In settimana qualcosa sembra essersi mosso nel progetto, ormai annoso, che dovrebbe portare alla costruzione del nuovo stadio di San Siro a Milano. L’amministrazione del capoluogo lombardo ha infatti annunciato l’avvio del dibattito pubblico per il prossimo 28 settembre, a meno di ulteriori novità dell’ultim’ora (è già slittato dalla data inizialmente prevista del 19 settembre).
Nello stesso tempo, come svelato da Calcio e Finanza, Inter e Milan hanno depositato l’aggiornamento dello “Studio di Fattibilità Tecnico Economica” sul progetto dello stadio. Questa testata ha infatti potuto visionare e rendere noti al pubblico i documenti ufficiali delle due società milanesi svelando tutte le tappe che porteranno al nuovo stadio, tutti i costi che saliranno dagli 1,2 miliardi preventivati ad almeno 1,3 miliardi e non certo da ultimo tutti i ricavi che il club nerazzurro e quello rossonero si attendono di poter ottenere dall’impianto che sostituirà il Meazza, oltre anche agli altri sport che potranno essere praticati in quella zona.
Al momento, ovviamente, tutto è sulla carta e sia tempistiche che dati economici (se il progetto sarà realizzato) saranno messi alla prova dei fatti. Quel che è certo è che si tratterà di uno dei maggiori investimenti immobiliari realizzati a Milano negli ultimi dieci anni e che doterà il capoluogo lombardo di un impianto che entrerà nella nuova iconografia cittadina (landmark building nel gergo di chi opera nel real estate) e che sostituirà un altro impianto monumento quale è l’attuale stadio Meazza.
Un’altra cosa certa è la capienza del nuovo stadio: dai 75mila spettatori dell’attuale San Siro si passerà ai 60/65.000 posti del nuovo impianto.
Trattasi di una scelta giusta considerando i bacini di utenza di Inter e Milan? Sicuramente il nuovo stadio sarà un cinque stelle UEFA, ovvero il massimo del punteggio che un impianto può ottenere. Questo significa che il nuovo stadio di Milano potrà ospitare qualsiasi manifestazione calcistica di rilievo internazionale a livello di club – la soglia minima di capienza per la finale di Champions League per esempio è di 50.000. L’Allianz Stadium di Torino, casa della Juventus, ha una capienza di 41.507 spettatori e per questo può ospitare soltanto una finale di Europa League.
LA FIFA IMPONE 80MILA POSTI PER FINALE E PARTITA INAUGURALE
Mentre a livello di grandi tornei per Nazionali qualcosa cambia. Se la UEFA per gli Europei 2028 consente anche a un impianto da 60.000 posti di ospitare la finale, la FIFA, per la Coppa del Mondo 2026, ha permesso che le semifinali possano essere ospitati in impianti da 60mila posti, ma ha imposto che la finale e la partita inaugurale dei Mondiali (San Siro ospitò quella del 1990) debbano essere giocate in un impianto da almeno 80.000 posti.
Insomma il punto si pone: è giusto oppure no dotare una città come Milano dalle ambizioni internazionali di un impianto di soli 60/65.000 posti?
Nel dibattito pubblico che si andrà ad aprire è bene che si tenga conto anche di questo aspetto che raramante ha fatto capolino nelle discussioni sinora svolte.
E la questione si pone ancora di più considerando che Inter e Milan ultimamente non fanno fatica a riempire l’attuale San Siro di 10/15.000 posti più capiente dell’impianto progettato. Non solo, ma si tenga anche conto che nel nuovo stadio dei 60/65mila posti totali ben 13.500 saranno destinati alla hospitality (voce molto redditizia per le società) mentre l’attuale San Siro ne ha soltanto 3.000 su una capienza di 75mila posti. E quindi i posti per la vendita libera saranno molti meno di quelli odierni.
In termini finanziari, sempre prendendo per buoni i ricavi attesi dalle due squadre, la scelta ha senso e dovrebbe pagare. Nella stagione 2018/19 di Inter e Milan (l’ultima con lo stadio totalmente a pieno regime prima del Covid) hanno avuto ricavi extra matchday (quindi non legati alla vendita di biglietti e abbonamenti) pari a 12,3 milioni di euro derivanti da museo, tour, store, eventi e sponsor, mentre le due società si attendono dal nuovo impianto entrate per 120 milioni annui.
