Mentre il mondo del calcio globale piange la scomparsa di Pelé, unico giocatore ad aver vinto tre edizioni dei Mondiali in carriera (1958, 1962 e 1970) e considerato da molti che lo hanno visto giocare il miglior calciatore di tutti i tempi, in Italia il 2023 che sta per iniziare si prospetta, per motivi diversi quale un anno molto sfidante in termini societari per tutte e tre le grandi tradizionali del nostro movimento.
In primo luogo, per la Juventus che nell’anno che comincia domani festeggerà i 100 anni sotto la gestione della dinastia Agnelli, la più longeva proprietà al mondo nell’universo sportivo. Come è noto però questo non è certamente un periodo facile in casa bianconera. In settimana, con l’assemblea degli azionisti di martedì 27 dicembre si è chiusa nei fatti l’era della presidenza di Andrea Agnelli. Un’era che sta terminando sotto i colpi della Procura torinese ma che va sempre tenuto a mente passerà alla storia come uno dei periodi più vincenti della storia, già gloriosissima, del club torinese. Sotto la guida del figlio di Umberto Agnelli i bianconeri hanno messo in bacheca infatti 29 trofei complessivamente considerando anche la squadra femminile e la NextGen, tra i quali nove scudetti e cinque Coppe Italia.
Il prossimo passaggio è fissato per mercoledì 18 gennaio, quando l’assemblea straordinaria dei soci nominerà il nuovo cda, formato, come aveva anticipato questa testata il mese scorso, soprattutto da professionisti di alto profilo giuridico-societario. Nel week end natalizio, infatti Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann che controlla la Juventus con il 63,8%, ha depositato la lista dei membri di sua nomina e questi includono:
- Maurizio Scanavino
- Fioranna Negri
- Gianluca Ferrero
- Diego Pistone
- Laura Cappiello
Mentre la squadra sul campo dovrà tentare di ottenere almeno un piazzamento valevole per la prossima Champions League, toccherà quindi a questo nuovo consiglio di amministrazione guidare la società Juventus in mezzo a questa difficile situazione sia per quanto riguarda la giustizia ordinaria sia per quel che concerne quella sportiva. In questo senso il primo appuntamento è fissato per venerdì 20 gennaio quando davanti alla Corte d’appello federale è in programma l’udienza sul caso plusvalenze, che coinvolge non solo i bianconeri, ma anche altri otto club quali Sampdoria, Pro Vercelli, Genoa, Parma, Pisa, Empoli, Novara e Pescara.
Tutto questo però è una sorta di percorso forzato per il nuovo management, nel senso che attiene a una gestione che non dipende dai vertici societari ma dalle esigenze delle varie procure (ordinaria e sportiva), ma facendo un salto in avanti quello che invece sarà curioso capire sarà come la nuova Juventus si muoverà in termini strategici su due temi che hanno che hanno caratterizzato fortemente, oltre alle vittorie, la presidenza di Agnelli: quello della Superlega e quello degli scudetti rivendicati per Calciopoli (tema per altro riesploso in settimana dopo lo show dell’ex dg bianconero Luciano Moggi all’assemblea dei soci).
In questo quadro magari qualcosa inizierà a emergere proprio durante l’assemblea del 18 gennaio dove probabilmente si capirà di più su quali saranno le direttive che avrà intenzione di adottare il nuovo plenipotenziario juventino Maurizio Scanavino, amministratore delegato e direttore generale di GEDI (il gruppo editoriale controllato da Exor che pubblica tra gli altri i quotidiani La Repubblica e La Stampa) e soprattutto manager da sempre molto vicino a John Elkann (i due studiavano al Politecnico ed erano ospiti nello stesso periodo al convitto religioso di corso Lanza “Villa San Giovanni” e insieme lavoravano alla realizzazione del giornale interno. Peraltro, si racconta che Scanavino fosse un tiepido tifoso granata, e che nelle partitelle tra juventini e torinisti giocate in convitto vestisse la maglia granata).
