Russo, Oltre Consulting: «Fare sistema nello sport è la nostra mission»

I progetti e le ambizioni della società, che vede nel board anche l’ex bandiera nerazzurra Javier Zanetti, che si pone sul mercato dello sport e dell’entertainment come “business hub”.

Maria Cristina Russo, ceo e partner Oltre Consulting
INTERVISTA
Maria Cristina Russo, ceo e partner Oltre Consulting

Una passione sbocciata quasi per uno scherzo del destino e diventata un amore lungo trent’anni. Il rapporto tra lo sport e Maria Cristina Russo, ceo e partner di Oltre Consulting, società di consulenza e “business hub” nello sport e nell’entertainment, vanta un incipt quasi romanzesco. «Ho iniziato a lavorare nello sport quasi per caso, mi occupavo di marketing in Lavazza, tutt’altro ambito. Ma mio marito era stato trasferito a Montecarlo e dopo appena qualche settimana, mentre mi chiedevo ancora cosa potessi fare, mi sono ritrovata a collaborare con Nelson Piquet, nella sua società e a seguire Alessandro Zanardi nel campionato CART statunitense».

Dopo un inizio, fuor di metafora, a tutta velocità, la carriera di Russo prosegue toccando molteplici discipline sportive, rappresentando diversi atleti e creando sempre più sinergie tra lo sport e il business, costruendo un ponte ideale tra i due ambiti.

Dalla Formula 1 al tennis, dal basket, alla pallavolo, senza dimenticare ovviamente la “tappa obbligata” che rappresenta il calcio. Nel suo percorso professionale non mancano di certo le esperienze. Se dovesse individuare una lezione, che si è portata al seguito quando ha cambiato settore, quale sarebbe?

Ho avuto la fortuna di iniziare nell’elite perché lo sport automobilistico negli Stati Uniti era già gestito come un grande evento di entertainment. In F1 invece, c’era meno esasperazione della spettacolarità ma ho trovato una struttura organizzativa eccezionale. Quando son tornata in Italia, l’assenza di entrambi questi elementi è stata un po’ shoccante ma ho cercato di immettere queste competenze, di portare contenuti extra rispetto al momento sportivo. Ad esempio, quando lavoravo nei campionati di motori a ruote coperte, superturismo, ho introdotto gli eventi in pista, sia per i team che per gli sponsor, come i Grand Prix Open, delle sfide di golf a latere del weekend di gara. Un’esperienza che ho provato a portare anche in MotoGp: ricordo che collaboravo per il team Benetton e in Italia, al Mugello, prendemmo una nonnina a fare da “ombrellina”. Se ne parlò a lungo: un’idea extra sportiva era diventata un elemento narrativo, un momento di comunicazione. 

Parlando di sponsorizzazioni qual è il valore che spinge un’azienda a investire in un determinato sport e, di converso, quale invece il plus per un club o una società nell’affiancarsi a un determinato sponsor? Ci dica il segreto del matching perfetto.

Non esiste una formula magica, purtroppo ma direi che la coerenza in termini di valori è fondamentale. Faccio un esempio banale ma che è facilmente comprensibile: se la mia azienda lavora molto sulla sostenibilità scegliere di sponsorizzare i motori non sarebbe una scelta molto azzeccata. Avere le idee chiare in termini di target è chiaramente imprescindibile: l’azienda deve considerare sesso, età, propensione al consumo dello sport che ha scelto in relazione al suo brand. Da ultimo occorre interrogarsi sulla visibilità: mi muovo in ambito locale, nazionale o internazionale? La territorialità può e deve essere un valore se, ad esempio si intende sostenere realtà locali.

Per quanto riguarda le società, nel mondo reale, comanda la necessità di avere un supporto economico importante. Ma anche in questo caso si può trarre beneficio da una condivisione di valori puntuale.

Apriamo il capitolo eventi. Avete avviato recentemente una collaborazione con il gruppo internazionale Aim Sport. Impostare la macchina organizzativa di un evento è complesso per natura ma cosa cambia quando si costruisce un evento sportivo?

