[FOOTBALL AFFAIRS] Nuovo San Siro, cambia la forma? E lo scetticismo sui nuovi ricavi

L’avvio in settimana del processo del dibattito pubblico sul nuovo San Siro ha segnato l’inizio del periodo cruciale per capire se dopo oltre tranni dalla presentazione iniziale del progetto, Inter…

Football Affairs, l'opinione di Luciano Mondellini

L’avvio in settimana del processo del dibattito pubblico sul nuovo San Siro ha segnato l’inizio del periodo cruciale per capire se dopo oltre tranni dalla presentazione iniziale del progetto, Inter e Milan nel 2027 (con tutti i lavori nell’area da concludersi nel 2030) potranno disporre del nuovo impianto di cui disperatamente dicono di aver bisogno per tornare a essere competitive a livello internazionale.

Come era prevedibile, e non a caso questa rubrica se ne era occupata nell’appuntamento di settimana scorsa, il tema della capienza del nuovo San Siro intorno a 60/65mila posti è stato una delle preoccupazioni principali emerse nella prima riunione aperta al pubblico. Una kermesse tenutasi a Palazzo Marino, sede dell’amministrazione municipale, nella serata di mercoledì 28, che per altro è stato disertata sia dal presidente del Milan Paolo Scaroni, sia dall’amministratore delegato dell’Inter Alessandro Antonello (ovvero i massimi dirigenti in capo del progetto) e sia dal sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Nelle preoccupazioni dei tifosi infatti una capienza così limitata per due squadre che ora riempiono quasi sempre l’attuale Meazza da oltre 75mila posti significa una sola cosa: prezzi sensibilmente superiore per i tagliandi. Si tenga presente inoltre che nel nuovo progetto l’area della corporate hospitality salirà da circa 3mila fino a circa 13mila posti, riducendo a circa 50mila posti la capienza della vendita libera.

Non solo, perché tra gli altri temi una capienza da 60/65mila posti come quella prevista riduce anche le possibilità in termini organizzativi per i grandi eventi, come già sottolineato da questa testata. Se infatti la UEFA per gli Europei 2028 consente anche a un impianto da 60.000 posti di ospitare la finale, la FIFA, per la Coppa del Mondo 2026, ha permesso che le semifinali possano essere ospitati in impianti da 60mila posti, ma ha imposto che la finale e la partita inaugurale dei Mondiali (San Siro ospitò quella del 1990) debbano essere giocate in un impianto da almeno 80.000 posti.

Su questo punto Mark Van Huuksloot, chief operating officer dell’Inter ha spiegato il punto di vista delle due società: «La vendita media dei biglietti delle due squadre dal 2015 fino a oggi è sempre stata sotto la capienza dei 75mila posti. È vero che questo limite è superato in occasioni come i derby o le sfide con la Juventus, ma per gran parte della stagione il problema non si pone».

Ma soprattutto perché, ha aggiunto il dirigente nerazzurro, per superare i 65mila posti di capienza bisognerebbe costruire un terzo anello che comporterebbe una spesa di ulteriori 200 milioni di euro per il solo stadio, considerando che l’altezza salirebbe a 55 metri e quindi occorrerebbe potenziare tutta la struttura destinata a sopportare il peso del terzo anello.

Inoltre, ha proseguito il manager olandese, nelle ultime sei stagionil’affluenza a San Siro per Inter e Milan ha superato quota 65mila spettatori soltanto nel 15% delle partite, senza considerare che spesso si tratta di dati che non tengono conto ad esempio degli abbonati non presenti alle partite.

In questo quadro pare che le due società stiano studiando una piattaforma, vidimata dai club, tramite la quale un abbonato che decide di non andare allo stadio in una determinata partita possa vendere l’ingresso a un tifoso che invece vuole andarci.

Per la parte rossonera l’advisor sul tema stadio è Giuseppe Bonomi – curiosamente sino a poco tempo fa l’amministratore delegato di MilanoSesto, ovvero l’area di Sesto San Giovanni molte volte paventata dai due club quale sede alternativa per il nuovo impianto. Anche il manager varesino, per lungo tempo presidente ed amministratore delegato di Sea (la società che gestisce gli aeroporti milanesi), ha tentato di placare i timori sui caro prezzi: «Lo spazio destinato all’hospitality ci consente di riequilibrare i nostri ricavi e portarci a una maggiore competitività con gli altri top club europei e questo ci permetterà di fare una politica dei prezzi ponderata sui restanti posti. Può funzionare da effetto calmieratore».

