La conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il calcio ha ormai assunto un peso geopolitico ed economico planetario è emersa in tutta la sua evidenza in questi giorni:
- Sabato 19, a due giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il presidente della FIFA, Gianni Infantino, è stato ricevuto dal neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida.
- Poi lo stesso Infantino si è trasferito a Washington per essere lunedì 20 presente tra gli invitati alla cerimonia di giuramento del 78enne tycoon newyorchese.
- Nello stesso tempo, martedì 22, in Svizzera un ex giocatore come David Beckham, ora proprietario dell’Inter Miami in MLS, è stato invitato a parlare al World Economic Forum di Davos, un evento che si tiene annualmente nella cittadina elvetica e nel quale i grandi del mondo politico (per intenderci Trump è intervenuto online e tra i presenti c’era anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky) ed economico si trovano per discutere delle macro tendenze della geopolitica internazionale.
- Poi sempre nella kermesse di Davos Michele Uva, Direttore della sostenibilità sociale e ambientale della UEFA, ha partecipato con eminenti esperti del mondo scientifico su come il calcio possa aiutare i più giovani contro la dipendenza digitale e le sue conseguenze negative.
Infantino e il ruolo di Trump per il calcio negli USA
Nello specifico, Infantino ha spiegato di aver discusso con Trump della Coppa del Mondo per Club di quest’estate e soprattutto della Coppa del Mondo per nazionali del 2026. Due tornei globali che saranno ospitati entrambi negli Stati Uniti e che hanno un notevole significato strategico per entrambi i personaggi:
- per Trump, perché negli Stati Uniti hanno ormai capito che lo sviluppo di un eventuale quinto sport nazionale a livello professionistico da affiancare al mondo universitario e alle quattro discipline tradizionali nordamericane (football americano, hockey, basket e baseball) non può che fare bene a una economia che ha nella passione per lo sport un notevole motore trainante. Anche perché gli Stati Uniti hanno un numero di franchigie limitato nelle loro discipline tradizionali e quindi un quinto sport nazionale non farebbe che bene all’economia, soprattutto in alcune piazze “dimenticate” dalle quattro discipline storiche. Per esempio, nella MLS sono piazze importanti Columbus (Ohio) e Austin (Texas), che trovano scarsa rappresentanza nei quattro grandi sport nordamericani.
- Per Infantino, perché è evidente come gli Stati Uniti siano divenuti il campo di battaglia fondamentale nella missione di mantenere il calcio nel gradino più alto quale sport più popolare al mondo. E non per niente è dagli sport USA che giungono le minacce più pesanti a questa leadership
Per quanto concerne Davos, invece, l’intervento di Beckham ha avuto come elemento pivotale il suo ruolo di ambasciatore dell’Unicef e proprio per questo l’ex calciatore ha parlato di giovani, di sviluppo sostenibile e del lavoro del suo “7 Fund”, che collabora con l’Unicef per sostenere i diritti dei bambini più vulnerabili. In particolare, l’ex stella del Manchester United e della nazionale inglese ha spiegato: «Non sono un politico né uno scienziato, ma so riconoscere una cosa: la forza di questo sport. Il calcio è lo sport più amato e può cambiare la vita delle persone». Però il fatto stesso che l’ex Spice Boy sia stato invitato in un contesto così elitario la dice lunga sulla importanza che il calcio ha assunto a ogni livello.
Lo stesso dicasi per il panel “Connection vs Connectivity: Tackling the Loneliness Epidemic” in cui era presente Uva e che aveva quali altri interlocutori:
- Chris McKenna -Founder & CEO, Protect Young Eyes (moderatore)
- Gaia Bernstein– Professoressa alla Seton Hall University School of Law
- Mitch Prinstein – Chief Psychology Officer presso l’American Psychological Association
- Phil McRae – Educator & Scholar
L’obiettivo era analizzare come la dipendenza digitale nei giovani porti a una mancanza di attenzione e a uno sviluppo più lento di abilità sociali. In questo senso, ha spiegato Uva, il calcio può essere un antidoto in quanto una attività fisica costante a livello di squadra non solo aiuta le interazioni sociali ma anche amicizie e abilità di lavorare in team, anche perché mentre una persona è impegnata in una partita non può essere davanti a uno smartphone o a uno schermo. Inoltre, lo sport migliora il livello di salute mentale e contrasta ansia e sbalzi di umore.
