Come la Superlega può rivoluzionare il calcio europeo (in meglio)

Una nuova Champions League o un campionato del tutto nuovo destinato a rivoluzionare il calcio europeo? La Superlega, evocata da Karl Heinz Rummenigge è tornata nel dibattito politico-sportivo di…

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Una nuova Champions League o un campionato del tutto nuovo destinato a rivoluzionare il calcio europeo? La Superlega, evocata da Karl Heinz Rummenigge è tornata nel dibattito politico-sportivo di questi giorni dopo che per circa 15 anni la pace firmata tra i grandi club ha garantito continuità al calcio europeo così come lo abbiamo conosciuto.

A questo punto è interessante analizzare gli scenari, anche perchè l’impressione generale è questa: al pari della formula sportiva e dell’architettura complessiva del calcio europeo saranno fondamentali le regole economiche (di ingresso e continuità) che permetteranno di governare un nuovo sistema.

L’annata chiave sarà il 2018-2019 quando scadrà l’attuale formula soprattutto economica della Champions league, ma decisivo potrebbe essere anche il 2020: all’indomani di quel Campionato Europeo che in occasione del sessantesimo anniversario della competizione si disputerà in 10 diverse città d’Europa ed all’inizio di un nuovo decennio.

Complementarietà, Competitività e Omogeneità sono le tre parole chiave principali a cui la Superlega dovrà tendere.

L’impressione è che, trattandosi di un torneo che sarà diretta emanazione dei club (che a quel punto dovrebbero formare una società ad hoc così come accadde nel 1992 con la Premier League) questi tre principi saranno fortemente rispettati. Tanto più se i club attualmente egemoni a livello nazionale dovessero rinunciare ai propri campionati per entrare nella Superlega.

In altre parole: la Juventus – per fare un esempio – avrebbe interesse a rinunciare alle vittorie nazionali solo in presenza di regole che superino l’attuale rigidità del Financial Fair Play e garantiscano parità di condizioni, quantomeno sul piano sportivo. Quindi più competitività.

Ecco perchè con la Superlega potrebbe diventare di estrema attualità il Salary Cap, ovvero il sistema in grado di garantire il maggior grado di omogeneità tecnica alle squadre iscritte ad una singola competizione.

Come ha già affermato Andrea Agnelli: “Bayern Monaco, Manchester United, Real Madrid e Barcellona sono economicamente inarrivabili in un prospettiva europea”. Ecco perchè il Salary Cap sarebbe la condizione decisiva per portare la competizione su un piano più sportivo che economico e la clausola che permetterebbe ai club “minori” (pensiamo al Dortmund, Atletico Madrid e i vari comprimari ricchi) di accettare la sfida.

Non solo. Il Salary cap andando ad agire sulla voce più dispendiosa (gli ingaggi) e rendendola invece prevedibile renderebbe più appetibili le società aprendole ulteriormente agli investitori internazionali attratti a quel punto dai maggiori utili potenziali.

E naturalmente ridisegnerebbe il mercato delle sponsorizzazioni, perchè è chiaro che anche un club oggi comprimario avrebbe forti possibilità di primeggiare.

L’impressione generale è che il Salary Cap sia fondamentale perchè la sua alternativa sarebbe nel lungo periodo il cristallizzarsi dei rapporti di forza proprio come accaduto di recente nelle competizioni nazionali ed europee. Ed in un campionato senza retrocessioni questo sarebbe mortale per l’interesse generale.

Non convince per nulla l’idea delle retrocessioni in Superlega. Il concetto di base è un altro: i club per entrare in SL devono garantirsi nel lungo periodo e devono avere una determinata massa di ricavi capace di garantire il rispetto del Salary Cap (che per sua natura ha anche un minimo salariale da rispettare, altrimenti non ha senso il tetto).

Perchè mai un Napoli o un Ajax o un Lione dovrebbero accettare di giocare saltuariamente, ogni due, tre o cinque anni, una Superlega a perdere rinunciando in quegli anni a giocarsi i loro campionati nazionali? Le aziende in quanto tali sono meglio gestibili con aumenti di ricavi continui nel tempo che non con la spada di damocle di improvvisi shock dietro l’angolo.

Ecco perchè, anche per la competitività dei sistemi inferiori (ovvero i campionati nazionali) la Superlega dovrà essere un sistema chiuso che ammetta non su basi sportive ma solo su basi economiche.

Vi è quindi una deduzione logica: la Superlega dovrà soppiantare i campionati nazionali così come li abbiamo conosciuti (che continueranno ad esistere ma senza i top club, con effetti positivi sulla loro competitività).

Inoltre: dovrà creare una sua società di gestione ad hoc con i club a parteciparvi in quote paritarie, mentre l’Uefa continuerà a organizzare le sue due Coppe internazionali.

Le squadre della Superlega comunque potrebbero impreziosire le coppe nazionali (magari giocando sempre in trasferta, ma qui ogni Paese deciderebbe autonomamente) che diventerebbero l’unico torneo nazionale che le vedrebbe presenti.

Immaginiamo ad esempio una SL a 16 squadre (almeno nella fase iniziale, aperta poi alle expansion come succede negli sport USA). Ai Club verrebbero chieste opportune garanzie economiche, finanziarie e patrimoniali (in questo senso ci sarebbero opportunità di ingresso per molti investitori attualmente interessati) e a cui verrebbe imposto un tetto salariale (qui abbiamo spiegato il funzionamento del sistema in termini generali).

