Come funziona il Manchester United, colosso nonostante i fallimenti sportivi

Modello di business Manchester United – Il Manchester United è una delle più grandi corporation del calcio internazionale. Non è solo la dimensione dei ricavi a dimostrarlo, quanto – piuttosto -…

Zlatan Ibrahimovic Manchester United 2016 2017

Modello di business Manchester United – Il Manchester United è una delle più grandi corporation del calcio internazionale. Non è solo la dimensione dei ricavi a dimostrarlo, quanto – piuttosto – la composizione degli stessi. Guardiamone il breakdown 2015:

Modello di business Manchester United, l'andamento dei ricavi
Modello di business Manchester United, l’andamento dei ricavi

In 10 anni il club ha più che raddoppiato i ricavi. Dai 157 milioni di sterline del 2005, ha toccato i 395 milioni nel 2015. Circa la metà di questi introiti (197 milioni) è oggi di origine commerciale: sponsorship, merchandising, retail, licensing.

In questo ambito lo United ha fatto scuola, lanciando tournée internazionali ed aprendo la strada delle maxi sponsorizzazioni, internazionali prima a regionali poi, ben prima di altri competitors. Tra gli sponsor più munifici, vanno ricordati Adidas, Chevrolet, Aon.

Modello di business Manchester United, ricavi commerciali e diritti tv
Modello di business Manchester United, ricavi commerciali e diritti tv

I ricavi da broadcasting ammontano a 108 milioni di sterline, ovvero il 27% del totale. Far parte della Premier League è certo un aiuto in termini di crescita dei diritti televisivi. Ma il club non si è fermato a questo. Ha infatti lanciato, prima di altri, un proprio canale televisivo, in grado di raggiungere 90 paesi.

L’ultima componente di introito deriva dallo stadio: 91 milioni di sterline da Old Trafford che, negli ultimi 17 anni, ha avuto una percentuale di riempimento medio del 99%.

A fini comparativi, riportiamo di seguito il breakdown dei ricavi dei principali club europei per l’esercizio 2014. Rispetto a tali evidenze, i numeri 2015 del Manchester United vedono – come detto – un incremento dell’incidenza della componente commerciale.

Modello di business Manchester United, confronto con i top club europei
Modello di business Manchester United, confronto con i top club europei

Emerge in maniera molto chiara la diversificazione del business, proiettato sulla brand extension e lo sfruttamento commerciale del nome Manchester United.

‎Lo United è stato precursore di strategie di marketing su scala globale e, più in generale, di un business model‎ strutturato, degno di un’azienda corporate, applicato all’industria calcistica.

Le grandezze espresse segnano un divario significativo nei confronti dei club italiani, mentre ‎gli altri top club europei (Real Madrid, Barcellona, Bayern), nel corso degli anni hanno sfruttato i propri marchi in maniera comparabile.

Ciò che differenzia il club dagli altri player globali è la strategia finanziaria dell’ultimo decennio. Risale infatti al 2005 il leverage buy out (LBO) con cui la famiglia Glazer compra il club. L’opa che delista il Manchester dalla Borsa di Londra nel 2005 valorizza la societa’ un controvalore di 1.1 miliardi di Euro.

Il LBO produce un debito di circa 800 milioni di Euro in capo alla Red Football JV (il veicolo utilizzato per acquistare il club) che trova i flussi di cassa per ripagare il relativo indebitamento nel bilancio del Manchester United.

Inizia così una fase che vede il club vendere alcuni giocatori importanti (Van Nisterlooy, Cristiano Ronaldo) per mantenere l’equilibrio finanziario.

I traguardi sportivi non mancano (5 Premier League nel periodo 2007-2013), ma è soprattutto l’abilità tecnica di Alex Ferguson a compensare campagne acquisti non all’altezza delle grandi rivali europee. In questo periodo lo United ha solamente il terzo payroll più alto della Premier League e sono pochi i colpi ad effetto in sede di campagna acquisti (ad es. i 24 milioni di sterline spesi per Van Persie nel 2012).

Nel frattempo, la macchina commerciale dei Red Devils continua a produrre sponsorizzazioni, merchandising, partnership e tournée milionarie.

I flussi di cassa operativi si mantengono comunque su livelli interessanti (il business plan dei Glazer si basa, anno per anno, sulla qualificazione alla Champions e sul raggiungimento dei quarti di finale della competizione continentale)  e la proprietà si cimenta in operazioni finanziarie che, agli occhi dei tifosi, appaiono quantomeno singolari. I figli di Malcolm Glazer prendono ad esempio a prestito dal club 15,5 milioni di dollari per non meglio specificati motivi personali.

Nel 2012 lo United torna in borsa, a New York questa volta. Con un debito intorno ai 430 milioni di Euro, la società raccoglie sul mercato 190 milioni di Euro, di cui circa la metà serve ad abbattere il debito del LBO. L’altra metà finirà ai Glazer.

Parte significativa delle risorse societarie è dunque messa al servizio del debito contratto dalla proprietà per l’acquisto del club.

Con l’avvicendamento tra Sir Alex e Moyes nel 2013, queste dinamiche si riflettono inevitabilmente nella performance sportiva (settimo posto nel 2014, quarto posto nel 2015).

I Glazer non si dicono preoccupati. La società, del resto, incrementa fatturato ed utili costantemente. Il club produce cassa ed il valore della compagnia aumenta (nel 2013 Forbes assegnava alla società un Enterprise Value di 3.3 miliardi di dollari).

La proprietà gestisce il club come un asset del proprio portafoglio che, in quanto tale, deve consegnare ritorni finanziari, flussi di cassa, incrementi di valore.

Non è il modello di sceicchi ed oligarchi e nemmeno il modello di autofinanziamento e proprietà diffusa del Bayern Monaco o di azionariato popolare dei club spagnoli. Potremmo definirlo modello americano.

Non solo perché il calcio inglese riporta altri due esempi simili, con Liverpool ed Arsenal in mano ad azionisti a stelle e striscie con simili logiche gestionali. Ma anche perché i club sportivi USA (si pensi a basket, football, baseball) sono gestiti come imprese di entertainment in mano a tycoon che cercano profitti.

Una logica molto simile al private equity, che cerca la valorizzazione dell’investimento (nella forma di dividendi e capital gain al momento della vendita del club, cosiddetta way-out) e, da un punto di vista sportivo, si accontenta anche del piazzamento pur di non compromettere l’equilibrio finanziario.

‎Gli anni di transizione sportiva, con piazzamenti al posto di vittorie, non hanno finora scalfito l’appeal commerciale del brand Man Utd.

La‎ strategia di marketing ha del resto creato, nel corso di decenni, un marchio molto resiliente e capace di attrarre nuove partnership. Dunque, di aumentare i ricavi.

Pur con risultati ancora non apprezzabili, il club è tornato ad effettuare investimenti importanti‎ (25 milioni di sterline per Depay, 36 milioni per Martial) e rumors sempre più forti vogliono Mourinho al posto di Van Gaal alla guida tecnica.

Nondimeno, finché i Glazer manterranno la proprietà, i tifosi dello United dovranno fare i conti‎ con logiche finanziarie forse più forti di quelle sportive.