L'ex patron della Reggiana: «In Serie C società fittizie e pagamenti in nero»

Mike Piazza è un ex giocatore della Major League Baseball, considerato uno dei più grandi ricevitori nella storia della Major League. Ha giocato per cinque squadre diverse in 16 anni…

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Mike Piazza è un ex giocatore della Major League Baseball, considerato uno dei più grandi ricevitori nella storia della Major League. Ha giocato per cinque squadre diverse in 16 anni di carriera (dal 1992 al 2007). È stato inserito nella Hall of Fame il 24 luglio 2016, un risultato incredibile e contro ogni previsione, per un giocatore scelto per ultimo dai Los Angeles Dodgers nel draft del 1988, al 62° turno.

Essendo di discendenza italiana e un grande appassionato di calcio, Piazza ha sempre coltivato l’idea di investire in questo sport. È stato contattato in diverse occasioni e gli si sono presentate diverse opportunità di investire in un club. Attraverso il suo amico Maurizio Franzone come intermediario, Piazza ha acquistato una quota di maggioranza (60%) della Reggiana, club italiano di terza divisione, diventandone amministratore delegato nel giugno del 2016.

La natura competitiva di Piazza e la volontà di uscire dalla sua “comfort zone” per imparare cose nuove, lo hanno spinto ad affrontare questa sfida. L’attrazione per la regione, la gastronomia e la possibilità di offrire ai suoi figli l’opportunità di vivere un’esperienza culturale e di vita meravigliosa abitando in Italia erano troppo difficili da ignorare.

Le difficoltà iniziali non lo scoraggiarono. Navigare in acque inesplorate è stato più semplice grazie al sostegno di sua moglie Alicia Rickter, della sua fede cattolica e di un’etica del duro lavoro, per cui si impegna al 100% in tutto ciò che fa.

Durante quei due anni in cui ha effettuato il passaggio da giocatore a proprietario, ci sono stati alcuni alti, ma molti bassi. Gli sforzi hanno raggiunto un punto di non ritorno e il club è stato dichiarato fallito il 6 dicembre 2018.

Calcio e Finanza ha incontrato il cinquantenne Piazza, che ha meditato sul tempo trascorso durante la gestione del club e su tutti i problemi e le avversità, ripercorse in questa intervista esclusiva.

Domanda. Lei ha acquisito una quota di maggioranza della Reggiana nel 2016 con una visione ambiziosa e a lungo termine. A causa di circostanze sfortunate, il progetto è giunto al termine. Guardando indietro alla tua esperienza, c’è qualcosa che avrebbe potuto fare diversamente?

Risposta. In sostanza, non abbiamo avuto successo a causa di una serie di eventi molto sfortunati sin dall’inizio. Che cosa avremmo potuto fare diversamente? Penso che la domanda riassuma molti progetti falliti, la risposta è: tutto. Prima di tutto, non entrerò mai più in affari con persone che non conosco e che non lavoravano da almeno 10 anni. È stato in un momento della mia vita in cui volevo costruire qualcosa e tentare un progetto ambizioso. Mi dispiace dire che il mio giudizio nelle persone che ho scelto per iniziare questo progetto è stato troppo frettoloso ed emotivo, non razionale.

Detto questo, molti professionisti coinvolti, da consulenti a partner “fidati”, hanno costantemente fornito informazioni errate, mezze verità e bugie. Dalla valutazione iniziale del club, alle questioni dei flussi di cassa, alla chiusura dell’affare, alla negoziazione dei contratti, incluso l’affitto dello stadio, senza l’autorità per farlo. I miei ex soci hanno portato il club verso il baratro e l’unica salvezza sarebbe stata la promozione in Serie B. Sarebbe stato comunque molto difficile, dato che la Serie B non è una salvezza definitiva, ma ti dà solo il tempo di respirare e cercare di sostenere il club con una combinazione di vittorie, sviluppo e vendita di giocatori. Naturalmente sapevo che ciò avrebbe richiesto del capitale, ma il denaro deve anche essere protetto. La quantità di soldi sprecati fuori dal campo è stata significativa. I soldi spesi sul campo non sono stati molti meno.

