Indagine della procura sui diritti tv confermata. Quella sulla cessione del Milan no

Dopo le anticipazioni de La Repubblica di sabato – riprese anche da C&F – piovono le conferme: ieri il procuratore Edmondo Bruti liberati ha trasformato le indiscrezioni in certezze. La Procura…

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Dopo le anticipazioni de La Repubblica di sabato – riprese anche da C&F – piovono le conferme: ieri il procuratore Edmondo Bruti liberati ha trasformato le indiscrezioni in certezze. La Procura di Milano sta indagando su presunti costi gonfiati nell’acquisto dei diritti tv del calcio per l’ipotesi di reato di ostacolo alla vigilanza dell’Antitrust.

Nessuna conferma invece sul fatto che le due tranche dell’inchiesta possano aver toccato anche aspetti della cessione di quote del Milan – il 48% del club alla cordata rappresentata da Bee Bee Taechaubol – come riportato dalla stampa nel fine settimana.

L’indagine è ancora in fas investigativa: ieri Bruti Liberati ha incontrato l’avvocato Niccolò Ghedini, storico legale di Silvio Berlusconi che ha visto anche il procuratore aggiunto Giulia Perrotti (capo del pool anticorruzione che opera con i pm Roberto Pellicano e Giovanni Polizzi) che coordina l’inchiesta sui diritti tv del calcio per la serie A per il periodo 2015-2018.

Il periodo in esame era stato oggetto di un’asta competitiva che ha visto sfidarsi Mediaset e Sky Italia: tutto per ora ruota attorno alla mossa fatta dall’Antitrust che lo scorso maggio si era presentata in Lega Calcio con un decreto di sequestro per acquisire le carte per l’assegnazione dei diritti oggetto del bando gestito dall’advisor Infront e che ha fruttato un incasso di 945 milioni a stagione.

L’ipotesi formulata sarebbe quella di un cartello tra i grandi club che dovrebbe garantire agli stessi la fetta più grande della torta. Nel filone d’indagine, tra l’altro, sarebbero stati raccolti successivamente anche gli sviluppi dell’inchiesta sul barone Filippo Dollfus de Volkesberg, che è stato arrestato in Svizzera nel maggio scorso con l’accusa di aver gestito una vera e propria «holding del riciclaggio» con conti correnti cifrati per imprenditori italiani di primo piano e per soggetti che volevano nascondere soldi, anche frutto di corruzione.

Due tranche di indagine collegate ma sul quale rimane il massimo riserbo.