Dalla Kiko agli ottavi di Champions League. Antonio Percassi è l’uomo dietro il periodo d’oro dell’Atalanta. Calciatore prima, presidente una prima volta nei primi anni novanta e proprietario poi dal 2010, Percassi è riuscito a portare i nerazzurri lì dove nessuno era riuscito: tra le migliori 16 squadre d’Europa.
Merito anche del modello Atalanta, che ha funzionato sempre meglio: massima attenzione al settore giovanile, capacità di scegliere i giocatori garantendosi anche spesso corpose plusvalenze, senza tuttavia perdere in competitività anche grazie alla guida di Gasperini in panchina. E pensare che il 4 giugno 2010, quando Percassi ha acquistato il club, l’Atalanta era ancora in Serie B.
Modello Atalanta, i numeri e il bilancio
L’evoluzione a livello economico resta evidente. Il bilancio 2011, primo sotto la proprietà Percassi, si è chiuso per i nerazzurri con ricavi per 37,9 milioni e 2,7 milioni di plusvalenze. Da lì i numeri sono saliti fino ad arrivare al record nell’esercizio chiuso il 31 dicembre 2018 (ultimi dati disponibili): ricavi per 155,7 milioni, con corposo aiuto dalle entrate da player trading (circa 70 milioni tra plusvalenze, incassi da prestiti e bonus). E le cifre potranno salire nel 2019 grazie alla partecipazione alla Champions League: raggiungere gli ottavi ha garantito ricavi per almeno 39,4 milioni (qui l’analisi completa).
Merito anche della capacità di generare ricavi importanti dal player trading. Le migliori cessioni hanno riguardato, tra gli altri, calciatori come Bastoni (venduto all’Inter con 30,6 milioni di plusvalenza), Kessie (Milan, 29,5 milioni di plusvalenza), Gagliardini (Inter, 27,9 milioni di plusvalenza), Conti (Milan, 22,8 milioni di plusvalenza), Caldara (Juventus, 18,8 milioni di plusvalenza) e Cristante (Roma, 15 milioni di plusvalenza). Affari tutti di una certa rilevanza, con un impatto costante dal mercato: nell’era Percassi le plusvalenze hanno portato il 24,4% dei ricavi dell’Atalanta, con 169 milioni di euro dalle cessioni dei giocatori su un fatturato totale di 703 milioni di euro.
Mercato che ha garantito anche utili a bilancio, andati via in crescendo: dal 2010 al 2015 i nerazzurri hanno accumulato perdite per 17,6 milioni, ma dal 2016 al 2018 sono arrivati 50,8 milioni di utili. Che hanno permesso alla società di Percassi di investire anche a livello di infrastrutture, tra lo stadio la cui ristrutturazione ha già portato alla nascita della nuova Curva (l’impianto sarà pronto nel 2021 con un costo complessivo di 35 milioni) e il centro sportivo.
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D’altronde anche a livello immobiliare Percassi ha saputo fare affari. Il business principale, tuttavia, resta la cosmetica, seppur in difficoltà negli ultimi anni: nel 1997 il figlio Stefano ha infatti creato il marchio Kiko, che nel 2018 ha avuto ricavi per 596 milioni di euro (-2,5%), di cui 314 milioni consolidati dalla holding Odissea, la cassaforte della famiglia Percassi che detiene il 51% della Kiko.
Modello Atalanta e non solo: Kiko e Starbucks
Ma l’azienda di cosmetica è solo il fiore all’occhiello di gruppo attraverso cui il patron dell’Atalanta gestisce anche società che attiva nella vendita al dettaglio di abbigliamento (marchi propri: Womo, Vergelio e Bullfrog e marchi gestiti in franchising: Nike, Gucci, Armani Exchange, Victoria’s Secret e Bath and Body Works), della vendita al dettaglio di articoli da regalo, per il tempo libero e di articoli da gioco (marchio proprio: DMail e marchio gestito in franchising: Lego), nel settore della ristorazione (marchi propri: Da 30 polenta, Caio – Antica Pizza Romana e le piadine Casa Maioli e marchi gestiti in franchising: Wagamama e Starbucks), e nel settore immobiliare con cui gestisce anche il centro commerciale Orio Center, oltre ovviamente alla società nerazzurra.
Un business che nel 2017 valeva 805 milioni di fatturato, cifra scesa a 550 milioni nel bilancio chiuso il 31 dicembre 2018 a causa della nuova modalità di calcolo dei ricavi di Kiko (dal 2018 consolidati proporzionalmente al 51,76%, mentre quelli del 2017 erano inclusi per il loro ammontare totale) ma in crescita su tutti gli altri settori rispetto al 2017. Nel 2018 è migliorato il risultato netto del gruppo, sempre in rosso ma sceso da -26,3 a -14,5 milioni anche grazie all’utile della stessa Atalanta. Stabile invece il patrimonio netto, pari a 334,3 milioni di euro. E il calcio, grazie agli exploit di Gomez e compagni, diventa sempre più centrale.
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