L'Arabia "praticamente" si aggiudica i Mondiali 2034: conseguenze immediate sul calciomercato

Grazie all’assegnazione del 2030, l’Arabia si aggiudica “praticamente” i Mondiali 2034. Le ragioni dietro questo piano, tra conseguenze immediate sul calciomercato e sportwashing.

PIF interesse Milan
FOOTBALL AFFAIRS
Mohammed bin Salman, Gianni Infantino e Vladimir Putin (Photo ALEXEY DRUZHININ/AFP via Getty Images)

L’Arabia Saudita ha lanciato in settimana la propria candidatura per ospitare i Mondiali 2034 ed è una candidatura che quasi sicuramente avrà successo visto che le norme FIFA impediscono di giocare nello stesso continente due edizioni susseguenti della kermesse iridata.

L’annuncio saudita infatti è arrivato soltanto qualche ora dopo la notizia che la Coppa del Mondo 2030 sarà giocata in sei Paesi divisi su tre continenti – la gran parte della manifestazione sarà disputata in Spagna, Portogallo e Marocco ma le partite iniziali si giocheranno in Argentina, Paraguay e Uruguay in omaggio al centenario del primo mondiale giocato in quest’ultimo Paese.

Nei fatti, per la norma FIFA di cui sopra, la scelta fatta per i Mondiali 2030 non permetterà quindi a nazioni sudamericane, europee e africane di candidarsi per l’edizione 2034. E lo stesso discorso vale anche per i Paesi dell’America Settentrionale, visto che Canada, Stati Uniti e Messico ospiteranno la Coppa del Mondo del 2026. In pratica, per l’edizione 2034 restano papabili soltanto altre nazioni asiatiche o dell’Oceania e visto che la confederazione asiatica ha già detto di voler sostenere l’iniziativa saudita la strada sembra spianata per il governo di Riad.

Un pericolo in teoria potrebbe venire dall’Australia, che però insieme alla Nuova Zelanda ha già ospitato il Mondiale femminile 2023. Inoltre l’Australia, che geograficamente è situata in Oceania, nel mondo del pallone fa parte della confederazione asiatica che, come detto, vuole sostenere la candidatura saudita.

Il tam tam degli annunci è stato talmente veloce che a non pochi osservatori il tutto è parso molto sospetto. Quasi che l’intera vicenda facesse parte di uno stesso disegno della FIFA di trovare una grande quadra e contemperare da un lato le esigenze storiche – celebrare in America Latina il centenario del Mondiale 1930 – e dall’altro quelle geopolitiche ed economiche:

  • nel caso della Coppa 2030 quella di premiare la prima candidatura congiunta Europa-Africa. Cosa che per altro non dispiace per nulla a colossi del calcio spagnolo come Barcellona e Real Madrid visto che il governo iberico è pronto a varare un pacchetto da 1,5 miliardi per sostenere le infrastrutture necessarie. E quindi parte di questi soldi finiranno nella tasche di quei club che stanno rinnovando i propri stadi come appunto i due giganti della Liga.
  • Invece per quanto riguarda il 2034 la scelta è quella di premiare i crescenti investimenti dell’Arabia Saudita nel mondo del pallone, dall’acquisto tramite il fondo PIF del Newcastle in Premier League al potenziamento in grande stile del proprio campionato nazionale, la Saudi Pro League.

Non solo ma il New York Times ha sottolineato come ci sia un altro aspetto che, in qualche modo, finirà per favorire l’Arabia Saudita: le tempistiche per la presentazione delle candidature. «La FIFA», si legge sul quotidiano statunitense, «ha affermato che l’iter per l’assegnazione della Coppa del Mondo del 2034 si concluderà entro il prossimo anno, con un voto dei 211 paesi membri. Una eccezione visto che di solito l’intero processo si conclude sei o sette anni prima della fase finale, quindi nel 2027 o 2028».

Insomma in un tempo così breve sarà difficile, per non dire impossibile, che qualcuno presenti un progetto in grado di competere con quello dei sauditi.

