La Red Bull tra Torino e Genoa? Perché lo sbarco del colosso delle bibite in Serie A farebbe bene al calcio italiano

Dopo le indiscrezioni sulla società di Urbano Cairo, dalla Francia si riporta di un interessamento reale per il club rossoblù, messo ufficialmente in vendita da 777 Partners.

Cairo incontro sindaco Torino
Football Affairs
Urbano Cairo (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images)

Urbano Cairo ha nettamente smentito la notizia pubblicata da La Stampa secondo cui il patron del Torino avrebbe incontrato per tre volte i dirigenti di Red Bull per parlare anche di una possibile vendita del club granata al colosso delle bevande analcoliche. E di questo bisogna prendere atto senza “se” e senza “ma”.

Però il quotidiano di proprietà del gruppo GEDI di John Elkann, come impone la buona prassi giornalistica quando si ha in mano qualcosa di solido, è tornato sull’argomento il giorno successivo alla smentita, aggiungendo dettagli importanti a supporto della notizia (come a dire “i nostri riscontri sono verificati”). Tra questi:

  • quello per cui JPMorgan, una delle banche d’affari più prestigiose di Wall Street, ha assicurato che Red Bull è interessata a entrare in un club di Serie A;
  • e quello per cui “uno studio legale milanese vicino agli interessi di Cairo” (tutti gli indizi portano a BonelliErede, uno dei più importanti in Italia) ha confermato la volontà del presidente granata di chiudere la sua esperienza al Torino dinnanzi a una proposta seria.

In questa disfida tutta subalpina tra uno dei club del capoluogo piemontese e il quotidiano più importante della città, Calcio e Finanza è invece in grado di aggiungere che, sentite sulla piazza milanese alcune istituzioni economiche e legali che spesso hanno lavorato a fianco di Cairo, è emerso che non soltanto l’operazione avrebbe senso strategico per entrambe le controparti (poi ovviamente l’incastro dipenderebbe dal prezzo), ma anche che nessuno si sorprenderebbe se nel medio termine si verificasse.

Insomma, se Cairo ha smentito la notizia e questo va tenuto presente, nello stesso tempo non è detto che il dossier possa tornare di moda tra qualche tempo, almeno secondo la business community italiana.

Le conseguenze dell’ingresso di Red Bull nel calcio italiano

È evidente che, qualora l’operazione si verificasse, le conseguenze immediate sarebbero due: l’uscita di Cairo dal mondo del calcio e il contestuale ingresso di Red Bull nel pallone italiano. A riprova della volontà del colosso austriaco di investire nella Serie A, nelle ultime ore, dalla Francia, arriva una indiscrezione che racconta come Red Bull stia valutando attentamente la situazione del Genoa, messo ufficialmente in vendita da 777 Partners nelle scorse settimane.

Sul primo punto è bene dire sin da subito che, per quanto Cairo oggi sia inviso a gran parte dei tifosi granata, l’imprenditore alessandrino è stato uno dei migliori presidenti del Torino negli ultimi decenni. Non solo perché, quando ha rilevato il club nel 2005 la società proveniva da una lunga serie di presidenze discutibili che hanno portato al fallimento, ma anche perché il confronto con gli ultimi presidenti vincenti, uno su tutti Orfeo Pianelli (presidente dell’ultimo scudetto del 1975-76), non regge.

Se si va a vedere l’albo d’oro del campionato italiano, si nota che nei vent’anni trascorsi tra la fine degli anni Sessanta e il 1992 (anno della finale di Coppa Uefa tra Ajax e Torino), il calcio italiano attraversato il periodo in cui nel secondo dopoguerra il dominio di Inter, Juventus e Milan è stato meno pressante. Tanto che in quelle stagioni, nove titoli su venti non sono stati vinti dalle “strisciate” (e sarebbero dieci allargando il campo al Bologna, tricolore nel 1963-64). È in quel periodo che si concentrano gli scudetti di:

  • Fiorentina (1968-69)
  • Cagliari (1969-70)
  • Lazio (1973-74)
  • Torino (1975-76)
  • Roma (1982-83)
  • Hellas Verona (1984-85)
  • Napoli (1986-87 e 1990-91)
  • Sampdoria (1991-92)

Quasi a voler dire che in quegli anni non era necessario essere una grande piazza metropolitana o avere enormi capitali per poter allestire squadre competitive, in grado di vincere anche il titolo più prestigioso. E in questo quadro, non devono passare inosservati i secondi posti di piazze con bacini di utenza veramente esigui, come il Lanerossi Vicenza nel 1977-78 e il Perugia nel 1978-79.

Questa eventualità è andata via via spegnendosi con l’avvento delle pay-tv a partire dal 1993, che più o meno segnano l’inizio dell’era del calcio-business. E non a caso da allora solo tre titoli su 31 sono sfuggiti a Inter, Juventus e Milan, ovverosia quelli vinti da:

  • Lazio (1999-00)
  • Roma (2000-01)
  • Napoli (2022-23)

Per altro, l’ultimo scudetto del Napoli, quello di Spalletti di due stagioni or sono, ha interrotto la striscia più lunga di dominio delle tre grandi nella storia del calcio italiano.

