviene è dettata dalla consistenza di piani di business in cui “quante coppe hai vinto in passato” diventa uno degli aspetti, ovvero: tra l’Amburgo e il fantomatico Dublino FC la differenza non la farebbe certo la coppa alzata dai tedeschi nel 1983.

Ultimo aspetto. Si è detto della diatriba: nuova Champions o campionato fondato ex novo. Se si finisse su questa seconda soluzione non è detto che non si provi a salvare capra e cavoli con l’espediente delle squadre B, ovvero un Barcellona A che gioca la Superlega e un Barcellona B che scende in campo nella Liga. Certo, andrebbe considerata la perdita in termini di diritti tv dei campionati nazionali, ma l’impressione è che i mediopiccoli possano avere tutto l’interesse a sfidare comunque i grandi (magari con squadre caratterizzate da un numero minore di stranieri), anche se privati a livello nazionale dei giocatori della loro rosa di Superlega.