I MONDIALI TRA CALCIO E GEOPOLITICA

Nello scenario suddetto è quindi plausibile che di qui al 2034 torneranno sotto la luce dei riflettori i grandi, e non infondati, rilievi che molti osservatori hanno sollevato nei confronti della FIFA in occasione dei Mondiali 2022 in Qatar. In particolare la questione se sia giusto ed etico premiare con l’organizzazione della più grande manifestazione sportiva al mondo Paesi che certo non brillano per trasparenza né per i meccanismi democratici e nemmeno per la tutela dei diritti civili delle minoranze etniche e di genere. L’accusa sottintesa è quella che il potere del denaro di questi Paesi riesce anche a superare questi ostacoli di natura etica.

E certamente se il Qatar era stato nel mirino sia per la mancanza di tutele delle minoranze di cui sopra sia per condizioni dei lavoratori, per lo più immigrati, che hanno costruito gli stadi, non si può dire che l’Arabia Saudita offre maggiori garanzie in questo senso e non va scordato il delitto nel 2018 del giornalista dissidente Jamal Khashoggi ucciso all’interno dell’ambasciata saudita a Istanbul.

Sul fronte opposto la FIFA, che nella sua storia prima di Qatar 2022 qualche scheletro nell’armadio già l’aveva – per esempio Italia 1934, Argentina 1978 e Russia 2018 -, ha sempre spiegato che in primo luogo l’obiettivo principale della federazione mondiale – la mission per dirla in gergo aziendale – non è quello di fare politica o geopolitica ma quello di espandere il gioco del calcio il più possibile nel mondo. Soprattutto ora che la primazia del pallone nel pianeta dovrà presto subire sia l’offensiva dei grandi sport statunitensi (sempre più propensi a lanciarsi oltre il Nord America) sia i cambiamenti legati alle nuove tecnologie nei gusti delle nuove generazioni.

In seconda istanza, Gianni Infantino e i suoi manager, in occasione di Qatar 2022, hanno sempre fatto notare che proprio in virtù dell’organizzazione dei Mondiali qualcosa si è mosso nel Paese del Golfo. Tra questi piccoli progressi figurano in particolare temi in relazione ai diritti umani e il benessere dei lavoratori, come ad esempio sul fronte del salario minimo.

Tutte piccole riforme che probabilmente non sarebbero avvenute se il Mondiale non fosse sbarcato in quel paese e se la pressione internazionale legata all’evento non avesse messo sotto l’occhio del ciclone quella nazione piccola, seppure molto ricca.

LO SPORTWASHING AL CENTRO DEI PIANI SAUDITI

Questo detto, oltre ai temi di geopolitica in senso stretto, l’organizzazione dei Mondiali avrà però un effetto tangibile e immediato nel mondo del calcio. Un effetto che riguarderà da vicino tutte le squadre europee: se i sauditi, come tutto lascia presagire, otterranno i Mondiali 2034, quantomeno per un decennio proseguiranno gli investimenti del Paese nel calcio e quanto si è visto nel calciomercato appena terminato potrebbe essere solo l’antipasto di quanto avverrà nelle prossime stagioni.

Più volte infatti in questa rubrica si è sottolineato come l’offensiva araba sul mondo del calcio non ha le stesse caratteristiche di quella cinese, ora tramontata, degli ani passati. Diversamente dalla Cina che fonda la propria potenza economica sulle sue industrie di trasformazione (nei fatti il Paese del dragone è la fabbrica del mondo che vende i propri manufatti in tutti gli angoli del pianeta) il mondo arabo ha la propria forza nelle materie primepetrolio e gas su tutti-, senza avere una grande industria di trasformazione.

Questo significa che, sulla via della decarbonizzazione intrapresa dal mondo occidentale, il mondo arabo avrà sempre più necessità di diversificare i propri investimenti al di fuori dei settori legati alle proprie materie prime per eccellenza. E, senza industria di trasformazione, il modo migliore per diversificare in maniera proficua è investire nei settori industriali più redditizi del mondo più sviluppato – lusso, immobiliare di alto livello e istituzioni finanziarie. Quindi in Europa e Nord America.