Il tema di cui sopra, sulla coerenza dei valori, si applica anche nel nostro modello di business. Noi facciamo partnership con realtà con le quali condividiamo l’impostazione e l’approccio ma con competenze diverse dalle nostre. La logica è semplice: non credo nei tuttologi, penso invece che ognuno deve fare bene il suo e contribuisca a portare la propria parte di eccellenza. Per entrare nel concreto con Aim Sport stiamo lavorando insieme nel mercato statunitense che nei prossimi anni, con i Mondiali 2026 e le Olimpiadi di Los Angeles 2028, sarà il centro del mondo degli eventi sportivi. Operiamo in maniera sinergica ma ognuno con la sua specificità.
Gli eventi sono complessi ma con le persone e le capacità giuste si affrontano e portano soddisfazioni: nel mondo dello sport spesso c’è la tendenza a “inventarsi”, a credersi grandi comunicatori o esperti di marketing. Noi crediamo invece nella specificità, a ognuno il suo mestiere. 

Parliamo di gestione degli atleti. Come si è evoluto negli anni il percorso di supporto e affiancamento a un atleta?

La differenza fondamentale, del passato rispetto a oggi, è che si giocava tutto su apparizioni televisive o campagne pubblicitarie, sempre in tv che avevano un peso specifico e che portavano valore. Uno dei passaggi più belli della mia carriera in questo senso è stato lavorare con Gennaro Gattuso. Gli agenti si stavano strutturando anche per la gestione dell’immagine dell’atleta e non solo per la procura sportiva ma l’uso del testimonial era ancora misurato sulla popolarità dello stesso. Gattuso era ostico da raccontare ma è stato fenomenale nel lasciarsi guidare nella costruzione di un personaggio, di quel “Ringhio” che incarnava la temerarietà ma anche la determinazione, che è elemento distintivo ancora adesso. Credo di aver raggiunto l’apice quando è diventato testimonial dell’enciclopedia Mondadori: la narrazione aveva vinto anche sul pregiudizio. 

I social hanno chiaramente cambiato questo sistema che quasi non esiste più e, come ogni cosa, hanno pro e contro. Di positivo è l’immediatezza del linguaggio, la possibilità di comunicare con il proprio tone of voice e raggiungere una community vasta con i propri strumenti. Di contro c’è la velocità. Si brucia tutto in tempi che definire “stretti” è quasi un eufemismo.  

Arriviamo alla collaborazione con The European House – Ambrosetti e alla creazione dell’Osservatorio Valore Sport. Quanto è importante la realizzazione di una piattaforma di analisi per i decisori ma anche gli stakeholder per trasmettere il valore multi sfaccettato del sistema sportivo? 

Il core di Ambrosetti è indubbiamente quello di saper analizzare e interpretare i mercati e dare dunque codici di utilizzo nei diversi settori merceologici. Quando abbiamo deciso di presidiare anche lo sport, e abbiamo dato vita all’Osservatorio Valore Sport, abbiamo voluto dare un approccio di analisi sociale e infrastrutturale, che forse mancava per gli attori istituzionale e aggiungere una fotografia di business del mondo dello sport, a disposizione dei player corporate interessati al settore. Per questo l’evento di presentazione del rapporto di quest’anno (in scena allo Stadio Olimpico di Roma, il 12 e il 13 febbraio) è strutturato in due giornate, con la prima sui temi istituzionali e la seconda sulle esigenze di business. 

Da ultimo: vi definite un business hub nello sport. Che ruolo recita un player come il vostro nell’ecosistema dello sport system italiano?

Quando abbiamo creato Oltre Consulting, volevamo un hub che fosse in grado di creare business nello sport e creare business attraverso lo sport. La nostra ambizione è di interpretare le esigenze aziendali nel mondo dello sport sfruttandone le peculiarità: perché lo sport è una piattaforma orizzontale e verticale incredibile per le aziende. Mentre per le società, i club e le federazioni il risultato sportivo deve essere capitalizzato dal punto di vista di comunicazione e marketing e dunque creare valore economico. Purtroppo in Italia è tutto molto frazionato e si riscontra una grande difficoltà nel fare sistema: se ognuno fa bene la sua parte si riesce essere più incisivi, più forti e anche più protetti e così il valore cresce. In questo senso la nostra speranza è anche di riuscire a fare cultura andando oltre gli individualismi, le insicurezze e i particolarismi che fanno parte del DNA del nostro Paese.