Entrando nello specifico, va detto che sulla questione Superlega la presidenza Agnelli, come Calcio e Finanza ha menzionato sin da subito, ha sempre avuto l’avallo della proprietà rappresentata da Exor e dal suo numero uno John Elkann. Ora però sarà interessante capire se, con il club impegnato nelle varie vicende legali menzionate sopra e dopo che il parere dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Ue ha inferto un colpo significativo al progetto Superlega, Scanavino abbraccerà così convintamente la causa della Superlega come Agnelli. E nello stesso tempo se Barcellona e Real Madrid, che stanno continuando a combattere questa battaglia, potranno contare ancora su un terzo pilastro a pieno regime oppure dovranno proseguire nei fatti da sole. In questo quadro va notato che in Spagna non danno la questione assolutamente per morta visto che poco prima di Natale il numero uno blaugrana Joan Laporta ha spiegato che «quello che dirà la Corte in Lussemburgo sulla Superlega sancirà un prima e poi nel calcio europeo. Quella che fu la sentenza Bosman per i calciatori, questa lo sarà per i club. Ci sarà una sentenza in primavera e poi si vedrà».
Il tema di Calciopoli come si diceva è nei fatti riemerso con tutta la sua virulenza durante l’assemblea di martedì 27 dicembre quando a sorpresa è intervenuto l’ex direttore generale bianconero Luciano Moggi, che ha avuto parole di fuoco per molti club. Ma va detto che in verità era un tema che sotto la presidenza Agnelli era sempre stato presente. Infatti, sin da subito, ovvero dalla sua nomina nel 2010, il presidente uscente si è battuto convintamente e pervicacemente (e questo malgrado ripetuti insuccessi nei vari tribunali) per la restituzione dei due scudetti (2004/05 e 2005/06) che secondo il management bianconero erano stato ingiustamente tolti alla Juventus.
Nello stesso modo va detto che Exor, quindi la holding della dinastia guidata da Elkann, non ha mai avuto nulla da ridire sul fatto che il management della Juventus proseguisse questa battaglia e che la stessa Juventus esibisse due scudetti in più di quelli riconosciuti dalla FIGC sia sulle pareti dello Stadium sia sulla carta intestata del club. Insomma, quasi una sorta di avallo a queste istanze e peraltro la scorsa estate lo stesso Elkann si era lasciato andare a dichiarazioni esplicite in questo senso.
E anche su questo punto, molto caro ai tifosi bianconeri, sarà interessante vedere se il nuovo management guidato da Scanavino, come è detto impegnato su molti altri fronti, lascerà cadere questa battaglia, magari lentamente, oppure la perseguirà nello stesso modo convinto e pervicace
Il Milan e la nuova era tra Cardinale e Furlani
Spostandoci un centinaio di chilometri più a est anche il Milan affronterà la restante parte della stagione con una nuova guida. Da inizio dicembre infatti è terminata in via Aldo Rossi l’era di Ivan Gazidis ed è iniziata quella targata Giorgio Furlani, ex manager del fondo Elliott e membro del cda del club rossonero per nomina del fondo di Paul Singer, che invece da ora in avanti agirà quale amministratore delegato della società ora controllata da Gerald “Gerry” Cardinale.
La nomina di Furlani come numero uno operativo del club ha consolidato presso gli addetti ai lavori la sensazione che il passaggio di proprietà dal fondo Elliott a Cardinale sarà nel solco della continuità. Non solo perché nel nuovo cda ben tre su otto sono legati più o meno direttamente al fondo USA (lo stesso Furlani è appunto un ex Elliott), ma anche per la strategia che sarà implementata: una strategia volta a coniugare, come ha fatto Elliott con successo, una politica di attenzione alla situazione economica e le prestazioni sportive.
