La UEFA ha pubblicato in settimana uno studio molto esaustivo sul calcio femminile il cui esito previsionale è qualcosa di impressionante. Secondo il survey, intitolato The Business Case for Women’s Football e stilato incrociando i dati di 42 leghe professionistiche, 162 club, 11 partner commerciali e dell’ECA, il valore commerciale del calcio femminile in Europa è destinato a crescere di sei volte entro il 2033 sino a toccare quota 686 milioni di euro dagli attuali 116 milioni.
Al di là degli aspetti politici e sociali nel senso più alto del termine – nel senso che non si capisce il perché il calcio femminile non debba avere la stessa attenzione di sport in rosa quali il tennis, l’atletica, il nuoto o la pallavolo – va segnalato che un rendimento di oltre il 490%, ovvero quello che avrebbe se come previsto giungesse a toccare quota 686 milioni, è un guadagno che consentirebbe di attirare numerosi investitori e di battere molti strumenti finanziari, anche quelli con i più alti profili di rischio/rendimento.
Siamo quindi a un punto di svolta per il pallone delle donne? Questa testata non ha nulla per poter smentire questa tesi e anzi noi ce lo auguriamo di cuore. E’ evidente però che se ciò dovesse accadere si tratterebbe di un punto di discontinuità nella storia del calcio. E come tutti i punti di discontinuità nella storia (si pensi alle innovazioni tecnologiche) chi saprà approfittarne meglio ne avrà maggiori vantaggi.
Quindi la domanda è: l’Italia è pronta per abbracciare al meglio questa svolta? Oppure si presenta in ritardo di fronte all’inizio di questa nuova era? In precedenza, questa rubrica aveva segnalato come in Inghilterra i tamburi di guerra dei club nei confronti della federazione inglese, che gestisce il torneo femminile, siano già iniziati a suonare sullo sfruttamento commerciale del women football. Dopo il successo della nazionale di Sua Maestà agli Europei i club – la maggior parte dei quali sono la versione femminile dei colossi che giocano nella Premier League maschile – vogliono la separazione dal legame federale così come fece la Lega maschile negli anni novanta del secolo scorso. Il motivo è che i club pensano che i manager della FA non siano abbastanza competenti per sfruttare al meglio questo momento. Negli uomini la separazione significò l’inizio del domino della Premier League e molti sono pronti a pensare che al femminile questa svolta potrebbe dare una nuova dimensione al movimento.
In particolare, lo studio UEFA spiega che alla fine del 2021, fino a 144 milioni di tifosi seguivano il calcio femminile in Europa, di cui 57 milioni erano tifosi occasionali. Secondo il rapporto, entro il 2033 questa cifra salirà a 328 milioni di fan, di cui 129 milioni saranno fan occasionali, 105 milioni saranno fan impegnati e 94 milioni saranno fan accaniti. Lo studio sottolinea inoltre come i nuovi fan non saranno soltanto tifosi della squadra maschile che verranno per così dire trascinati per inerzia anche a sostenere quella femminile. Ma vi saranno anche tifosi o tifose del tutto nuovi ed estranei alla parte maschile. Quindi aprendo un nuovo mercato, almeno in parte
Qualcosa d’altronde si sta già muovendo. Per esempio, le 16 squadre qualificate all’Europeo hanno condiviso un totale di 16 milioni di euro, il doppio rispetto al 2017. «Il potenziale del calcio femminile è illimitato e crediamo di essere sulla buona strada per portare il calcio femminile a livelli inimmaginabili solo pochi anni fa», ha affermato Nadine Kessler, responsabile del calcio femminile dell’UEFA. «È tempo di sfruttare lo slancio che abbiamo creato insieme, ora è il momento di investire su di esso», ha aggiunto.
