Il nome del presidente del Milan Paolo Scaroni continua a creare contrasti nel governo di centrodestra con Forza Italia e Lega che lo rivorrebbero all’Eni, ma la premier Giorgia Meloni non cede alla richiesta dei due alleati e, a un giorno dalla scadenza per la presentazione delle liste dei nuovi CdA delle grandi partecipate di Stato, la maggioranza non ha ancora trovato la chiusura del cerchio.
Come riporta l’edizione odierna de La Repubblica, Scaroni, presidente dell’Eni per 9 anni fino all’insediamento del governo Renzi, tiene in ballo praticamente 610 nomine in 105 partecipate statali con 190 miliardi di euro di ricavi. Per l’attuale presidente del Milan si era parlato anche della presidenza delle Poste Italiane, una sorta di compromesso fra le forze di maggioranza che però, a quanto pare, non ha avuto un buon esito.
La nomina di Scaroni all’Eni o all’Enel è stata bocciata fin dall’inizio dal premier Meloni, preoccupata di far irritare l’Europa e gli Stati Uniti nominando una persona, sì capace e riconosciuta a livello mondiale, ma che sotto la presidenza Berlusconi ha avvicinato l’Eni sempre di più alla Russia di Putin e rievocare quel periodo con la guerra russa in Ucraina non sarebbe un bel modo di andare avanti con la linea filo atlantista spesso invocata dal leader di Fratelli d’Italia.
Scaroni è però un nome forte di Forza Italia, che in questo gioco è supportata dalla Lega di Matteo Salvini, che non ha apprezzato l’atteggiamento forte avuto dalla Meloni nel procedere con le altre nomine dove ha piazzato solo esponenti appoggiati da lei. Ma la linea del premier è chiara: niente Eni o Enel a Scaroni, e magari nessuna presidenza delle 105 partecipate statali. A indispettire la Meloni c’è anche la stesura degli accordi di fornitura con Gazprom che Scaroni firmò quando si insediò all’Eni.
Gli accordi prevedevano che l’Eni lasciasse vendere 3 miliardi di metri cubi di gas in Italia a una holding viennese partecipata da Bruno Mentasti, molto vicino a Silvio Berlusconi, e da ignoti investitori russi e ciprioti. Scaroni firmò il 14 giugno 2005, il predecessore Mincato si era opposto a tale accordo e per risposta fu sollevato dall’incarico. Il CdA di Eni, però, in autunno riscrisse quei contratti cancellando la figura di Mentasti, ma non l’allungamento fino al 2035 della scadenza a volumi maggiorati.
Così l’Italia accrebbe la dipendenza dai russi, ponendo un freno decisivo per la costruzione di nuovi rigassificatori voluta dal governo Prodi nel 2006. E oggi proprio i rigassificatori sono un tema molto attuale vista la volontà di staccarsi proprio dalla Russia per la fornitura di gas.
A mettere un macigno alla nomina di Scaroni all’Eni, infine, è la vicenda che vede la vendita nel 2007 a Eni e Enel di due società di Yukos, major dell’oligarca Khodorkovsky, che è stato in seguito condannato da Putin con l’espropriazione dei beni e messo in carcere. Tempo qualche anno e Gazprom si ricomprò tutto, tra polemiche internazionali. È, infine, del luglio 2009, la difesa di Scaroni nel CdA Eni del gasdotto South Stream, tanto voluto da Putin per aggirare l’Ucraina, ma un comitato interno Eni aveva sollevato dubbi e rischi di costi eccessivi. Il manager così derubricò il progetto a «studio di fattibilità». Solo il veto della Bulgaria, dopo la guerra russo- ucraina 2014, farà abortire quel progetto tanto caro ai russi.