Alla luce di questo scenario, è lecito porsi delle domande sul secondo punto e chiedersi quale sarebbe l’apporto di un eventuale ingresso di un colosso quale Red Bull nel calcio italiano.

Dallo scouting al peso economico, i pro e i contro dell’affare Red Bull nel calcio

È evidente che se un tale gigante dell’economia mondiale (con entrate pari  a oltre 10 miliardi di euro nel 2023) dovesse decidere di sbarcare in Italia, non farebbe che bene al nostro calcio.

Da un punto di vista tecnico l’entrata di Red Bull, che ha appena nominato Jürgen Klopp come Responsabile del Calcio Globale del gruppo, significherebbe una novità importante per il nostro movimento visto che probabilmente imposterebbe la squadra con il gegenpressing di stampo tedesco, sulla falsariga dello stile di gioco su cui hanno puntato per anni Lipsia e Salisburgo.

Da un di vista economico, il beneficio sarebbe ancora superiore. L’ingresso di un colosso come Red Bull significa da un lato un un impegno a lungo termine di un colosso dell’industria mondiale (almeno così è stato in tutte le altre squadre in cui ha investito), con un progetto basato sui giovani e l’integrazione in un network che attualmente include squadre come:

  • Lipsia
  • Salisburgo
  • New York Red Bulls
  • Bragantino in Brasile
  • e da poco il Paris FC, in cordata con il gigante LVMH di Bernard Arnault

Va notato che essere parte di un network ha svantaggi e vantaggi. Tra i primi quello che deve essere chiaro fin da subito quali siano le squadre pilota e quali invece quelle che possono essere definite serbatoio delle prime. Al momento per esempio in Europa è indubbio che all’interno del network Red Bull il Lipsia sia il motore trainante e il Salisburgo quello che viene utilizzato come  serbatoio. Ora, alla luce dell’impegno per il Paris FC, bisognerà vedere se questa strategia cambierà, anche se l’investimento diretto di Red Bull in Francia è previsto per il 2025. Inoltre, tra i potenziali svantaggi c’è anche la questione legata al divieto di club legati alla stessa proprietà di partecipare alla stessa coppa europea, seppur Lipsia e Salisburgo (avvantaggiati dal sistema di proprietà dei club tra Germania e Austria) abbiano disputato diverse volte le stesse competizioni continentali.

Tra i vantaggi, invece, ci sono quelli di poter condividere alcuni costi di struttura, come ad esempio lo scouting. E soprattutto avere una via preferenziale quando le società della scuderia hanno talenti in esubero. Tema che può impattare anche sui ricavi, visto che n0n tutti i big passati all’interno del network Red Bull sono transitati necessariamente dal Lipsia “capogruppo” prima di essere ceduti a peso d’oro: basti pensare ad esempio ad Erling Haaland, passato dal Salisburgo al Borussia Dortmund senza passare dai tedeschi. Con conseguente impatto anche in termini di plusvalenza per gli austriaci.

È evidente quindi che una soluzione del genere può andare bene per piazze che, seppur blasonate, hanno necessità di essere rilanciate. Oppure per società storicamente dai successi inferiori nei confronti del bacino di utenza che gli offre la città in cui hanno sede. Tra le prime potrebbe essere incluso ovviamente il Torino, ma anche le due squadre genovesi (il Genoa peraltro è ufficialmente in vendita per stessa ammissione del suo amministratore delegato Andres Blazquez). Tra le seconde, ma solo a titolo di esempio, ci potrebbe essere una piazza come Bari, tanto più che i De Laurentiis devono necessariamente vendere uno di loro proprietà (l’altro è il Napoli) entro il giugno 2028.

Per altro, va notato che la recente operazione sul Paris FC con LVMH dimostri come ora Red Bull abbia dato l’ok anche a operazioni con quote di minoranza. E questo potrebbe essere un un segnale da non sottovalutare.

In questo quadro però è evidente come il Torino abbia un asso nella manica in più nei confronti di qualsiasi altra concorrente: il proprio simbolo. Nel caso Red Bull infatti non dovrà modificare in alcuna misura il logo della società per fare apparire un toro sulle maglie. Non solo, ma anche a costo di sembrare poco o non rispettosi verso la storia di un club che di storia vive più di altri, tra il granata e un eventuale rosso notevolmente scuro la differenza a livello cromatico non è poi così visibile. Soprattutto nell’epoca del calcio-business dove ogni stagione gli sponsor tecnici si devono industriare per ideare maglie diverse da quelle dell’anno precedente per stimolarne gli acquisti.

Non solo, ma per chi nel capoluogo piemontese vive nella eterna contrapposizione con la Juventus (e da sempre sogna una ribaltamento di posizioni nei confronti dei potenti vicini) vi sarebbe inoltre una sfida nella sfida. Visto che la contrapposizione avrebbe una appendice anche in Formula 1 tra la stessa Red Bull e la Ferrari, che tanto quanto la Vecchia Signora è controllata da Exor, la holding degli Agnelli-Elkann.