Eredità Agnelli, l’investigatore: «Prove dagli Elkann: Marella non viveva in Svizzera»

Nella puntata di Report, andata in onda lunedì 17 aprile, era presente uno stralcio dell’intervista realizzata all’investigatore privato Andrea Galli, assunto da Margherita Agnelli de Pahlen, madre di John, Lapo…

Lapo Elkann
(Foto: Vincenzo Lombardo/Getty Images)

Nella puntata di Report, andata in onda lunedì 17 aprile, era presente uno stralcio dell’intervista realizzata all’investigatore privato Andrea Galli, assunto da Margherita Agnelli de Pahlen, madre di John, Lapo e Ginevra Elkann, con cui è in causa per l’eredità della madre Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli.

Il compito di Galli è quello di definire con esattezza il domicilio di Marella Caracciolo, così da identificare l’ordinamento giuridico da utilizzare nella causa. Se quello italiano visto che la vedova dell’Avvocato è deceduta a Torino, dove è deceduta, o quello svizzero dove aveva la residenza. Inoltre, l’investigatore dovrà tracciare i confini dell’eredità lasciata da Marella fra azioni, opere d’arte, gioielli e ville.

«Non mi stupisco di uno scontro dinastico su un’eredità così duro – ha esordito Galli, laureato in fisica, ma con un passato nei servizi segreti svizzeri e ora a capo di un’importante agenzia di investigazioni a Zurigo, intervistato anche dal Fatto Quotidiano -. Anni fa ho indagato sull’eredità dell’emiro del Kuwait. Dunque posso dire che, quando sono in ballo miliardi, capita di tutto».

La questione della residenza di Marella: «Dovevo scoprire se la signora vivesse davvero in Svizzera e se, dunque, potesse decidere sulla sua eredità in base al diritto elvetico. È la questione decisiva per la causa in corso a Torino. Per me al 100%, Marella Caracciolo non ha mai trascorso in Svizzera più di due mesi ogni anno: perlopiù a luglio e ad agosto. Il resto del tempo lo passava a Torino o a Marrakech. Lo abbiamo ricostruito giorno per giorno: dal 2003, anno della morte di Gianni Agnelli, sino al 2019, quando è deceduta. Tutto questo è stato possibile, per ironia della sorte, grazie a dei documenti depositati dai fratelli Elkann durante un procedimento contro la madre a Thun. Ci hanno ‘regalato’ delle prove. Contratti di lavoro con il personale locale che assisteva la signora nello chalet di Lauenen, quasi tutti o part-time o per periodi brevi: lo confermano i versamenti alla previdenza svizzera. L’amministratrice dello chalet, per esempio, non ha mai lavorato per più del 30% della sua attività annuale. Con qualche stranezza, però. Per esempio i contratti con un collaboratore, nel 2017 e nel 2018 portano la firma della signora, con una capacità di scrittura che sembra averla ringiovanita di quasi 30 anni se confrontata con la sigla ‘M.C.A.’ apposta nel 2014 alla sua seconda aggiunta al testamento svizzero».

Il lavoro di Galli e dei suoi collaboratori è stato a dir poco certosino: «Abbiamo sentito i dipendenti che lavoravano a Torino: a Villa Frescot e nella tenuta di Villar Perosa. Poi abbiamo controllato i voli di aerei ed elicotteri della famiglia che atterravano a Gstaad, ascoltato gli autisti che portavano la signora a Lauenen, verificato le spese nelle farmacie, poi gli arrivi in Marocco, in dogana. A Marrakech i soggiorni erano molto più lunghi di quelli svizzeri: almeno 42 ingressi in 15 anni e per almeno 4 mesi ogni volta»

Ma le testimonianze di chi lavorava a Lauenen non sono potute essere aggiunte come prove: «Quando ci abbiamo provato eravamo in pieno lockdown per il Covid. Abbiamo incaricato una struttura di contattare le persone al telefono. Qualcuno si era reso disponibile e ci furono anche scambi di email, poi si sono ritirati tutti. ‘Ci è stato vietato’, era la risposta che ci davano tutti. Tra i vari riscontri, abbiamo accertato anche che, nel 2019, una badante, e la signora Caracciolo era morta a febbraio, ha ricevuto 160 mila euro di compenso. Non so dire però che cosa possa significare».

Durante le indagini ci fu un aggressione a un collaboratore dell’agenzia di investigazioni di Galli: «Fu un episodio grave, anche se nessuno può attribuirlo a nessuno: il legale italiano di Margherita, infatti, non lo ha mai citato. Un mio collaboratore fu minacciato di morte e pestato da 3 misteriosi personaggi, che dalla ricostruzione fatta da lui stesso dovevano essere, almeno 2 di questi, italiani. Andai a denunciare io l’episodio, perché il mio collaboratore era terrorizzato dopo le aggressioni. Per settimane non mi ha voluto parlare, spiegandomi che era stato minacciato di morte e che la stessa minaccia era stata rivolta contro il suo ‘cliente’, cioè io. Il risultato? Un verbale di 16 pagine in cui l’aggredito ha raccontato tutto. E ha anche spiegato che l’unica indagine che stava facendo era quella sulla signora. L’istruttoria è stata chiusa dal giudice con una ‘sospensione’: per ora non è stato possibile accertare l’identità dei tre. Ma polizia e magistrato hanno ammesso che il racconto, molto dettagliato, era attendibile».