Insomma, se il calcio mondiale nella sua missione di mantenere la leadership di sport più popolare del pianeta, aveva la necessità di essere presente nei principali eventi economici e politici a livello mondiale, non si può non dire che questo obiettivo sia stato centrato.
Non solo, ma per venire a temi più meramente economici, la Deloitte Money League ha messo in evidenza come i fatturati dei maggiori 20 club al mondo nella stagione 2023/24 siano cresciuti a 11,2 miliardi di euro, un livello del 6% superiore a quella precedente. E se si allarga il campo ai primi 30 club questo dato sale del 6,5%.
Senza dubbio un dato incoraggiante anche se poi la solidità dei club non è tanto data dai ricavi, per quanto importantissimi, ma dal loro bilanciamento con i costi. Non va dimenticato per esempio che nel 2023 era emerso che il Barcellona dominava di fatto in termini di ricavi rispetto agli altri top club, però qualche giorno più tardi la stessa società catalana ammise di avere avuto oltre 1,3 miliardi di debiti. E quindi di essere stata sull’orlo dell’insolvenza.
I conti della Serie A nella stagione 2023/24
In questo quadro, come svelato da Calcio e Finanza i conti della Serie A nella scorsa stagione hanno visto un ulteriore miglioramento da un punto di vista dei ricavi ma anche dell’ultima riga dei bilanci, quella cioè del risultato netto: seppur ancora in perdita, infatti, il rosso aggregato dei club del massimo campionato è sceso da 441 a 369 milioni di euro, a fronte di ricavi pari a 3,8 miliardi e costi per 3,9 miliardi: le spese rimangono ancora superiori alle entrate, ma il fatturato ha visto un aumento del 7% tra il 2022/23 e il 2023/24 rispetto al 5% dei costi.
Una crescita del fatturato che è significativa soprattutto considerando la stagnazione dei diritti tv, pari a complessivi 1,47 miliardi (nel 2018/19, prima della pandemia, erano stati complessivamente 1,37 miliardi) e un livello di entrate dal calciomercato (780 milioni) anch’esso stabile rispetto agli anni precedenti. La spinta così è arrivata dai ricavi commerciali e anche da quelli da stadio, due temi fondamentali per cercare di ridurre il gap dall’estero.
Guardando però i dati da un altro punto di vista, emerge comunque come i costi siano ancora decisamente troppo alti. Il 77% dei ricavi infatti viene investito per quanto riguarda il costo del personale (1,96 miliardi rispetto a 1,88 miliardi nel 2022/23), gli ammortamenti dei calciatori (811 milioni rispetto a 772 milioni) e i costi del calciomercato. Un valore che i club devono cercare di diminuire, provando però al tempo stesso a mantenere alta la competitività in campo (dimostrata anche dai risultati europei): una sfida non semplice ma decisiva nella ricerca della sostenibilità economica.

Ricavi, costi e risultato netto: tutti i conti della Serie A 2023/24
La crisi del calcio francese e i rischi per il sistema
In questo scenario di affermazione nei palcoscenici più importanti del mondo geopolitico e di crescita delle entrate, non si può però nascondere le crepe del sistema del pallone, che non sono poche. E che anzi probabilmente stanno aumentando.
In questo quadro il grido di allarme che appare più preoccupante è quello proveniente dalla Ligue 1 francese, il minore tra i grandi campionati europei ma pur sempre parte integrante dei tornei denominati Big 5 (Inghilterra, Spagna, Francia, Italia e Germania). E quindi pilastro importante dell’economia del calcio europeo.
Nello specifico, nei giorni scorsi è emerso che i club di Ligue 1 hanno assommato nella stagione 2023/24 qualcosa come 1,2 miliardi di perdite, al netto degli incassi da plusvalenze. Una cifra monstre per il quinto campionato europeo. Per dare una idea si pensi che in Italia si è iniziato a gridare, non senza ragione, allo scandalo già quando nella stagione 2022/23 (lasciando stare le annate zavorrate dal Covid) il deficit complessivo dei 20 club di Serie A è salito a quasi 440 milioni, nonostante nel frattempo siano migliorati come spiegato sopra, con una perdita diminuita a 369 milioni nel 2023/24.