D’altronde che uno stadio nuovo, sebbene più piccolo, possa portare maggiori ricavi per le società che li vi giocano non è una novità, visto che spesse volte la Juventus dall’Allianz Stadium ha incassato ricavi ben superiori da quelli di Inter e Milan dal molto più grande San Siro. Infatti se è vero che le due squadre meneghine hanno monopolizzato la classifiche delle presenze allo stadio dal 2000 (Inter prima in 13 occasioni su 21, Milan al top in sei), è anche vero che soprattutto a metà del decennio scorso le presenze medie al Meazza erano ben lontane da quelle delle ultime stagioni.
Nelle stesso tempo non va dimenticato che il Meazza, sia in versione nerazzurra che in quella rossonera, è uno degli stadi meno cari d’Italia per quanto riguarda le squadre più importanti. E forse anche per questo che i due club riescono a riempire il Meazza abbastanza agevolmente.
STADI SEMPRE PIENI ANCHE PER ESIGENZE TELEVISIVE
In questo quadro è comprensibile il motivo per il quale le due società hanno optato per un impianto da 60/65mila posti. Nei fatti è la stessa scelta che fece a suo tempo la Juventus quando scelse un impianto da 40.000 posti considerando che non sempre, specialmente quando le cose andavano male, il club riempiva il vecchio Delle Alpi (67.229 posti).
In pratica la filosofia è questa: lo stadio deve avere una capienza che consenta ai club che vi giocano di riempirlo molto agevolmente anche nei tempi più bui. Avere gli spalti pieni piace molto ai giocatori che trovano un ambiente infuocato a loro sostegno, ma soprattutto ai broadcaster che pagano per i diritti televisivi.
In tv uno stadio pieno rende sempre meglio che gli spalti vuoti, anche se poi magari in termini assoluti ci sono più spettatori nel secondo caso che nel primo (nel vecchio Maracanà di Rio de Janeiro da 200.000 posti anche una folla di 80.000 persone non riusciva a distogliere l’aura di desolazione che le platee per larghi tratti vuote trasmettevano): tanto che, anche per esigenze televisive, in Spagna ad esempio vengono messi in vendita prima i biglietti dei settori dello stadio posti di fronte alla telecamera principale, in modo da dare comunque l’idea di un impianto pieno a chi guarda la partita da casa.
Se invece la squadra va bene e l’entusiasmo è a mille, i club potranno tranquillamente posso agire sulla leva del prezzo aumentando il costo dei tagliandi secondo le esigenze del mercato. Con buona pace di molti tifosi, che pur in favore della costruzione del nuovo impianto, vedono con preoccupazione la possibilità di una esclusione dallo stadio delle fasce meno abbienti della popolazione.
È evidente quindi che tra i due paradigmi dominanti nel calcio europeo – quello inglese dominato dai prezzi alti dei tagliandi e quello tedesco più attento al numero di spettatori che al costo biglietti – le due società milanesi abbiano optato per il primo. La cosa non sorprende vista la proprietà americana del Milan e quella cinese – ma con studi negli Stati Uniti per quanto riguarda il presidente Steven Zhang – dell’Inter. Non solo ma è altrettanto evidente che il modello inglese è quello che non solo rende di più in termini monetari ma è anche quello più semplice da implementare visto che è basato su semplici meccanismi di mercato. Il modello tedesco invece è legato anche sub norme societarie (50%+1) che impongono un altissimo coinvolgimento dei tifosi nella vita e nelle scelte, anche economiche per quanto riguarda pure lo stadio. Insomma una cultura complicata da ricreare da zero.
Va però detta anche una cosa: in Inghilterra questa rivoluzione verso prezzi più elevati iniziò con il varo della Premier League negli anni novanta del secolo scorso anche per la necessità di stadi più sicuri dopo la tragedia di Hillsborough (1989). Inoltre l’aumento del prezzo dei tagliandi si rivelò anche una misura per potere estromettere, insieme a leggi severissime, il fenomeno degli hooligan che aveva piagato il calcio di Sua Maestà negli anni ottanta. Ora, posto che l’hooliganism inglese degli anni ottanta può essere solo in minima parte assimilabile al mondo ultrà italiano d’oggigiorno, sarà curioso capire il modo in cui le società che fanno del mercato la loro stella polare si occuperanno della variabile ultras, che nel bene o nel male, amata od odiata, è una caratteristica, importante per le due dimensioni, del mondo del calcio italiano.