Da stagista a imprenditore: ecco come Criscitiello ha ribaltato in 10 anni Sportitalia

Michele Criscitiello, volto e ancor più anima di Sportitalia, si racconta, in un’intervista esclusiva, a Calcio e Finanza.

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L'intervista
Michele Criscitiello, Image credit: Sportitalia

Dagli esordi nelle televisioni locali appena diciottenne, alle trasmissioni per l’Avellino in Serie B con pesi massimi del giornalismo sportivo come Gianfranco De Laurentiis e Fabrizio Maffei. Un aereo preso nottetempo per raggiungere Milano per un colloquio che Bruno Bogarelli “non sapeva” di aver fissato.

E ancora la scalata a Sportitalia, da stagista a proprietario, fino alla vera svolta imprenditoriale con la realizzazione dello Sportitalia Village nel cuore della Brianza. Michele Criscitiello, volto e ancor più anima di Sportitalia, 41 anni appena compiuti, ha vissuto più esperienze di quante lui stesso ne possa raccontare e chi pensa che il suo sia stato un “cammino in discesa” si sbaglia, e non di poco.

Il cammino professionale di Criscitiello è anche il racconto di uno spaccato della televisione sportiva italiana, attraverso l’evoluzione dei suoi format e i nomi dei suoi protagonisti.

Ora Criscitiello, vede come suo principale obiettivo dedicarsi sempre più alla sua “seconda vita” imprenditoriale, perché «non si può sempre crescere, occorre consolidare» ma c’è ancora spazio per le ambizioni che guardano, questa volta, al calcio giocato.

Il numero uno di Sportitalia si racconta, in un’intervista esclusiva, a Calcio e Finanza.

Domanda. Arriva a Milano nei primi anni duemila, dopo qualche esperienza nelle televisioni locali campane e approda a Sportitalia, distinguendosi per i suoi approfondimenti sul calciomercato. Cosa ricorda di quei primi anni di lavoro?

Risposta. Dal 1998 al 2005 sono stato corrispondente da Avellino per Telecapri Sport che all’epoca era una delle televisioni più importanti di Napoli. Poi l’Avellino sale in Serie B e tra il 2002 e il 2004 ho l’opportunità di condurre una trasmissione dedicata. L’editore non bada a spese e sceglie di investire su nomi forti, che arrivavano da Roma, chiamando Gianfranco De Laurentiis, Fabrizio Maffei e Alfredo Pedullà.

Questi colleghi illustri accettano ma chiedono all’editore, se loro sono ospiti, chi conduce la trasmissione? In pronta risposta parla di un ragazzo di 18 anni che a suo dire farà strada, una scommessa insomma. Maffei e De Laurentiis erano scettici, si chiedevano del perché farli venire da Roma, farsi carico dei costi e della trasferta per fare condurre la trasmissione a un ragazzino. Dopo la prima puntata si sono ricreduti ed è nata una bella e solida amicizia.

Nel 2004 inizia le trasmissioni Sportitalia e mi rendo conto in fretta che ci lavorano molti giovani, così chiedo a De Laurentiis, nel frattempo diventato mio “padre” professionale, se conosce chi c’è al vertice e mi invita a raccogliere informazioni. Arrivo al nome di Bruno Bogarelli e, miracolosamente, riesco a ottenere anche il numero.
Chiedo alla mia “valletta” dell’epoca di tempestare di telefonate Bogarelli, fingendosi “segretaria di De Laurentiis” per fissarmi un colloquio ma, per mesi si nega sempre. Questo perché era convinto che il De Laurentiis in questione fosse Aurelio con il quale, diciamo, non scorreva buon sangue. Alla fine quando si chiarisce l’equivoco e Gianfranco e Bruno finalmente si parlano (avevano lavorato insieme alla rivista di culto I Giganti del basket N.d.R.), Gianfranco gli racconta di questo ragazzetto di Avellino, con cui ha iniziato a collaborare e che potrebbe fargli comodo nella sua televisione.