Il primo acquisto importante è stato un attaccante da oltre 500.000 euro [Ettore Marchi, 23 partite giocate] che non solo non ha segnato nemmeno un gol, ma ha fallito un calcio di rigore contro il Venezia, in una delle partite più importanti dell’anno. Abbiamo pagato un attaccante [Rachid Arma] 45.000 euro per andarsene e poi finire a segnare 17 goal al Pordenone. Abbiamo anche rifiutato un giocatore [Ettore Gliozzi] in prestito gratuito, che è andato al Sudtirol dal Sassuolo e ha segnato 16 gol. Tutti affari portati a termine da un direttore sportivo alla prima esperienza che è stato assunto (non da me) con un contratto federale triennale tre volte più oneroso rispetto alla media del campionato. Non era mai stato direttore sportivo prima d’ora.

Dopo aver più che raddoppiato le nostre perdite rispetto alle previsioni, i miei “partner” non erano in grado o non volevano capitalizzare. Ho coperto da solo le perdite e ho deciso di fare un altro tentativo dopo aver apportato molte modifiche al personale, che sono costate all’azienda decine di migliaia di dollari, dato che le leggi sull’occupazione in Italia sono estremamente difficili da comprendere per uno straniero.

Domanda. Durante la sua avventura alla Reggiana ha tentato di coinvolgere la comunità per sostenere questo progetto. Quali sono state le sue più grandi sfide e gli ostacoli da superare? Che cosa avrebbe potuto fare di più la comunità, sia i fan che gli imprenditori?

Risposta. Inizialmente l’energia era fantastica dato che la Reggiana ha una “fan base” molto fedele e appassionata, e ho fatto tutto il possibile per promuovere il progetto. Sono andato anche in tv da Jimmy Kimmel e gli ho regalato una maglia del club. Ho fatto anche una battuta sulla possibilità di perdere dei soldi, che non suona così divertente ora. Ancora una volta, i miei partner sembravano sprecare la maggior parte di questo slancio iniziale, poiché non erano in grado di commercializzare il club e capitalizzare questo avvio. C’è un soffitto di cristallo su come è possibile agire sui prezzi dei biglietti e le sponsorizzazioni in Serie C. Ovviamente pur giocando in uno stadio da Serie A con un affitto e delle spese da Serie A, non abbiamo potuto mettere prezzi da Serie A. Abbiamo avuto una buona affluenza stagionale, ma i ricavi non sono stati in linea con i nostri costi. Inoltre, avevamo una squadra di giocatori avanti con l’età. Non abbiamo ricevuto una somma importante dalla FIGC per i giocatori più giovani. Il secondo anno hanno tagliato l’importo di 400.000 euro. 


Che altro avrebbero potuto fare? Sembra che le aziende più grandi e le persone più ricche di Reggio non siano così interessate al calcio. Va ricordato che il club ha militato in Serie B l’ultima volta nel 1998-99. Detto questo, molti degli sponsor sono stati fantastici e di grande aiuto, ma molti erano in ritardo nei pagamenti. Ciò ha causato problemi di flussi di cassa: mentre parliamo abbiamo 600.000 di debiti, che eventualmente dovranno essere pagati anche in caso di bancarotta.

Domanda. Quasi ogni anno si sente parlare di club italiani in bancarotta soprattutto nelle divisioni inferiori, anche per quelli con una storia ricca. Che cosa rende così difficile gestire un club in Italia e come lo confronteresti con la gestione di una franchigia negli Stati Uniti?

Risposta. Il calcio italiano dal lato degli affari è settore estremamente complicato per gli stranieri. È veramente il “selvaggio west”. Devi essere estremamente abile per sopravvivere, specialmente ai livelli più bassi. Perché alle società più forti non importa se vivi o muori. Se fallisci, parte la caccia ai giocatori migliori e a quelli più giovani. Quando andavo alle riunioni del campionato di serie C, molti presidenti si lamentavano dei costi e dei milioni di euro necessari per sostenere un club. I requisiti della lega sono ridicoli, le tasse sono opprimenti, molte squadre pagano in nero e ci sono molti casi di riciclaggio di denaro.

Penso che l’intero sistema debba essere rivisto. Non è una questione di perdere soldi con una squadra competitiva, è questione di quanti ne perderai. Molte società vengono penalizzate per non aver pagato in tempo o per non avere le garanzie obbligatorie richieste per gli stipendi. Nel mio primo anno molti club hanno utilizzato finte società per garantire gli stipendi e non hanno ricevuto alcuna sanzione, avendo avuto il tempo di adeguarsi.

