È stato calciatore, allenatore, commentatore sportivo ed esperto di padel. Ora Alessandro Budel è anche amministratore delegato dell’azienda di famiglia, Manifatture Lombarde srl, una delle società coinvolta nell’inchiesta della Procura che ha portato il Tribunale di Milano a commissariare la Giorgio Armani Operations, società del colosso della moda.
Budel, che non è indagato così come non sono indagati nè dipendenti nè vertici del gruppo del lusso, prima di ‘convertirsi’ al mondo dell’imprenditoria, ha vestito le maglie tra le altre di Lecce, Parma, Cagliari, Brescia e Torino. L’ex centrocampista, che ha appeso la maglia al chiodo nel 2017, è stato pure una voce di DAZN.
L’azienda che guida con il padre, secondo l’inchiesta, è una delle due società appaltatrici incaricate di produrre accessori e borse per il brand del lusso, ma “non ha un reparto produzione”. Pertanto, è la ricostruzione, ha subappaltato i lavori a opifici abusivi con cinesi sfruttati e pagati in nero.
L’accusa della Procura riguarda un n “sistema” che consente di “produrre volumi di decine di migliaia di pezzi, a prezzi totalmente sotto soglia da eliminare la concorrenza”, sfruttando alla base della filiera manodopera irregolare, in nero e con paghe da fame, che mangia e dorme in “condizioni degradanti” in capannoni fatiscenti. Uno “schema” diffuso tra “le case di moda” su cui quindi i Pm hanno iniziato ad indagare e che ha portato prima al commissariamento della Alviero Martini Spa) e poi, nei giorni scorsi, l’amministrazione giudiziaria per una delle società del gruppo Armani.
La Giorgio Armani operations Spa – società con oltre 1.200 dipendenti che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori per il colosso dell’alta moda – non ha “mai effettivamente controllato la catena produttiva” scrive la sezione misure di prevenzione del Tribunale, tanto che le società appaltatrici per la produzione di borse e cinture avrebbero subappaltato ad opifici abusivi di titolari cinesi.
Con questo “meccanismo di sfruttamento lavorativo” agevolato “colposamente” dalla Spa perché non contrastato, secondo gli atti dell’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, un laboratorio clandestino poteva vendere all’intermediario-fornitore una borsa finita a poco più di 90 euro, che poi arrivava in negozio col marchio Armani a 1800 euro.
La GA operations, è la replica in una nota, “ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura” e “collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”.