D. Risolto il disguido su quale fosse il “De Laurentiis” in questione con Bogarelli è stata subito una folgorazione professionale reciproca?

R. Il primo incontro è stato frutto del caso. Ero a cena e mi chiama la segretaria di Bruno dicendomi che avrebbe voluto incontrarmi l’indomani, la mattina alle 7:45 a Milano. Non ci penso due volte, mi faccio comprare il biglietto aereo dai miei genitori, viaggio con un tempaccio e la mattina alle 6 sono a Milano Linate, in perfetto orario per arrivare puntuale all’appuntamento. Quando arrivo nell’ufficio di Bogarelli mi guarda perplesso e mi chiede chi sia e cosa ci faccia lì. Gli spiego che mi aveva chiamato la sua segretaria per fissare il colloquio su indicazione di Gianfranco De Laurentiis. Peccato che lui intendeva fissare un colloquio telefonico, non di persona.

Fatto sta che l’aver preso quell’aereo mi ha permesso di dimostrare cosa fossi pronto a fare per quel lavoro, destare il suo interesse e, in seguito, nel corso di tanti anni di collaborazione, diventare l’uomo di fiducia di Bruno.

Criscitiello imprenditore Sportitalia

D. In molti ritengono che il suo legame con lo sport sia totalmente votato al calcio ma pochi sanno che in passato si è occupato anche di sport americani, come hockey, football e basket oltre che di rugby.
Come l’ha formata questa esperienza e cosa le ha lasciato?

R. Chi afferma che io non capisco niente di altri sport ha perfettamente ragione: non li capisco e non mi piacciono. Nel primo periodo Sportitalia aveva anche la commessa per Eurosport e io avevo appena cominciato la mia gavetta. Iniziavo alla mattina alle 6, eravamo io, il computer e le cuffie e mi collegavo con Parigi per fare i bollettini di tutto quello che passava: hockey, NFL, NBA e anche MotoGP dove ho raggiunto il mio “apice”, dicendo che Valentino Rossi aveva fatto un giro record in un’ora e 58 minuti, anziché un minuto e 58 secondi. Dopo quell’episodio Bogarelli mi prende da parte e mi dice che o me ne tornavo ad Avellino o che mi sarei dovuto occupare solo di calcio.

D. Dopo pochi anni viene scelto come caporedattore della redazione calcistica e inizia a lavorare alle trasmissioni che sono diventate il suo marchio di fabbrica. Al netto delle considerazioni di detrattori e ammiratori ha creato un format televisivo che non c’era…

R. Decido di proporre una trasmissione sul calciomercato a Bogarelli che mi guarda come se fossi matto; rincaro la dose e dico non solo che voglio farla che intendo arrivare a parlare anche della Serie C, confermando la sua ipotesi che fossi fuori di testa ma arrivando ad avere la trasmissione. Partiamo con un’ora di programma, dalle 23 a mezzanotte; poi visti gli ascolti mi chiede di fare un “pre-mercato” dalle 21 alle 23 e ancora, dopo qualche mese di ascolti in crescita, mi dice di rinforzare la fascia pomeridiana. Per farla breve, dopo 2-3 anni arriviamo al punto che si parlava di calciomercato dalle 17 all’una di notte. Il tutto a costo zero, ancor di più se paragonato a quanto si spendeva ad esempio per Eurolega ed NBA, e con gli ascolti che volavano.

D. Da giornalista e conduttore, a seguito del fallimento di Sportitalia nel 2013, è il fautore del ritorno in onda dell’emittente e diventa direttore e imprenditore. Qual è l’origine di questa “scalata”?