Restando in tema ricavi, dei 686 milioni ipotizzati nel 2033 si prevede che 256 milioni saranno legati ai diritti televisivi, una crescita guidata da un pubblico più ampio e da un maggior numero di partite. Prevista una netta crescita anche per i ricavi da botteghino, che tra un decennio potrebbero toccare i 135 milioni di euro (contro gli attuali 12 milioni). Non vanno inoltre dimenticati i costi, che nei primi anni potrebbero essere superiori ai ricavi, motivo per il quale si renderà necessaria una fase di investimento importante. Per i club fondati dopo il 2015, ad esempio, nei primi tre anni è stato necessario un investimento medio per 434mila euro, contro i 198mila euro annui richiesti dalle società nate prima del 2010.
Tornando alla questione se l’Italia sia pronta oppure no per sfruttare questo momento va detto che lo studio UEFA pone il nostro Paese in prima fila tra quelli dove il potenziale di crescita è più alto insieme a Danimarca, Inghilterra, Francia, Germania, Norvegia, Spagna e Svezia. Insomma, se è vero che l’Italia vista la stazza della sua economia, almeno a livello europeo, non poteva non essere in prima fascia, è altrettanto vero che non tutti i Nordici ci sono davanti: Olanda e Belgio per esempio sono in seconda, nonostante la forza delle loro Nazionali, specialmente nel caso delle Oranje.
L’introduzione in Italia del professionismo femminile è stato un passo fondamentale per poter approfittare di questo eventuale boom e con questo anche le dirette televisive su La7, che potranno dare un traino molto importante.
Ora però molto spetta alle società mostrare di volere investire per spingere su questa svolta. In questo quadro un club, che almeno tra quelli italiani, sicuramente ha dimostrato di dare valenza al pallone in rosa è la Juventus, che nel 2022 ha ottenuto il suo quinto scudetto proseguendo la serie ininterrotta iniziata nel 2017/18. Il club bianconero inoltre non solo ha aperto le porte dello Juventus Stadium per le partite delle proprie giocatrici, ma ha anche organizzato una finale femminile di UCL nel 2022 tra Barcellona e Lione. Dando prova di quanto Agnelli e il suo management siano attenti a questo fenomeno che presto potrebbe trasformarsi in un business. In misura minore anche Fiorentina e Roma, le uniche che hanno intaccato il dominio bianconero di questo anni giungendo a uno scudetto (le Viola nella stagione 2016/17) e a qualche Coppa Italia (le giallorosse nel 2020/21 e due volte la Fiorentina tra il 2016 e il 2018), sembrano molto attente al pallone in rosa. Non a caso sono due società di proprietà statunitense, ovvero il Paese nel quale da sempre lo sport è legato al business.
LE PLUSVALENZE INTER E IL SENTIERO STRETTO DI MAROTTA
Venendo invece a questioni meno prospettiche, la settimana, soprattutto in casa nerazzurra, è stata dominata dalla questione se l’Inter abbia fatto bene a vendere Pinamonti e Casadei (generando poco meno di 25 milioni di euro in plusvalenze per il bilancio 2022/23) oppure se stia svendendo il proprio futuro.
Alcuni tifosi, magari scottati dal precedente di Zaniolo, si sono spesi per la seconda tesi, altri invece hanno ricordato non solo come nella rosa che nel 2011/12 vinse la NextGen Series (competizione precedente alla nascita della UEFA Youth League) nessuno abbia poi fatto una grande carriera in Serie A ma anche il precedente di Mario Balotelli, venduto al Manchester City per 22 milioni di euro (dei quali quasi tuti plusvalenza) e rivelatosi nei fatti una dei migliori affari della gestione Moratti.
La storia esprimerà il suo verdetto, quel che è certò è che anche quest’anno a Marotta ed Ausilio è stato chiesto di fare le nozze con i fichi secchi e, una volta andato a monte l’acquisto di Bremer per la mancata vendita di Skriniar (tolto dal mercato direttamente dal presidente Steven Zhang), la dirigenza nerazzurra ha fatto le plusvalenze necessarie per il bilancio coi giovani. Insomma a livello di strategia finanziaria di lungo termine l’Inter prosegue a navigare a vista e in questo quadro non è escluso che potrebbe succedere qualcosa di significativo in termini proprietari.