Non è da escludere che per partecipare alla Superlega, proprio come accade alla MLS, si possano muovere importanti gruppi sia valorizzando squadre esistenti nelle grandi capitali, ad esempio ad Est (pensiamo all’area euro: Bratislava, Dublino, Atene, Bruxelles o Vienna, ma anche all’esterno dell’area euro in città come Varsavia, Budapest o Belgrado) o addirittura a investimenti “ex novo” come potrebbe capitare in piazze come Dublino, fortemente internazionali, attrattive per i capitali, con un pubblico indubbiamente affamato di calcio nonostante una tradizione locale scadente.

La formula. Ipotizziamo qui una struttura all’incirca di 40 partite. La necessità principale è quella di creare un numero maggiore di eventi, ovvero non più partite ma più partite con qualcosa in palio: obiettivi, qualificazioni eccetera. Quindi non un girone unico ma diversi step fino ai playoff: ovvero la formula che massimizza questo concetto di “evento”.

Un’ipotesi:

– prima fase da 16 squadre divise in 2 gironi da 8 (14 partite) le prime quattro vanno al girone vincenti le altre nel girone sfidanti

– seconda fase con altre 14 partite. Il girone vincenti qualifica le prime 6 subito ai playoff, le ultime due si giocano la qualificazione ai play off contro le prime due del girone sfidanti. Il girone sfidanti manda le prime 2 alla qualificazione playoff, le altre vengono scaglionate in modo che ogni 2 posti ci sia un diverso obiettivo (qualificazione ai gironi di Champions League o retrocessione ai preliminari di Champions League dell’anno dopo).

I playoff. Non fanno parte della cultura calcistica tradizionale, ma hanno un indubbio valore spettacolare ed accrescono il valore delle partite televisivamente parlando. Potrebbero essere l’appendice da giocarsi nell’arco di 8-10 partite con 10 squadre ammesse: le ultime 4 chiamate ad un turno di qualificazione prima dei quarti di finale. Poi avanti fino alla finalissima sempre nella logica dell’andata-ritorno. Un elemento di spettacolarità potrebbe essere l’introduzione del “tabellone sfidanti” (come accade in altri sport) che permetterebbe di allungare la permanenza nel torneo delle eliminate fino ad una finalissima da giocarsi al meglio delle tre partite tra chi ha fatto il percorso netto e chi invece viene dal tabellone sfidanti. Si andrebbe alla bella se la squadra sfidante riuscisse nella gara di andata e ritorno a battere la squadra arrivata fin lì dal tabellone principale.

Le competizioni europee. L’UEFA – che ripetiamo deve essere Federazione e non organizzare la Superlega ma solo le sue coppe – potrebbe mantenere la struttura attuale del proprio ranking per nazioni. In Champions andrebbero le squadre della Superlega (12 dirette le altre dai preliminari) più ii campioni delle varie federazioni. L’Europa League andrebbe invece chiusa alle squadre della Superlega permettendo così (in caso di eliminazione ai gironi) a tutte le squadre campioni dei propri Paesi di sfidarsi per un titolo europeo (sia attraverso l’accesso diretto che attraverso la retrocessione come avviene oggi e che potrebbe essere allargata a tutte le squadre non-SL in Champions).

La Champions diventerebbe qualcosa di molto simile ad una “Coppa nazionale” della Superlega a cui potrebbero ambire anche le squadre campioni nazionali qualificatesi nei gironi. Stando al blasone è facile immaginare 32 squadre in 8 gironi con 2 squadre di Superlega in ogni girone e 2 non-SL. Per tutte queste non-SL ci sarebbe il ripescaggio (quindi più ampio rispetto ad ora) in Europa League.

L’Europa League diventerebbe la massima competizione europea per tutte le squadre non-SL e non includerebbe mai le squadre SL proprio per lasciare un ambito competitivo europeo depurato dalla presenza degli squadroni.

Oltre al Super-League Salary Cap, sarebbe più facile a quel punto prendere in considerazione anche l’idea di un eventuale Salary Cap nazionale, che a quel punto – ovvero in seguito all’esclusione dei grandi club – sarebbe molto più raggiungibile per le minori differenze tra i vari club.

Va poi considerato l’effetto della Superlega sui movimenti calcistici nazionali. Tolte di mezzo dalla Serie A le milanesi e la Juve (oltre presumibilmente a Roma e Napoli) tutti vedrebbero moltiplicate le proprie possibilità di prestigio e vittoria e l’interesse imprenditoriale per il calcio potrebbe crescere.

L’ipotesi di un Torino o una Fiorentina, ma anche una Samp, un Genoa fino ad un Sassuolo o un’Atalanta campioni d’Italia non sarebbe così remota.

Tirando le fila del discorso, si arriverebbe a un sistema calcistico formato da cinque colonne:

– la Superlega, caratterizzata da un elevato livello tecnico e competitivo, come diretta conseguenza del Salary Cap e delle risorse finanziare ed economiche delle squadre componenti;

– la Champions League, con un livello tecnico alto, ma con un grado di competitività più basso (almeno nei gironi), a causa della partecipazione di squadre sotto poste a due regimi di Salary Cap differenti (quello nazionale e quello della Super-League);

– l’Europa League e i singoli campionati nazionali, caratterizzati da un tasso tecnico più basso in confronto ai casi precedenti, ma un tasso di competitività alquanto elevato, vista l’esclusione delle squadre SL.

– le coppe nazionali, con un tasso di competitività più basso perchè finirebbero per accettare le squadre SL che potrebbero cannibalizzarle, ma dall’elevato interesse trattandosi delle uniche competizioni nazionali con le squadre SL a sfidare in sfide dal sapore (a quel punto vintage) le connazionali.

(ha collaborato alla stesura dell’articolo Filippo Erba)