Siamo arrivati ​​alle finali il mio primo anno, i soldi ricevuti per i playoff erano circa 80.000, ma le nostre spese erano più del doppio. Inoltre, devi devolvere una percentuale importante degli incassi per le gare casalinghe alla squadra ospite. Questo ci ha ucciso. Inoltre, le nostre entrate per le partite in casa erano nettamente superiori rispetto a quelle della maggior parte dei nostri concorrenti e le nostre spese erano significativamente più alte. Durante i playoff la lega si prende anche un terzo degli incassi.

 

Rispetto agli Stati Uniti, non è semplice fare un paragone. Negli USA si dipende molto di più da una filosofia sana della lega. Molte differenze regionali rappresenterebbero un enorme ostacolo alla collaborazione tra società per avere una lega sana. Una nota positiva, molti dei più grandi giocatori italiani sono cresciuti inizialmente in club più piccoli, tuttavia, se questi club falliscono, perdono le indennità di formazione, come succederà a noi.

Inoltre, un altro aspetto negativo è che molti intermediari ricevono commissioni per non muovere letteralmente un dito. Abbiamo venduto un giocatore delle giovanili di origine africana e abbiamo dovuto pagare 17.000 euro a un agente perché si è inserito nell’affare dopo che l’accordo era stato negoziato. Non siamo riusciti a recuperare i costi per la formazione del ragazzo. Si è preso più della metà dei proventi dell’affare. L’incapacità di far crescere i ricavi, e il divario sempre più ampio con i costi fa scattare l’ora dei debiti. Sono orgoglioso di dire che non abbiamo fatto ricorso ai prestiti bancari, molte società lo fanno e anche in Serie B non va molto meglio. Tre club sono falliti in serie B: Bari, Cesena e Avellino. Il Cesena aveva oltre 30 milioni di euro di debiti. Ovviamente non sostenibili. Il modello deve seguire lo stesso di Crotone, Empoli e Spal. Quei progetti erano estremamente “semplici”, i soldi sono stati spesi sul campo e sono state messe persone apparentemente oneste e qualificate nei posti giusti. Il successo non è casuale.

Domanda. Com’è stata la sua esperienza in Italia, da americano di origine italiana? Ha avuto un impatto sul tuo lavoro in qualche modo? (Nota: i genitori di Piazza sono nati nella città di Sciacca, Agrigento, sulla costa sud-occidentale della Sicilia. Da ragazzino Piazza era un fan del Palermo e continua a seguire la squadra ancora oggi).

Risposta. Essere di origine italiana è motivo di orgoglio ed è una cosa che apprezzo. Avrei voluto portare più influenze e idee americane sul tavolo e costruire partnership e relazioni strategiche, ma non sono riuscito a rendere sostenibile questo modello. Ho organizzato innumerevoli incontri per cercare di raccogliere fondi. Non ho avuto una grande risposta da parte di molti investitori e amici. Tutto questo mi ha fatto capire qualcosa. Ancora una volta, non sono così amareggiato come sembra, perché abbiamo fatto delle cose buone.

I due anni che in cui siamo stati alla Reggiana si sono rivelati pieni di passione ed emozione. Ora so perché persone molto facoltose comprano squadre sportive, è una corsa, e avere influenzato la vita di alcuni giovani è stato gratificante. Vorrei poter aver fatto di più; finanziariamente da solo non aveva senso. Ora la mia famiglia e io ci siamo trasferiti in Italia a tempo pieno. Far studiare i miei figli in Italia e permettergli di imparare l’italiano è un’esperienza che darà loro dei benefici.

Domanda. Qualche piano per il futuro? Prenderesti mai in considerazione l’idea di gestire un altro club in Italia? (Nota: Piazza e sua moglie Alicia sono genitori di tre figli: Nicoletta, 11 anni, Paulina, 8 e Marco, 5).

Come la maggior parte degli investitori, mi lecco le ferite e mantengo la mente aperta. Sto cercando di imparare la lezione. Mi sto prendendo una pausa dagli investimenti attivi in ​​quanto i miei risultati non sono stati così positivi. Ma ho assimilato una quantità incredibile di informazioni che Harvard non può insegnarti. Sento di poter dare anche consulenza o una visione unica a tutti gli altri gruppi che desiderano investire in Italia. Possono imparare dai miei errori. Triste che questo non abbia funzionato. Tuttavia, sono molto grato e ringrazierò sempre per l’esperienza.

[Traduzione di Marco Sacchi]