Nel Paese in cui, a 17 anni di distanza si discute ancora animatamente dei fatti di Calciopoli, è lecito pensare che la chiusura – almeno a livello nazionale – della parte sportiva del nuovo caso Juventus farà parlare ancora per lungo tempo. Il pericolo in questo caso è che attanagliarsi sulla discussione se la giustizia sportiva sia stata equa oppure no nei confronti dei bianconeri ha tutta l’aria di rivelarsi un mero esercizio teorico: il verdetto è stato questo e tale è.
La discussione infatti potrebbe durare in eterno. Visto che persino nel ristretto ambito degli esperti legali in campo sportivo non è difficile trovare chi la pensa in maniera opposta. Vi è chi sostiene che la sentenza sia stata iniqua in senso assolutorio con l’aggravante di aver concesso non solo la possibilità del patteggiamento sugli stipendi (per una questione forse più grave di quella delle plusvalenze), ma anche comminando una sanzione economica abbastanza irrisoria (poco più di 718mila euro) per le cifre che girano nel mondo del calcio.
Sull’altro versante c’è chi invece ritiene che la Juventus non dovesse essere nemmeno sanzionata in quanto le cosiddette “plusvalenze fittizie” non sono codificate nel regolamento e la Juventus è stata punita perché ritenuta rea di avere imbastito un sistema per la creazione di tali plusvalenze tutto da verificare.
Sicuramente però si può affermare che nell’anno in cui tre squadre italiane hanno raggiunto tre finali europee – una già persa purtroppo – le parole del presidente federale Gabriele Gravina – «il patteggiamento è il risultato più bello del calcio italiano per trovare un momento di serenità» – non siano state il miglior spot per il calcio italiano.
E fatto probabilmente più importante che non è stato nemmeno bello verificare la farraginosità della giustizia sportiva italiana. Tanto che ora tutti, dal ministro Abodi al presidente di Lega Serie A Casini passando per il presidente del CONI Giovanni Malagò, hanno fatto presente la necessità di una riforma vasta di questi organismi.
Un altro punto che sicuramente va notato è il tempismo dei vertici societari bianconeri nello sfruttare al meglio le opportunità emerse dall’evolversi del campionato. Lo scorso week end infatti dopo i risultati di sabato di Roma e Atalanta, la Juventus ha avuto la sicurezza che pur in presenza della penalizzazione di dieci punti avrebbe partecipato alle coppe europee la prossima stagione.
Questa concatenazione di eventi ha permesso alla società di prendere la decisione, annunciata di fatto dal Chief Football Officer Francesco Calvo prima del match con il Milan, di non fare più ricorso al Collegio di Garanzia del CONI per qunto concerneva la questione plusvalenze e nel contempo di accelerare l’iter per il patteggiamento per quanto riguardava la questione delle manovre stipendi.
Una scelta dettata ovviamente anche dal fatto che ben difficilmente questa volta il Collegio di Garanzia del CONI avrebbe restituito i punti penalizzazione, visto anche che lo stesso organismo nella precedente tornata aveva sì ridato alla Vecchia Signora i 15 punti rimandando il caso alla corte federale ma solo per vizi legati alla quantificazione dei punti, mentre aveva validato in toto l’impianto accusatorio. Quindi molto difficilmente avrebbe cambiato idea una volta perfezionata la sentenza da parte della Corte FIGC.
L’idea sottostante dei vertici bianconeri nello specifico era quindi quella, una volta sicuri di partecipare alle coppe nella prossima stagione, di accelerare tutti i processi italiani in modo da chiuderli il più presto possibile e quindi dare il maggior tempo possibile all’UEFA nel caso questa volesse intervenire.
Se infatti Nyon dovesse prendere una decisione a breve, la penalizzazione in campo europeo scatterebbe per i bianconeri già dalla prossima stagione e quindi nei fatti la Juventus rinuncerebbe alla meno importante Conference League o al massimo all’Europa League. Ma, cosa più importante, sarebbe libera di guadagnarsi nel campionato 2023/24 l’accesso alla Champions League 2024/25 senza spade di Damocle pendenti. Edizione per altro che sarà la prima con il cosiddetto modello svizzero e che quindi garantirà entrate ancora maggiori per i club partecipanti.