Per altro in Francia diversi club storici stanno avendo problemi economici: il Bordeaux è fallito ed è dovuto ripartire dai dilettanti, il Lione ha bisogno di circa 100 milioni per evitare la retrocessione d’ufficio e anche il potentissimo PSG sembra avere intrapreso una strada più pacata nelle spese verso il pareggio operativo.
Non sorprende quindi che Oltralpe il tema sia divenuto talmente importante da giungere sul tavolo del governo del nuovo primo ministro François Bayrou insediatosi lo scorso dicembre. «Quello che mi preoccupa oggi è la Ligue 1: la situazione è grave. Con un deficit di 1,2 miliardi di euro, sarà necessario agire in fretta», ha spiegato la nuova ministra dello sport Marie Barsacq. «I numeri ci portano a essere preoccupati. Capisco ovviamente le sfide e le conseguenze che ha avuto la battaglia in merito ai diritti televisivi locali della Ligue 1. Non voglio sparare sulla Croce Rossa. La mia sfida è portare al dialogo e cercare soluzioni» ha continuato senza mezzi termini la ministra legandosi al tema dei diritti televisivi interni del massimo campionato francese, con le prime giornate che non sono andate nemmeno in onda in Francia.
In particolare la Ligue de Football Professionnel (LFP) aveva indicato in 1 miliardo di euro all’anno il tetto minimo per il bando valido per le stagioni 2024/29. Però poi la LFP ha dovuto quasi subito rivedere le proprie stime fino ad arrivare ai circa 500 milioni annui provenienti dall’intesa in essere con DAZN (che manda in onda otto gare su nove a giornata per un contributo di 400 milioni) e beIN Sports, di proprietà del presidente del Paris Saint-Germain, Nasser Al-Khelaifi che ne versa 100 milioni (mentre in Italia nessun broadcaster ha partecipato all’asta per trasmettere la Ligue 1 dopo che negli ultimi cicli i diritti sono stati nelle mani di Sky, DAZN e Mediaset Premium).
Numeri questi che hanno portato a un netto calo dei ricavi da diritti tv per i club, come specificato per esempio dal Lione, che ha evidenziato questa riduzione nei conti trimestrali. «I diritti TV della LFP/FFF ammontano a 2,8 milioni di euro rispetto ai 7 milioni di euro al 30/09/23 (-61%)», si legge nel documento.
A questo si aggiunga il problema della pirateria che nel Paese registra numeri molto alti. Per esempio il 55% degli spettatori televisivi dell’ultimo Marsiglia-PSG arrivava da fonti illegali, secondo un’indagine dell’Arcom, l’Autorità francese per la comunicazione audiovisiva e digitale.
È evidente che in questo quadro la speranza è legata all’arrivo di nuovi investitori, specialmente se tra i più importanti d’Europa come le grandi dinastie transalpine. «L’ingresso di Red Bull o la famiglia Arnault al Paris FC, sono elementi positivi, però la situazione è grave», ha spiegato Barsacq non nascondendo il nodo strategico.
Quello che più conta però è che il problema potrebbe non essere solo transalpino. In primo luogo perché come si diceva la Ligue 1 è pur sempre tra i campionati denominati Big 5 e quindi colonna importante del calcio a livello continentale, oltre ad essere probabilmente la miglior fucina di talenti d’Europa. Soprattutto però perché spesso le patologie, anche quelle economiche, attaccano prima i più deboli per poi inoltrarsi nel cuore di un sistema.
E in questo quadro non va sottaciuto, come si è evidenziato precedentemente, che in Italia la situazione è tutt’altro che rosea nonostante si stia vedendo da parte dei club di Serie A un grande sforzo verso la sostenibilità nei conti. E soprattutto non va nascosto come anche nel ricchissimo calcio inglese, malgrado le entrate monstre dai diritti tv interni ed internazionali, le perdite aggregate siano arrivate addirittura a superare gli 800 milioni nel 2022/23.
Questo a conferma che se da un lato il sistema calcio ha un appeal e un potenziale sociale ed economico che lo porta a essere protagonista nei più importanti appuntamenti geopolitici mondiali, dall’altro è una macchina che ha costi enormi e questi, se non tenuti sotto controllo, possono portare in tempi velocissimi a conseguenze altamente negative.