R. La società  che deteneva la commessa (Interactive N.d.R.) di Sportitalia fallisce nel 2013 ma la televisione va bene. Certo, non arrivano gli stipendi e i fornitori non vengono pagati: Bogarelli, verso cui la mia riconoscenza è infinita e dal punto di vista personale siamo stati legati fino all’ultimo, aveva fatto negli anni 80 milioni di debiti. Io stavo vivendo una situazione particolare: qualche tempo prima mi aveva contattato Sky ma io avevo rifiutato, da Mediaset mi avevano annullato un colloquio cinque minuti prima di farlo. Mi ero proposto anche a Urbano Cairo ma di fronte al suo negarsi avevo definitivamente capito che per il mondo televisivo io ero sempre il portabandiera, il volto di Sportitalia.

Nel frattempo però, grazie all’interessamento dei fratelli Sciscione, GM Comunicazione (controllata dal Gruppo Sciscione N.d.r.) acquista l’LCN 60 su cui torna a trasmettere Sporitalia.

In seguito si muove Egidio Viggiani, responsabile affari e finanza del gruppo di Tarak Ben Ammar (imprenditore e produttore, proprietario di Quinta Communications N.d.R.) che parla con Ben Ammar e gli spiega che il problema di Sportitalia è bilancistico, che è un costo per 10 milioni di euro e gli propone di affidarla a me, tanto “peggio di così non può andare”. Accetto e rimetto in piedi Sportitalia, prendendo la gestione del marchio per 5 anni. Al primo anno il bilancio è in pareggio, al secondo è in utile. Al terzo anno vado a Parigi e dico a Ben Ammar che io l’errore di Bogarelli non lo avrei fatto, che il vero valore era rappresentato dal marchio e che dovevamo trovare un accordo: diversamente Sportitalia poteva morire.

La mia proposta viene accettata, diventiamo soci e a zero euro acquisto il 50% di tutti i marchi Sportitalia, così la televisione va avanti e cresce. Qualche tempo dopo, in pieno periodo Covid, tra il 2020 e il 2021, Ben Ammar decide di uscire e avvia un dialogo con Cairo: io esercito il diritto di prelazione, acquisto la quota di Ben Ammar e divento proprietario al 100% di Sportitalia.

D. Apriamo una parentesi doverosa su Sportitalia Bet: quanto è stato determinante quel progetto?

R. Nel mondo del betting è riconosciuto come il miracolo del gioco legale italiano degli ultimi vent’anni. All’inizio della pandemia scatta una restrizione dopo l’altra e anche le sale scommesse chiudono. Quel mercato si sposta rapidamente sull’online e io costruisco un progetto con E-Play24 e Mirco Cisco, che diventa il mio “braccio armato”, che prevede di studiare e raccontare le nuove strategie del betting online. Si traduce in un’operazione che raccoglie 20 milioni di euro al mese per le scommesse sportive e 25 milioni per casinò. Per circa un triennio facciamo grandi profitti, poi apro le trattative con il gruppo spagnolo Cirsa, presieduto dal fondo statunitense Blackstone. Facciamo un primo incontro a Milano dove mi rifilano un trattamento da “provinciale”, diciamo così, e faccio saltare il banco.

La mossa funziona perché tornano a cercarmi e chiudiamo l’accordo, a marzo 2023, questa volta a Barcellona, dove il trattamento è diverso, ci sediamo al tavolo negoziale “alla pari” e vendo il 70% della mia società, che diventerà l’80% nel giro di breve. Un deal importante, anche fondamentale, che ha dato stabilità a Sportitalia e permesso di lanciare Sportitalia Village: senza quei soldi non ci sarebbe stata sicurezza economica.

Image credit: Sportitalia

D. E arriviamo dunque allo Sport Italia Village. Un investimento di circa 3 milioni di euro per creare quello che lei stesso ha definito un “unicum” in Italia. Qual è l’impulso alla base di questo progetto?

R. L’impulso è che io abito di fronte (ride, N.d.R.). Avevo messo gli occhi da tempo sul centro sportivo: una grande area a disposizione che non esprimeva il suo vero potenziale. Da tempo pensavo che la nuova casa di Sportitalia non si sarebbe dotata dei classici uffici, belli ma asettici; io volevo una televisione con un centro sportivo, per fare calcio e aggregazione, favorire la pratica sportiva e dare vita a un progetto molto bello per le persone e il territorio. Ad oggi abbiamo oltre 600 bambini tesserati, il weekend è un fiume in piena di persone che girano negli spazi che ho costruito o rinnovato.