Se invece i bianconeri non avessero avuto la certezza di avere a disposizione un posto sicuro per le coppe, il pericolo era che la punizione UEFA avrebbe potuto colpire l’anno prossimo, magari con la squadra qualificata per la Champions, e quindi portando un danno sportivo ed economico molto maggiore.
Questo detto, è anche vero che prima del match con il Milan, cioè quando è arrivata la dichiarazione di Calvo, la Juventus aveva ancora la possibilità di qualificarsi per la Champions League pur in presenza della penalizzazione di 10 punti. Battendo i rossoneri infatti la squadra bianconera sarebbe andata a soli due punti di distanza da quella di Pioli, potendo quindi teoricamente tentare il sorpasso all’ultima giornata. Ma questo sarebbe potuto avvenire soltanto grazie a un improbabile – per quanto possibile – passo falso casalingo del Milan contro il Verona nell’ultimo turno. E siccome il calcolo delle probabilità giocava comunque contro la squadra di Allegri era molto meglio guadagnare il maggior tempo possibile.
IL TEMA CDA SUL FRONTE DEL RILANCIO DEL CLUB
Una volta arrivato anche l’accordo sul patteggiamento la Juventus ha voluto mettere la sua parola fine sulla questione, spiegando in una nota che «pur ribadendo la correttezza del proprio operato e la fondatezza delle proprie argomentazioni difensive ha ritenuto di accedere all’applicazione di sanzioni». E in particolare che «la definizione di tutti i procedimenti sportivi FIGC aperti consente alla società di conseguire un risultato certo, mettendo un punto fermo e superando lo stato di tensione e instabilità che inevitabilmente discenderebbe dalla prosecuzione di contenziosi incerti negli esiti e nei tempi, permettendo inoltre al management, all’allenatore della Prima Squadra e ai giocatori di concentrarsi sull’attività sportiva ed in particolare sulla programmazione complessiva della prossima stagione (sia con riferimento alle attività sportive che per quanto attiene ai rapporti di business con gli sponsor, le altre controparti commerciali e quelle finanziarie)».
Proprio partendo da queste parole di palingenesi, soprattutto per una testata come Calcio e Finanza che più che degli aspetti normativi fa della governance finanziaria uno dei suoi core business, è lecito interrogarsi se il cosiddetto “Cda di guerra” varato quest’inverno da John Elkann e da Exor per prepararsi alla battaglia legale sarà ora altrettanto funzionale in tempo di “pace”.
Nello specifico se le grandi competenze tecnico-giuridiche di questo Cda – che hanno permesso alla Juventus di uscire da una vertenza molto spinosa senza grandi conseguenze – saranno funzionali e vincenti anche quando si tratterà di rilanciare il club in termini sportivi e di marketing. Perché, qualsivoglia opinione si abbia sull’operato di Allegri, non si può disconoscere il fatto che con il precedente Cda saltato in una notte e con il subentrato Chief Football Officer Calvo impegnato soprattutto nel ricucire i rapporti con i vertici federali il tecnico toscano sia stato lasciato un po’ solo nella seconda parte di stagione sul fronte sportivo.
E nello stesso tempo non si può nemmeno disconoscere il fatto che le recenti vicende non abbiano intaccato e di molto l’immagine della Juventus in Italia e all’estero. Quindi bisognerà anche attivare una grande opera di marketing e rivalutazione brand.
Sul primo punto l’interrogativo è quindi se basterà l’arrivo di un nuovo direttore sportivo – Cristiano Giuntoli o chi per lui – per assicurare tutto quella struttura tecnica di cu un allenatore – Allegri o chi arriverà al suo posto – avrà bisogno.
Su secondo occorre domandarsi invece se quelle competenza di marketing, sviluppo brand sui media e sui mezzi di comunicazione che Andrea Agnelli aveva voluto nei suoi ultimi board andranno reinserite nella stanza dei bottoni bianconera. Il tutto per rilanciare un club che volenti o nolenti sta scontando e sconterà anche una grande caduta di immagine sul piano internazionale proprio per le suddette vicende giudiziarie.
È evidente che quest’ultimo punto non rappresenta un tema immediato e che nel brevissimo termine nulla cambierà nel Cda juventino, ma nello stesso tempo è palese che una testata che si occupa di gestione economica dello sport quale Calcio e Finanza ha il dovere di porre sul tavolo sin da subito. Anche perché il cosiddetto “Cda di guerra” il suo compito lo ha svolto egregiamente e ha per lo più conseguito i suoi obiettivi.