Detto questo però è evidente che il Milan non è più nella fase in cui Elliott lo ereditò da Yonghong Li e il nuovo management dovrà necessariamente gestire una fase diversa: se prima si trattava di avviare un processo per risanare una situazione economica molto pesante e al limite vincere in termini sportivi, ora si tratta di una sorta di seconda fase nel progetto nella quale, sempre tenendo conto che il Milan non ha ancora raggiunto la parità di bilancio, è necessaria una forte accelerazione nella crescita sia dei ricavi che nel processo di rilancio internazionale del club. Cosa quest’ultima che passa inevitabilmente per maggiori costi che quindi dovranno essere controbilanciati da maggiori ricavi provenienti da, ma non solo, da una stabile permanenza della squadra nell’élite del calcio italiano se non europeo.
Anche perché quella di Cardinale, che ha investito 1,2 miliardi per il Milan (incluso il vendor loan da parte del fondo Elliott) assomiglia molto a una operazione di private equity in senso stretto e di solito queste operazioni devono ripagare gli investitori nel giro al massimo di sette anni.
L’Inter tra il debito, Oaktree e l’ipotesi cessione
Spostandoci invece sulla sponda nerazzurra del Naviglio, l’Inter vive una situazione molto differente ma anche in questo caso la variabile finanziaria sarà molto importante, se non vitale. Il presidente Steven Zhang, durante l’ultima assemblea degli azionisti, ha assicurato sull’intenzione di Suning di restare a lungo nel club milanese. E questo malgrado gli advisor Goldman Sachs e Raine Group si siano attivati sul dossier di vendita del club nerazzurro.
Prendendo per buone le dichiarazioni di Zhang sulla volontà di Suning di rimanere nell’Inter, c’è una cosa incontrovertibile e che non dipende né dalle dichiarazioni né dalle intenzioni, ovvero che nel 2024 Suning dovrà ripagare un prestito da 292 milioni (con interessi PIK al 12%) al fondo statunitense Oaktree. Sono soldi che gli Zhang hanno richiesto per la necessità di immettere liquidità nell’Inter (che dopo il -245 milioni nel bilancio 2021, nel 2022 ha chiuso l’esercizio con una perdita di 140 milioni).
Ora se Suning, che sinora ha investito oltre 600 milioni nel club nerazzurro, non ripagasse questo prestito rischierebbe di perdere la società a zero con l’Inter che passerebbe nelle mani del fondo USA. In particolare, se Suning non riuscisse a ripagare il finanziamento garantito da Oaktree, nelle mani del fondo californiano finirebbe non solo il 68,55% dell’Inter in mano alla famiglia Zhang, ma anche il restante 31,05% in mano al fondo di Hong Kong LionRock (legato anch’esso a Suning): Oaktree avrebbe, così, il 99,6% delle azioni del club nerazzurro e sarebbe proprietaria del club.
In questo quadro va notato che secondo le indiscrezioni delle settimane scorse la famiglia Zhang valuterebbe l’Inter circa 1,2 miliardi. Cifra che comunque non consentirebbe di uscire con una plusvalenza dall’intera operazione, considerando quanto ha già investito nell’Inter negli anni scorsi (oltre 600 milioni), l’indebitamento finanziario netto del club (circa 300 milioni) e quanto poi gli Zhang dovrebbero versare a Oaktree per ripagare il prestito (circa 300 milioni). La sensazione, al momento, è che, viste anche le dinamiche dei mercati finanziari internazionali non sarà semplice trovare queste condizioni. Tanto che da più parti si ipotizza un piano B che comporterebbe un rifinanziamento del bond con Oaktree.
Quel che è certo è che come è emerso dal bilancio l’Inter in virtù della sua esposizione debitoria ha accumulato nel 2021/22 oltre 40 milioni di interessi e altrettanti ne accumulerà ogni anno nelle prossime stagioni. Una cifra che per esempio da sola può significare l’acquisto di due o tre buoni giocatori in sede di calcio mercato.
E, come chiesto in precedenza da questa rubrica, l’interrogativo è: può l’Inter continuare ogni stagione a partire con un siffatto handicap finanziario nei confronti delle sue avversarie italiane ed europee?