Istanbul il giorno dopo: festa City, rimpianti Inter. E quella porta maledetta

Lukaku come Shevchenko, Ederson come Dudek: la porta dello stadio Ataturk è ancora una maledizione per una squadra italiana in finale di Champions League.

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DA ISTANBUL

ISTANBUL – L’arbitro Marciniak ha da poco fischiato la fine, il Manchester City festeggia in campo, l’Inter si dispera, alcuni in lacrime. La Champions League è finita nelle mani degli uomini di Guardiola, grazie al decisivo gol di Rodri. E mentre i giocatori nerazzurri si dirigono verso la propria curva, gli addetti sul terreno di gioco oltre a montare il palco per la premiazione iniziano a trafficare con la porta, quella maledetta porta.

Perché diciotto anni dopo Lukaku replica Shevchenko, sempre tra quei tre pali della porta sul lato sinistro dello stadio Ataturk, centrando il portiere da pochi passi, Ederson come Dudek, beffa dopo beffa. Giocare una finale Istanbul resta una maledizione per le squadre italiane, sempre contro una inglese, il Manchester City dopo il Liverpool. Con la beffa che, al gol di Rodri, risuonino dentro l’impianto le note di Seven Nation Army dei White Stripes, la canzone che ha accompagnato tanti successi delle italiane dal Mondiale 2006 in poi, forse un segnale premonitore che stavolta qualcosa sarebbe girato storto.

A festeggiare è così Pep Guardiola, che centra il suo secondo triplete in carriera in una serata tutt’altro che eccezionale per il suo City dal punto di vista della prestazione, ma quantomai efficace nonostante un Haaland tenuto a bada da Acerbi. Il tecnico catalano arriva in sala stampa dopo la festa in campo con l’espressione di chi si è tolto una enorme scimmia sulla spalla, più sollievo che entusiasmo per la vittoria.

Il lungo applauso che lo accoglie è l’unico strappo alla regola, per il resto Guardiola si lascia andare ai soliti grandi elogi per tutti, dagli emiri proprietari del City (con lo sceicco Mansour apparso all’Ataturk a vedere la prima partita dal vivo dei Citizens dopo 12 anni) fino all’ex compagno ai tempi del Brescia Roberto Baggio, in tribuna invitato dal presidente della FIFA Gianni Infantino.

L’interista numero uno del calcio mondiale non era ovviamente l’unico vip della politica calcistica (e non, visto che c’erano anche il presidente del Senato Ignazio La Russa e il sindaco di Milano Giuseppe Sala) presente sugli spalti: tra gli altri c’erano infatti il presidente della FIGC Gabriele Gravina e il numero uno della Lega Serie A Lorenzo Casini, oltre al presidente dell’ECA e del PSG Nasser Al-Khelaifi e Karl-Heinz Rummenigge, nei giorni scorsi rientrato al Bayern Monaco come nuovo membro del consiglio di sorveglianza del club bavarese.

La domanda è se anche loro si siano trovati alle prese, al termine della partita, con l’incredibile traffico di Istanbul, con le vie di accesso completamente bloccato. Non si sono verificati grossi problemi di ingresso allo stadio e in generale della gestione del pubblico quantomeno per il pubblico italiano: un fattore che la Turchia potrebbe sfruttare anche in ottica testa a testa con l’Italia per ospitare gli Europei 2032 al netto del caos classico nella metropoli, anche se le voci dall’Inghilterra di caos e problematiche rischiano di pesare.

Il giorno dopo la finale, tuttavia, Istanbul si risveglia come se nulla fosse. Non altrettanto si può dire dei tifosi di Inter e Manchester City, visto che l’andamento delle rispettive nottate si legge molto bene sui volti in città e all’aeroporto, per chi ha scelto di ripartire subito dopo la gara. L’aeroporto Sabiha Gokcen si trasforma così presto in una sorta di dormitorio, con tifosi distesi un po’ ovunque ancora vestiti da stadio, tra maglie nerazzurre e azzurre.

Chi è sveglio ripensa alla partita, da un lato con il rimpianto dei troppi errori in zona gol, dall’altra con l’entusiasmo tipico di chi ha vinto, passando ore su cellulari e tablet a rivedere ogni singolo fotogramma di quanto avvenuto ieri. Tutto senza celebrazioni esagerate, magari qualcuno giusto trascina stancamente una bandiera con scritto “Champions of Europe”, ma niente di più, in un clima di rispetto reciproco.

Anche se le facce parlano, eccome, tanto che pure gli steward si lasciano andare a qualche pacca sulle spalle ai tifosi dell’Inter appena saliti in aereo, “i’m sorry for Inter and Calhanoglu”, “mi dispiace per l’Inter e Calhanoglu”, le parole dello steward turco. Perché è vero, “c’è sempre un’altra stagione” scriveva Nick Hornby in Febbre a 90°, ma una occasione come questa chissà se ricapiterà. E all’orizzonte restano gli interrogativi sul futuro.