Questa rubrica infatti aveva svelato sin da subito quale fosse il mandato strategico che Exor aveva dato a questo board composto per lo più da grandi competenze legali e giuridiche e che essenzialmente verteva su questi punti:
- Priorità alle battaglie legali
- Maggior dialogo con le istituzioni
E si può ben dire che questi due grandi obiettivi sono stati raggiunti. Come si speigava, in casa Juventus non ci si può certo lamentare del risultato ottenuto dai propri vertici in merito alle battaglie legali di cui sopra. Non a caso la Borsa ha premiato questo risultato e il titolo Juventus in questa settimana ha guadagnato l’11%.
Non solo, ma i vertici bianconeri, specificamente nelle persone del presidente Gianluca Ferrero e del Chief Football Officer Francesco Calvo, anche a detta di esponenti di altri club, sembrano ora maggiormente presenti nei palazzi dello sport italiano e addentro alle questioni del calcio nazionale rispetto agli ultimi anni della presidenza Agnelli, quando forse il club era concentrato più sulla questione Superlega e sui tornei internazionali (anche alla luce della sua presidenza dell’ECA prima e del ruolo nella Superlega poi).
NIENTE PATTEGGIAMENTO PER AGNELLI: I MOTIVI DELLA SCELTA
Proprio la posizione dell’ex presidente merita poi una nota a margine. Agnelli infatti, oltre a dover affrontare i processi della giustizia ordinaria che riprenderanno con le prossime udienze davanti al GUP a fine ottobre, è stato l’unico dirigente juventino a non patteggiare dinnanzi alla giustizia sportiva sul fronte della manovra stipendi. E quindi andrà a processo anche in quella sede, dopo i 24 mesi di inibizione per il caso plusvalenze: il processo è previsto per il prossimo 15 giugno.
In questo quadro sarà interessante capire se la scelta di Agnelli, orami fuori da tutto le cariche juventine, sia stata condivisa con la nuova dirigenza (per il bene generale e superiore della Juventus) o meno. La sensazione è che l’ex presidente abbia voluto tenere il punto circa l’operato della sua gestione. Ben sapendo che se è vero che tecnicamente il patteggiamento non rappresenta una ammissione di colpa, è altrettanto vero che in molti ambienti giurisprudenziali la si considera implicitamente tale. Il Tribunale di Brescia per esempio spiega sul suo sito che il «presupposto del patteggiamento è l’implicita ammissione di colpevolezza da parte dell’imputato».
Non solo ma in termini mediatici, volenti o nolenti, è proprio questa ammissione di colpa il messaggio che viene veicolato. È stato quindi inevitabile che, almeno nel dibattito popolare, la scelta del patteggiamento sia stata letta quale un presa di distanza della nuova Juventus targata Ferrero-Scanavino-Elkann nei confronti della precedente gestione griffata Andrea Agnelli.
Insomma sarà interessante capire se la scelta di Agnelli sarà stata concordata con la nuova società. E in questo quadro non si può fare a meno di notare che se è vero che Agnelli ed Elkann hanno sempre avuto caratteri diversi, è altrettanto vero che negli ultimi anni, con Elkann a capo dell’intero impero industriale, e Agnelli alla guida di una della Juventus più vincenti di sempre, si era trovato un equilibrio. Per esempio sulla questione Superlega Agnelli ha sempre avuto l’avallo di Elkann. Poi è arrivato lo scoppio del nuovo caso Juventus e quella intercettazione tra i due cugini sui dirigenti che si «erano troppo allargati» sulle plusvalenze.
La storia si chiarirà con il dipanarsi degli eventi. Per il momento giornalisticamente c’è da registrare che Agnelli, che comunque sempre resta tra i maggiori azionisti dell’intero impero industriale della dinastia in quanto alfiere principale della Eredi Umberto Agnelli, in settimana, come ampiamente annunciato, si è dimesso da tutti gli incarichi in Exor.
E, come nota di colore, va segnalato inoltre che alle recenti nozze umbre dello stesso Agnelli, non è stato avvistato nessuno dei tre fratelli Elkann (John, Lapo e Ginevra). Anche se va detto che quel matrimonio è stato celebrato alla presenza di pochi intimi, specialmente se rapportato al numero di ospiti extra-large con cui solitamente vengono festeggiate le nozze di un membro della dinastia piemontese.