Questa sera inizia l’edizione 2023/24 della Champions League, l’ultima con l’attuale formula. Ma oltre a questo, la massima competizione europea sembra aver cambiato vestito, più precisamente le squadre che vi partecipano hanno ormai una varietà di sponsor tecnici che solamente 10 anni fa sembrava difficile da poter immaginare.
Come riporta l’edizione odierna del La Repubblica, nell’edizione 2013/14, 28 delle 32 formazioni partecipanti alla Champions League avevano kit firmati da Adidas o Nike, i due brand più importanti dell’epoca, che però oggi vedono la loro posizione di leadership sempre più in pericolo, si parla ovviamente solo di calcio e in particolare di Champions.
In questa edizione, infatti, Nike e Adidas vestono solamente la metà delle squadre partecipanti, con otto contratti attivi a testa. Dietro di loro ci sono ben sette diversi marchi, con Puma, terza, che vanta ben sette squadre che vestono il suo kit gara. Presenti, inoltre, Castore (tre), Macron (due) e con una maglia a testa ecco EA7, Mizuno, New Balance e Jako. Questo il quadro completo degli sponsor tecnici delle formazioni che partecipano alla fase a gironi:
- Nike (otto): Atletico Madrid, Barcellona, Galatasaray, Inter, Lipsia, PSG, Salisburgo, Young Boys
- Adidas (otto): Arsenal, Bayern Monaco, Benfica, Celtic, Copenaghen, Manchester United, Real Madrid, Union Berlino
- Puma (sette): Borussia Dortmund, Braga, Lens, Manchester City, Milan, PSV, Shakhtar Donetsk
- Castore (tre): Feyenoord, Newcastle, Siviglia
- Macron (due): Crvena-Zvezda, Real Sociedad
- EA7: Napoli
- Mizuno: Lazio
- New Balance: Porto
- Jako: Anversa
Stringendo il campo solamente alle italiane troviamo l’Inter sempre fedele a Nike, il Milan che vanta un ricco accordo con Puma, che nel 2018 ha sostituito Adidas. mentre la Lazio si affida a Mizuno. Poi il caso particolare della partnership Napoli-EA7 con Armani che collabora alla progettazione della maglia dei Campioni di Italia, ma con quest’ultimi che si occupano in maniera esclusiva di produrla.
Le ragioni di questo cambio drastico di paradigma sono principalmente due, e a confermarlo è Ricardo Font, fondatore della società di consulenza. Sport by Fort. «Da un lato, Nike e Adidas hanno scelto di limitare il numero di club che sponsorizzano – ha commentato Font -. Non è che gli altri stiano offrendo ai club accordi più ricchi. Piuttosto, Nike e Adidas hanno lasciato scadere un po’ di contratti, assicurandosi di tenere con sé solo i club più importanti perché preferiscono essere estremamente visibili ma in poche partite, quelle che vedranno più persone e anche così mantengono invariati i ricavi».
Il secondo motivo di questo cambio arriva direttamente dai club, «che hanno scelto di lavorare con marchi più piccoli, anche a costo di sacrificare un po’ di soldi, perché così possono ricevere migliori servizi – continua Fort -. Quando firmi con questi colossi, infatti, ti aspetti grandi cose, che le tue maglie finiscano negli scaffali in Cina o in Australia. Ma poi non succede per tutti».
Nike e Adidas, infatti, dividono le proprie squadre fra Élite, Premium e Standard. La differenza fra i vari livelli di importanza non è solo nel valore del contratto, ma anche nelle attenzioni offerte alle singole società. Un club élite ha una squadra dedicata per il disegno di maglie uniche e speciali, con la possibilità di sfornarne nuove edizioni anche in mezzo alla stagione, oltre a promozione e distribuzione globali. Più si scende nella piramide, meno flessibilità c’è, fino ad arrivare a club con maglie “standard”: modelli base, cambiano solo i colori societari e la produzione è limitata. «Soldi e personalizzazione ormai contano quasi allo stesso modo per i club – dichiara Roberto Casolari, che gestisce le sponsorizzazioni della Macron -. Aziende come la nostra si siedono a tavolino con il club e partono da un foglio bianco, il risultato è qualcosa di unico in tutte le collezioni prodotte».
«Cambiando fornitore – aggiunge Fort -, una squadra che prima non riceveva attenzioni può anche venire trattata come l’Adidas tratta il Manchester United. Così, partendo da accordi da un valore più basso, i club possono puntare a fare più soldi con le vendite di prodotti più personalizzati».
Come detto, nonostante sia venuto meno il duopolio Nike-Adidas, in futuro sembra impossibile, per ammissione di Casolari, che i due marchi perdano ulteriormente terreno, rinunciando a una fetta importante del mercato legato al calcio. «Loro fanno 20-30 miliardi di fatturato l’anno, Puma ha superato i 5 miliardi – analizza Casolari -. Noi abbiamo l’obiettivo di arrivare a 190 milioni e sponsorizzare le 15 migliori squadre d’Europa costa dai 30 ai 110 milioni all’anno, che non sempre si ripagano con le vendite del merchandising. Lassù la barriera di ingresso è invalicabile».