Nell’annosa questione del nuovo stadio di Milano c’è un convitato di pietra, un non detto sul quale una metropoli ambiziosa come quella lombarda dovrebbe interrogarsi: ovvero i decenni di carenza di una politica infrastrutturale sportiva nella città.
Si provi ad immaginare se per esempio Milano avesse avuto uno stadio, magari per gli eventi di atletica, in cui Inter e Milan si sarebbero potute trasferire mentre sullo stesso spazio in cui vi è ora San Siro si procedeva alla sua modernizzazione. Probabilmente si sarebbero evitati molti problemi agli abitanti del quartiere – visto che non si sarebbe utilizzato nuovo suolo – e quindi molti comitati del no non avrebbero avuto modo di esistere. Nello stesso tempo le due squadre non avrebbero manifestato l’interesse ad andare oltre i confini cittadini per sfuggire ai problemi burocratici del capoluogo. Infine il Comune avrebbe avuto molti meno problemi nell’affrontare una opinione pubblica che sul tema è quantomeno divisa.
D’altronde è esattamente quello che sta facendo il Barcellona in questa stagione con la squadra di Xavi che gioca allo stadio olimpico del Montjuic mentre la società sta modernizzando il Camp Nou. Ed è quello che ha fatto il Tottenham Hotspur nel 2017/18 e nel 2018/19 giocando quella stagione a Wembley mentre stava costruendo il nuovo Tottenham Hotspur Stadium, gioiello da 7 milioni di incasso a partita, nell’area del vecchio White Hart lane.
Oppure per non andare sempre all’estero quello che fecero Roma e Lazio sul tramonto degli anni ’80 giocavano al Flaminio nel momento in cui l’Olimpico era in fase di modernizzazione per i Mondiali di Italia ’90.
La considerazione emerge da un discorso pronunciato qualche anno orsono dal presidente del Coni Giovanni Malagò, in occasione di uno dei primi incontri pubblici per lanciare la candidatura di Milano-Cortina 2026. Il numero uno dello sport italiano infatti fece notare come non ci sia nessuna città italiana, a parte Roma che può contare sull’eredità delle Olimpiadi estive del 1960, che possa offrire una infrastruttura sportiva adeguata. Nemmeno appunto Milano, che nella storia del nostro Paese, è per numero di abitanti del proprio bacino di utenza e per importanza economica, l’“altra capitale” italiana.
Nel particolare Malagò spiegava che, da romano, vedeva con dispiacere come soltanto la Capitale possieda, complice l’eredità delle Olimpiadi del 1960, infrastrutture sportive che le consentono di avere grandi appuntamenti fissi ogni anno e tra questi citava per esempio il torneo internazionale Settecolli allo stadio del nuoto del Foro Italico, gli Internazionali d’Italia di tennis e il Concorso ippico di Piazza di Siena.
A Milano invece, continuava Malagò, i grandi appuntamenti sportivi sono praticamente da sempre legati ai percorsi in campo europeo ed italiano delle due squadre di calcio e di quella di basket. Invece non ci sono scadenze fisse come nella Capitale. Di qui, concludeva, la necessità di sostenere la candidatura olimpica di Milano-Cortina 2026.
In effetti nell’impiantistica sportiva Milano nella storia è stata guidata dalle necessità delle proprie squadre di punta più che da scelte politiche. Non ha torto il presidente del Milan Paolo Scaroni quando dice che San Siro, per quanto bello, è uno stadio mitico per i successi delle due squadre milanesi. Nello stesso tempo non si va lontano dal vero quando si sostiene che i vari palazzi dello sport che si sono succeduti in città sono sorti per le esigenze crescenti dell’Olimpia di basket e di chi organizzava concerti di inverno: prima il Palalido (oggi Allianz Cloud), poi il palazzone di San Siro (crollato per la nevicata record del 1985), il PalaSharp di Lampugnano (oggi praticamente in disuso) e infine il Forum ad Assago.
Insomma tutti impianti dettati dalle esigenze contingenti più da una strategia di visione di fare della città un vero centro d’élite per gli sport con tutti i benefici che ne consegue (secondo l’Osservatorio sullo Sport System di Banca Ifis per esempio per ogni singolo euro investito sullo sport si ha un beneficio economico di 3,3 euro). Non a caso ad oggi la città non dispone né di uno stadio dove ospitare i grandi eventi di atletica o di tennis all’aperto né tantomeno di uno stadio del nuoto.
A dire il vero agli inizi degli anni ’90, all’apice dell’euforia di quegli anni della “Milano da bere”, proprio per dotare la città di grandi infrastrutture sportive si era ventilata l’ipotesi di una candidatura del capoluogo lombardo per una possibile edizione estiva delle Olimpiadi nel 2000 e si valutava il nome di Massimo Moratti, allora non ancora proprietario dell’Inter (l’avrebbe acquistata a metà anni ’90), come presidente del comitato organizzatore.
Poi venne allo scoperto il tarlo di Tangentopoli e l’impiantistica, quella sportiva e non solo, in Italia si bloccò sino almeno alle Olimpiadi invernali di Torino 2006 (e qui non è il caso né il luogo di analizzare se sia stato un bene o no).
