Balcanica, un viaggio tra le mille anime della ex Jugoslavia. Anche tramite il calcio e i tifosi

I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire. Niente ha descritto meglio le terre che sino agli inizi degli anni Novanta facevano parte della Jugoslavia come la celebre…

Balcanica

I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire. Niente ha descritto meglio le terre che sino agli inizi degli anni Novanta facevano parte della Jugoslavia come la celebre frase di Winston Churchill.

Un Paese che in un territorio relativamente piccolo (la sua superficie è inferiore a quella dell’Italia) raccoglieva e tuttora raccoglie un intreccio di popoli, storia, religioni, tradizioni ed etnie difficilmente riscontrabili in altre parti d’Europa: dai cattolici (quasi asburgici) della Slovenia a quelli di Erzegovina e Croazia, dagli ortodossi di Serbia e Montenegro ai musulmani di Bosnia.

Un coacervo unico nel Vecchio continente e forse nel mondo che non a caso fece scoccare la scintilla della Prima Guerra Mondiale nel 1914 e più recentemente le guerre civili che portarono alla disgregazione di quel Paese messo insieme da tito sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale e che portava il nome di Jugoslavia, ovvero “la Patria degli Slavi del sud”. Un coacervo che si riflette anche nel calcio dove le grandi squadre della ex Jugoslavia -le serbe Stella Rossa e Partizan e le croate Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato- sono state al centro delle tensioni che hanno portato alla guerra di disgregazione

E’ da queste considerazioni che prende spunto Balcanica, il nuovo libro del direttore di Calcio e Finanza Luciano Mondellini (edito da Albatros) che racconta come a vent’anni da quelle tragedie tre amici intraprendono un viaggio lungo e senza schema prestabilito attraverso cinque delle sei repubbliche che componevano la Jugoslavia (l’unica non toccata è la Macedonia).

Non dimenticando di ricordare come sia proprio un evento successo in uno stadio cui si fa risalire il via alla guerre di disgregazione della ex Jugoslavia. Il 13 maggio 1990, allo stadio Maksimir di Zagabria era in programma Dinamo-Stella Rossa Belgrado. Il clima era rovente e da Belgrado giunsero 3.000 ultrà serbi che già alcune ore prima della partita si erano fatti notare per numerosi atti vandalici nella capitale croata. Lo scontro vero e proprio però si verificò all’interno dello stadio Maksimir.

I tifosi di Belgrado, isolati nel proprio settore, iniziarono a strappare cartelloni pubblicitari e a inveire contro la tifoseria avversaria. Sino ad arrivare a vere e proprie aggressioni con coltelli e sedie. la polizia, a maggioranza serba, caricò invece i tifosi della Dinamo non appena questi reagirono, servendosi di manganelli e di gas lacrimogeni. Questi invasero il terreno di gioco e raggiunsero gli ultrà serbi. Il risultato fu che la situazione precipitò e la polizia ordinò l’intervento dei reparti antisommossa, delle autoblindate e dei cannoni ad acqua.

Durante gli scontri alcuni giocatori della Dinamo rimasero feriti sul campo, mentre i calciatori della Stella Rossa riuscirono a rifugiarsi negli spogliatoi e a fuggire con un elicottero militare. Le riprese televisive rivelarono in particolare che, nel corso degli incidenti, il capitano della Dinamo Zagabria Zvonimir Boban (poi divenuto una stella del calcio mondiale con il Milan) sferrò un calcio a un agente di polizia che stava picchiando un sostenitore della sua squadra e si salvò dalla repressione dei militari tramite l’intervento di alcuni tifosi e dirigenti della Dinamo.

La guerriglia tra gli ultras zagabresi (i Bad Blue Boys) e quelli provenienti da Belgrado terminò con 138 feriti e 147 arresti e tale avvenimento in seguito fu indicato ufficialmente dalle autorità di Zagabria come il preludio alla guerra d’indipendenza della nazione. Tanto che una targa nei pressi dello stadio Maksimir ricorda quegli scontri come la scintilla che fece partire il processo che il 25 giugno 1991 portò la Slovenia e la Croazia a dichiarare la loro separazione dalla Jugoslavia. la targa (che si dice che fu fatta erigere su suggerimento degli stessi Bad Blue Boys) recita: “Ai sostenitori della squadra che su questo terreno il 13 maggio 1990 iniziarono la guerra contro la Serbia”.

Zvonimir Boban con la maglia della Croazia (Photo by Henri Szwarc/Bongarts/Getty Images)

Ma al di là del calcio, il libro narra del viaggio di tre ragazzi che durante il percorso scopriranno un universo molto più ricco e complesso di quello che avrebbero mai potuto immaginare oltre a una natura che nulla ha da invidiare ai posti più belli del pianeta. la peculiarità e la complessità di queste terre emergerà da subito. Nella prima parte del viaggio i tre ragazzi avranno modo non solo di constatare l’efficienza quasi teutonica di Lubiana e di vivere le e effervescenti serate di Belgrado, ma anche di respirare l’anima profonda della campagna serba e di osservare il contrasto tremendo tra le bellezze delle montagne bosniache e l’orrore della visita a Srebrenica. Non da meno sarà la seconda metà dell’itinerario che si snoderà tra il fa- scino di Sarajevo, ponte culturale tra occidente e oriente, al business –non sempre trasparente – di chi investe in Montenegro nei paradisi per vacanze de luxe dei nuovi ricchi (locali e non). Inoltre il viaggio non mancherà di toccare la città martire di Mostar e il santuario mariano di Medjugorje, sino ad arrivare allo splendore di Spalato e delle coste dalmate più sconosciute.

Il libro tocca quindi mille angoli (anche i più disparati) della ex Jugoslavia dando anche una fotogra a aggiornata di quei Paesi: spiegando quali nazioni, a distanza di due decenni dalle guerre civili, si siano riusciti a risollevare e quali invece mostrino ancora pesanti segni di arretratezza con palazzi ancora sventrati nel centro di alcune delle città più importanti.

Soprattutto però il viaggio mette in luce come l’eco delle guerre che insanguinarono la ex Jugoslavia negli anni Novanta non si sia ancora spento nella testa delle popolazioni. Dando la sensazione che gli odi e i rancori tra le genti del- le diverse etnie siano ancora ben lungi dall’essere sopiti nei Balcani e in tutto il loro universo.