Il punto è che queste nazioni sono anche quelle più attente alla qualità di questi investimenti. Di qui la necessità per i Paesi del Golfo – che come si diceva non brillano per democrazia né per tutela delle minoranze– di investire nello sport per ripulirsi l’immagine ed essere meglio accettati nella comunità del business dei Paesi più sviluppati attraverso il cosiddetto sportwashing. Pertanto investire nello sport per numerosi Paesi arabi non è soltanto una questione di mostrare la propria potenza come era nel caso della Cina, ma è una vera e propria necessità strategica. E se a Pechino non è costato molto innestare la retromarcia sul calcio e non andare avanti su quella strategia di grandezza sportiva, per i Paesi arabi questa è una delle strade quasi obbligate per poter crescere al di fuori del Golfo.

Insomma è presumibile che se l’Arabia Saudita otterrà i Mondiali 2034, la Saudi Pro League, che già nell’ultima sessione è stata seconda solo alla Premier per volume di spesa, continuerà a investire copiosamente sul mercato per almeno un decennio. Proprio perché a Riad tutto vogliono tranne che presentarsi senza glamour e potenza all’evento che sarà una vetrina mondiali senza precedenti.

Prova ne sia il fatto che il giorno successivo l’annuncio della candidatura saudita, Sportitalia, l’emittente che insieme a La7 detiene i diritti di trasmissione della Saudi Pro League in Italia, ha rivelato che le autorità saudite hanno stabilito di innalzare il numero dei giocatori stranieri per ogni squadra (da 8 a 10) dando segno ulteriore, se mai ce ne fosse stata la necessità, di come la federazione saudita abbia intenzione di permettere alle proprie squadre di rafforzarsi sul mercato sin da subito per dare maggiore competitività al proprio torneo.

E in questo quadro sarà interessante vedere nelle prossime stagioni quale sarà la pressione saudita per poter fare accedere le proprie squadre ai tornei UEFA. Ipotesi sinora sempre seccamente smentita e rifiutata da Nyon.

L’ARABIA SAUDITA, EXPO 2030 E LO SPONSOR DELLA ROMA

Nel quadro suddetto, una conferma di quanto il legame calcio e politica sia sentitissimo nel Golfo viene da quanto è successo in settimana a Roma. La società giallorossa ha siglato con Riyadh Season (il brand del festival di intrattenimento gestito dal governo di Riad) un accordo quale sponsor di maglia per le prossime due stagioni per un valore pari a complessivi 25 milioni di euro. Si tratta della maggiore intesa commerciale nella storia del club e per questo vanno fatti i complimenti sia ai Friedkin sia all’amministratrice delegata Lina Souloukou.

Il punto però è che la capitale saudita è la principale concorrente di quella italiana per aggiudicarsi l’organizzazione di Expo 2030 (il voto decisivo è in programma il prossimo novembre), un evento che stando alle previsione avrebbe un indotto di 50 miliardi di euro per la Città Eterna. Ed è evidente che né il nuovo sponsor giallorosso né il tempismo dell’intesa siano stati graditi al sindaco Roberto Gualtieri in Campidoglio né alla Regione Lazio. Entrambe le istituzioni infatti si sono detti essere all’oscuro dell’operazione.

Ora al di là del fatto che la Roma è una società privata e in quanto tale può ospitare sulle sue maglie lo sponsor che più ritiene opportuno (soprattutto se paga queste cifre), va detto che Riad era data di gran lunga per favorita già prima del’intesa con la Roma. Ciò non toglie però che il nodo politico esiste e non a caso il presidente della Lazio Claudio Lotito si è subito detto disponibile perché la squadra biancoceleste porti sulle proprie maglie il logo della capitale italiane di Expo 2030.

Soprattutto appare evidente come i sauditi non badino a spese per ottenere tramite il calcio i propri obiettivi di immagine all’estero.