IL CASO MILANO E IL CONFRONTO CON L’ESTERO
Si dirà, meno male che non vi è stata quella politica di impiantistica visto le tangenti che governavano gli appalti in quell’epoca. Anche perché c’era il pericolo di costruire cattedrali nel deserto inutili, visto come sono conciati ora impianti in disuso come il Flaminio o lo Stadio del nuoto di Roma (per intenderci quello ideato da Calatrava a Tor Vergata, non quello al Foro Italico) o il palazzo dello sport di Lampugnano a Milano. Non solo, ma si dirà anche: ma come il comune di Milano è spaventato all’idea che Inter e Milan lascino San Siro perché non saprebbe cosa farsene dell’impianto e ci si lamenta pure che non ci sia uno stadio olimpico in città?
Considerazioni assolutamente legittime e che hanno una loro base, però, come si diceva all’inizio, intanto se davvero ci fosse uno stadio per l’atletica nel capoluogo lombardo molte polemiche sul nuovo San Siro non ci sarebbero state.
Per quanto concerne la questione tangenti è evidente che sia un tema legato al malaffare in generale e non agli impianti sportivi in se stessi. Questo detto però è altrettanto palese che non è possibile pensare di non realizzare nulla perché c’è il pericolo di infiltrazioni illegali.
Infine, c’è probabilmente la questione più importante, ovvero i siccitati benefici economici legati a investire nello sport evidenziati dall’Osservatorio di Banca Ifis, a patto però che si abbiano delle idee. Ed è questo il punto perché va anche sottolineato come la sovrabbondanza di impianti sportivi sembra essere in Europa occidentale un minus quasi soltanto in Italia.
A Wembley per esempio, ogni anno si giocano soltanto le partite delle nazionali inglesi di calcio oltre che le semifinali e le finali delle coppe nazionali, eppure nessuno si lamenta della sua edificazione e modernizzazione. La Football Association, che ne è proprietaria, si adopera per attrarre nell’impianto di Londra il maggior numero di eventi internazionali (quest’anno la finale di Champions League per esempio) oltre che numerosi eventi corporate (ad esempio si affittano a varie società la possibilità di giocare in quello stadio una partita tra dipendenti) per poter sostenere i costi. Tant’è che nella capitale inglese, dove ci sono oltre una decina di club di calcio nelle serie professionistiche, ognuno con il suo stadio, non si è esitato a costruire per l’inizio del secolo quella che è ora la O2 Arena sul Tamigi, proprio per la sete di eventi che la città ha.
Ma anche uscendo da una capitale del mondo come Londra, si può osservare quanto avviene a Glasgow dove Hampden Park praticamente ha la sicurezza di ospitare soltanto le partite della selezioni scozzesi di calcio e delle coppe nazionali. Per uscire dalla Gran Bretagna si pensi anche al succitato Montjuic che solo quando Barcellona ed Espanyol hanno deciso di modernizzare i propri stadi ha usufruito di un inquilino permanente (sebbene temporaneo). O ancora a La Cartuja, il terzo stadio di Siviglia dove non gioca né il Siviglia né il Betis e che da qualche anno a questa a parte vive di concerti e dell’ospitare le finale della Coppa di Spagna.
Insomma sembra essere più una questione di mancanza di idee e non di possibilità. D’altronde non è un caso se la società ASM Global, forse non casualmente straniera, ha presentato una possibilità di sfruttamento di San Siro qualora le due squadre lasciassero veramente l’impianto. In particolare, le ipotesi studiate riguardano ad esempio la possibilità di realizzare una copertura dello stadio per poter organizzare concerti per tutto l’anno, non solo in estate, inoltre con una modernizzazione del prato con una tecnologia che permetta un uso alternato della superficie dell’impianto tra concerti, rugby, opere liriche e altri tipi di eventi, oltre ad un miglioramento di tutti i servizi pensati per il pubblico.
L’EREDITÀ INFRASTRUTTURALE DI MILANO-CORTINA 2026
In questo quadro va notato che le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 lasceranno alla città impianti “ritoccati” come San Siro e il Forum di Assago (visto che entrambi andranno ammodernati, anche in maniera minima, per ospitare rispettivamente la cerimonia d’apertura e il pattinaggio di figura e short track), mentre per il pattinaggio di velocità e una parte del torneo di hockey sul ghiaccio sarà utilizzata la fiera di Rho. L’unico impianto nuovo sarà il PalaItalia a Santa Giulia, che ospiterà le altre gare di hockey sul ghiaccio.
E se il villaggio olimpico di Porta Romana sarà destinato in parte a uno studentato, in parte all’housing sociale e 10mila m² a servizi privati (su un totale dell’area di 60mila m²), sarà interessante vedere cosa ne sarà del palazetto di Santa Giulia. Insomma se si avranno idee o no, visto che finora si è parlato genericamente del fatto che dopo le Olimpiadi sarà riconvertito per ospitare sport vari (dal tennis alla pallavolo) ma anche concerti.