D. Ha messo a disposizione di un comune di meno di 10mila abitanti (Verano Brianza, dove sorge lo Sportitalia Village) un centro sportivo polifunzionale, con palestra, palazzetto, campi da padel, oltre a un bar e a un ristorante.  Come è stato accolto dal territorio e come ha risposto la comunità locale?

R. Mi hanno accolto benissimo. Fino a prima che arrivassi io la prima squadra, la Folgore Caratese, era seguita dagli anziani, dai nonni, per intenderci. Ora la musica è cambiata, ci sono le famiglie e tanti giovani. Ho incentivato gli “ultras” dicendo loro di non seguire i grandi club, Inter, Milan, Juve ma di tifare la squadra locale, la squadra del proprio Paese che dà identità, che dà senso di appartenenza. Erano partiti in dieci, poi trenta, poi settanta, con striscioni e tamburi. Tutto questo in 14 mesi. Il territorio mi rispetta e mi apprezza e allo stesso tempo mi “teme” perché teme la mia follia ma hanno capito che se dico una cosa quella è, con patti chiari: se vi fidate, salite a bordo.

Image Credit: Sportitalia

D. Per Natale 2025 o nelle prime battute del 2026 arriveranno gli Studios e Sportitalia si trasferirà a Verano. Il maxi polo coprirà un’area di 80mila mq con anche delle palazzine residenziali. Cos’altro ha in serbo per il futuro, dove vuole arrivare?

R. L’arrivo è questo, è proprio questo. Anche perché non si può sempre e solo crescere, si deve anche consolidare. Quindi il Village che cresce in termini di attività e praticanti e poi gli Studios che non avranno più “casa” in affitto ma finalmente di proprietà. E non da ultimo la mia qualità della vita, potrei pensare di muovermi solo in golf car per gestire tutte le mie attività.

D. È lecito affermare che Bruno Bogarelli sia stato un suo mentore in campo giornalistico e televisivo. In ambito imprenditoriale invece, ha dei riferimenti?

R. Il nome è abbastanza scontato. Se parliamo di televisione e di calcio e parliamo di chi è stato capace di togliersi grandi soddisfazioni in entrambi gli ambiti, c’è solo un riferimento (Silvio Berlusconi N.d.R.). Ha fatto la storia della televisione e ha fatto la storia del calcio e, al di là di ogni considerazione fatta negli anni, è stato premiato dai risultati: trofei e telespettatori. Per me è stato un grande, l’unico step che non condivido – e che io non farei mai – è la politica. Lui forse doveva, forse voleva, non saprei. Io so che chi si mette in politica sancisce la morte della sua vita imprenditoriale.

D. Ad oggi cosa le dà più soddisfazione: il suo essere un imprenditore, l’essere un uomo di sport (tra le varie attività è anche presidente della Folgore Caratese) o la conduzione televisiva, che comunque non abbandona?

R. La parte imprenditoriale è quella che mi piace e mi diverte di più. La parte giornalistica è stata per anni una sfida personale che credo di aver vinto. Ma se penso a quello che di cui son più soddisfatto è lo switch da giornalista a imprenditore. E poi c’è un’ultima cosa che mi piacerebbe fare: vorrei dimostrare che posso provare a vincere nel mondo del calcio. Per tanti anni ho visto i giornalisti, me compreso, davanti alla telecamera dire che quell’allenatore era scarso e quel presidente incapace. Dal canto mio voglio dimostrare che io giudico ma al contempo mi metto in gioco e per farlo scelgo di partire da una categoria “ostica” come la Serie D, dove ne passa solo una a girone e le altre 19 sono sconfitte, e portare la Folgore Caratese tra i professionisti.