Unicredit ha intenzione di diventare la terza banca in ordine di grandezza nel panorama europeo. E per farlo deve consolidarsi in Italia, motivo per il quale ha messo nel mirino Banco Bpm per portare le sue sinergie italiane a 1,2 miliardi di euro.
Un blitz improvviso che però non ha riscaldato più di tanto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e il vice premier e ministro ai trasporti e alle Infrastrutture, Matteo Salvini che, invece, non nascondano la loro irritazione. Nulla trapela da Palazzo Chigi mentre esponenti di Fratelli di Italia e Forza Italia sembrano più prudenti e chiedono che sia il mercato a parlare.
Dopo Commerzbank, messa per il momento in stand-by in attesa dell’esito delle elezioni in Germania del prossimo febbraio, Andrea Orcel, CEO di Unicredit, guarda sul mercato domestico con un’offerta pubblica di scambio volontaria da oltre 10 miliardi di euro, per l’istituto guidato da Giuseppe Castagna. Un’incursione, maturata nel fine settimana e di cui sono stati avvertiti in prossimità, tanto le istituzioni quanto il vertice di Bpm.
L’offerta messa in piedi da Unicredit, che quest’oggi in Borsa è stabile a oltre 36 euro per azione, spariglia le carte per un terzo polo bancario con Piazza Meda pivot. È infatti recente la doppia mossa, prima sul risparmio gestito con l’OPA su Anima e poi, soprattutto, su Mps di cui il Banco è diventato uno dei principali azionisti in seguito all’ulteriore vendita di quote da parte del Mef.
Su Monte dei Paschi «non abbiamo ambizioni», precisa Orcel che il dossier l’ha guardato senza poi andare avanti, ma prima che Siena, che a Piazza Affari viaggia sopra il 2% a 5,9 euro per azione, fosse risanata dalla cura di Luigi Lovaglio.
La mossa di Unicredit non piace proprio a Salvini che chiede l’intervento di Banca d’Italia. «Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri», è il giudizio del vice premier che rileva come «Unicredit ormai di italiano ha poco e niente ed è una banca straniera». Non è da meno Giorgetti. «Poi vedremo, come è noto esiste il golden power. Il governo farà le sue valutazioni, valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso. Citando von Clausevitz il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà che magari questa volta questa regola non sarà vera».
E proprio Unicredit ora si trova a correre proprio su due fronti. Da una parte incardinare l’operazione di Banco Bpm con un’offerta, citando le parole di Orcel, che «al momento non è vincolante, è fatta in buona fede» e che se verrà portata a termine lo sarà al massimo entro giugno prossimo. Uno scoglio potrebbe essere il premio dello 0,5% sulle azioni Bpm valutate 6,657 euro, ma che intanto hanno superato i 7 euro con il titolo salito del 5,58% ieri e dell’1% oggi.
Ma Enpam, per esempio, che ha l’1,99% del Banco, ritiene l’offerta bassa. Nelle more dell’operazione anche un aumento di capitale, pari al 13,9% del capitale sociale che sarà al voto dell’assemblea straordinaria di Unicredit del 10 aprile. Nel frattempo entro tre settimane, nelle tappe dell’OPS, sono previste il documento alla Consob e le richieste di autorizzazioni a BCE, Banca d’Italia e Ivass anche per la quota di controllo in Anima su cui Bpm ha lanciato un’offerta.
Sull’altro fronte Unicredit deve gestire quello che ad ora è solo un investimento in Commerzbank che ha tempo per maturare. L’istituto italiano, tra derivati e azioni, è il primo azionista con il 21% e può salire, qualora la BCE l’autorizzi, alla soglia d’OPA del 29,9%. E non è detto che lo faccia. Sicuramente non in tempi brevi. Con lo spartiacque delle elezioni tedesche, se ci sarà un accordo non sarà prima di un anno.
Per cui qualsiasi acquisizione e integrazione di Banco Bpm che «speriamo avvenga in maniera rapida e fluida, resterà indipendente – puntualizza Orcel – da qualsiasi ipotetica e futura integrazione tra HvB e Commerzbank». Quest’ultima in Borsa a Francoforte ha visto le sue azioni scendere a 14,6 euro con il mercato che teme un disimpegno da parte di Unicredit. D’altra canto i costi di integrazione con il Banco Bpm per 2 miliardi di euro, pari a 50 punti di impatto sul coefficiente Cet1 lasciano pensare agli analisti che l’operazione tedesca venga abbandonata, per permettere a Unicredit di concentrarsi esclusivamente sul dossier Bpm.