Lo scenario è quello della finale di Champions League del 2017 tra Juventus e Real Madrid. I protagonisti sono Sergio Ramos, il Real Madrid e l’antidoping. La storia arriva direttamente dai documenti di Football Leaks e riguarda il centrale difensivo dei blancos, che un mese dopo la gara di Cardiff fu trovato positivo al Desametasone, un farmaco citato nella lista delle sostanze vietate dalla Wada, l’agenzia mondiale antidoping.
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Lo racconta l’Espresso, sulla base delle carte di Football Leaks, ottenute dal settimanale tedesco Der Spiegel e analizzate insieme agli altri giornali del consorzio Eic (European investigative collaborations) tra cui il settimanale italiano.
Il caso Ramos è fin qui rimasto un segreto ben custodito dall’Uefa, che alla fine della storia si è accontentata delle spiegazioni fornite dal Real Madrid e ha archiviato il tutto. Il farmaco somministrato a Ramos pochi giorni prima della finale di Champions League non è stato segnalato in anticipo ai funzionari dell’antidoping, così come prescritto dal regolamento. In caso di documentate necessità terapeutiche, infatti, anche il Desametasone può essere usato dagli atleti. E Ramos, secondo quanto dichiarato alla Uefa, soffrirebbe di cronici dolori alla spalla e al ginocchio sinistro. L’apposita scheda conteneva invece il nome del Celestone Chronodose, un medicinale simile al Desametasone. L’errore, però, sarebbe stato il frutto di una banale svista del medico della squadra iberica, che non ha quindi deliberatamente violato il regolamento. Questa sarebbe la versione dei madrileni.
L’Uefa ha constatato che i risultati delle analisi fossero compatibili con quanto dichiarato dal medico a sua discolpa, e ha chiuso il caso senza punizioni per Ramos e il club. Tutto ciò nonostante, nel recente passato, la stessa sostanza utilizzata dal calciatore del Real abbia messo nei guai gli sportivi di altre specialità, puniti con sospensioni fino a due anni.
Ma dai documenti di Football Leaks si evince come non si tratterebbe del primo caso “particolare”, relativo ai rapporti tra UEFA e Real Madrid sulla questione antidoping. Già nel febbraio del 2017 – spiega ancora L’Espresso – dieci giocatori del club furono sottoposti ad un controllo a sorpresa, infastidendo non poco squadra e staff. Tanto che i medici accreditati dalla UEFA fecero appena in tempo a completare il prelievo di sangue dalle vene di Ronaldo e del centrocampista tedesco Toni Kroos, per essere poi sostituiti dai medici della società, che completarono i test sugli altri otto atleti. Alla richiesta di spiegazioni da parte della UEFA il Real si difese accusando il team dell’antidoping di scarsa professionalità. Tanto bastò per far chiudere l’indagine senza conseguenze per la squadra spagnola.
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Così in Europa, e allo stesso modo in patria. Nell’aprile scorso, al termine della partita tra Real e il Malaga, ancora Ramos fu protagonista. Il difensore venne chiamato per il test antidoping, ma prima dell’esame si infilò sotto la doccia, violando così il regolamento che vieta di assentarsi, anche solo per pochi minuti, una volta convocati. Il motivo è evidente: c’è il rischio che un atleta, mentre si lava, riesca a urinare e quindi a falsare in qualche modo il risultato del successivo test antidoping.
Le norme sono molto chiare. Non è consentito farsi un bagno e neppure la doccia prima del controllo. Ramos, però, quella sera a Malaga ignorò gli avvertimenti dell’ispettore incaricato del test. Sulla carta le sanzioni avrebbero potuto essere pesanti: multe salate per la squadra e squalifiche fino a quattro anni per il giocatore. Ma l’agenzia antidoping esaminò la vicenda solo cinque mesi dopo i fatti concludendo che: «Non c’erano gli estremi di una violazione dei regolamenti».