Gregory Carey è uno dei top manager di Goldman Sachs. Il manager è infatti managing director della prestigiosa banca d’investimento statunitense dove da tempo si occupa del finanziamento delle infrastrutture sportive. In termini di operazioni infatti ha portato a termine transazioni per oltre 140 miliardi di dollari nella carriera.
Calcio e Finanza lo ha incontrato al World Football Summit di Madrid, la kermesse, di cui questa pubblicazione è media partner, che ha radunato nella capitale spagnola il meglio dell’industria dello sport business.
Mr Carey, quali sono i trend del futuro nel mondo dell’infrastrutture sportive?
Il mondo dello sport e del calcio nel dettaglio sta andando incontro a sfide importanti dal punto di vista infrastrutturale. Il punto però è che, considerando il Covid e la situazione finanziaria, molte società avranno la possibilità di fare programmi a lungo termine, altre non la potranno avere e questo potrà creare ulteriori solchi tra i club più ricchi e quelli meno.
Uno dei temi più importanti per quanto riguarda gli stadi sono i cosiddetti naming rights, ovverosia la possibilità di cedere il nome dello stadio a una azienda sponsor per incamerare entrate addizionali.
Io penso che questo sia un tema superato. Vendere il nome di un impianto di proprietà a una azienda secondo me è un errore in un duplice senso.
Si spieghi meglio.
In primo luogo si perde identità. I tifosi vogliono vivere un’esperienza quando vanno allo stadio e se invece di vedere il nome dell’impianto sognato da bambini si trovano il logo e il nome dell’azienda non sono contenti. Un tifoso del Manchester United vuole andare all’Old Trafford, non a un impianto con il logo di una mega multinazionale.
Però vendendo i naming rights si incamerano soldi.
E qui veniamo al secondo punto. Le dicevo infatti che il tema dei naming rights è superato proprio perché la nuova tendenza non è quello di appaltare a un’azienda il nome dell’intero impianto ma quello di segmentare lo stadio in varie sezioni. Invece di nominare l’infrastruttura con un nome solo bisogna vendere spazi a diversi sponsor. Per esempio vendere una tribuna a una azienda, una entrata a un’altra, un palco molto prestigoso a un’altra ancora e via di questo passo. In questo modo si salva l’identità di una società e si incassano più soldi. D’altronde in tutte le teorie di marketing la segmentazione del mercato è un fattore di successo.
Esistono già esempi in questo senso?
La tendenza è molto forte negli Stati Uniti negli stadi di football americano, dove per esempio si vendono le entate principali verso gli spalti alle aziende che hanno il diritto di nominarle. All’esterno di queste entrate l’azienda ha poi il diritto di sviluppare un piccolo villaggio pre e post partita
Quindi si arriverà a questa situazione anche in Europa?
Io lo spero ma attenzione, la crisi crea un ulteriore divario tra i club che possono giocare un longer game con i propri sponsor e quelli invece che ne sono succubi.