Un tema su cui si è espresso anche il presidente del Milan Scaroni: «Non abbiamo ancora deciso niente, stiamo riflettendo su una capienza tra i 60 e i 70mila posti».

Al momento ovviamente bisogna fidarsi delle promesse dei due club ma sarà curioso verificare, qualora il nuovo stadio sarà realizzato, se Milano seguiterà ad avere uno degli stadi meno cari d’Italia, oppure se i costi per il singolo tagliando lieviteranno così come temono i tifosi.

San Siro, nodo Cattedrale e lo scetticismo sui nuovi ricavi

Ma lo spunto più interessante emerso nei primi giorni di dibattito pubblico è forse  l’avvertenza con cui Andrea Pillon, il coordinatore dell’intero dibattito, ha messo in guardia i club. Pillon vanta un’esperienza di altissimo livello nel settore – ha seguito e coordinato per esempio il progetto sulla Gronda autostradale di Genova e il dibattito pubblico per la riapertura dei Navigli di Milano. E aprendo i lavori del dibattitto pubblico ha spiegato: «Nella mia esperienza non c’è un progetto che non abbia subito della modifiche alla luce di un Dibattito Pubblico, anche piuttosto sostanziali in alcuni casi». Come a dire, se tanto mi dà tanto, anche su questo progetto potremmo vedere cambiamenti notevoli nel corso del dibattito.

Intanto v’è da dire che qualcosa è già successo dopo i primi incontri visto che non appare più certa quale sarà la forma che avrà il nuovo stadio dal punto di vista architettonico.  Se infatti il 26 settembre 2019, Inter e Milan svelarono i progetti dei due stadi in gara –“La Cattedrale” dello studio statunitense Populous e “Gli Anelli” di Manica-Cmr-Sportium – e se il 21 dicembre 2021 i club scelsero ufficialmente “La Cattedrale” come concept del nuovo impianto, in settimana nell’incontro con la stampa le due società hanno svelato immagini del nuovo stadio senza più la forma della Cattedrale e al suo posto un impianto ovale. Non solo, ma Populous nei fatti è scomparso in ogni discorso. Bonomi, durante il primo incontro del dibattito pubblico, ha parlato del rendering come di «ipotesi emozionale, funzioni che non hanno ancora valenza architettonica». E i club hanno spiegato che la forma della rinnovata Cattedrale di Populous è solo una “suggestione” e che potrà ancora cambiare nel progetto esecutivo: intanto però l’immagine rettangolare dell’impianto è scomparsa, senza che i club ne abbiano dato spiegazione.

Ciò detto, nelle prossime settimane sono in programma altri interessanti incontri sul tema all’interno del dibattito pubblico. Alcuni di questi sono dal carattere prettamente economico come quelli del 12 e del 13 ottobre prossimi, che verteranno entrambi sulla sostenibilità economica del progetto. E di tutto questo questa testata renderà conto nelle sue cronache quotidiane. Calcio e Finanza infatti seguirà l’intero processo, non solo perché il tema stadi è uno dei pilastri dell’economia del calcio. Ma anche perché questa vertenza ha carattere nazionale (e anche internazionale) e non solo cittadina, vista l’importanza che San Siro ha avuto (e ha tuttora) nella storia del calcio italiano, e considerando il fatto che sia Inter che Milan hanno tifoserie che vanno ben oltre i confini geografici del capoluogo lombardo.

Uno dei temi sul quale si farà grande attenzione sarà quello legato ai ricavi da stadio extra matchday, che nelle previsione dei due club dovrebbero effettuare addirittura decuplicare, passando dai 12,3 milioni derivanti da museo, tour, store, eventi e sponsor della stagione 2018/19 (l’ultima con lo stadio totalmente a pieno regime prima del Covid) ai 120 milioni annui stimati con il nuovo impianto e le zone limitrofe.

Come accennato nel precedente appuntamento, al momento bisognare attenersi a indicazioni e alle previsioni delle due società. Tuttavia non si può nascondere che l’entità di questo balzo non ha mancato di generare qualche scettiscismo nel mondo economico finanziario italiano con cui questa testata si confronta quasi quotidianamente. Perché se è vero che Milano non ha paragoni in Italia per quanto concerne le possibilità di corporate hospitality visto la sua posizione di capitale economica e finanziaria del Paese – si pensi per esempio alla facilità con cui un manager può raggiungere l’impianto anche durante un giorno lavorativo (in piccolo è quello che succede per New York negli Stati Uniti)-. È però altrettanto vero che i massimi manager finanziari di due importanti club calcistici italiani hanno telefonato di loro sponte a questa redazione domandandosi se fosse possibile un tale salto.