In attesa che l’AgCom sciolga i dubbi su come Vivendi possa essere il primo azionista del leader italiano della telefonia, e il secondo socio della prima tv commerciale tricolore, Telecom e Mediaset sono legate obtorto collo dal bisogno di fare business insieme per contrastare una concorrenza accerchiante: quella di Sky sulla pay tv e sullo sport (soprattutto ora che il colosso che fa capo a Rupert Murdoch ha stretto accordi con Vodafone), quella di Enel Open Fiber sulla rete fissa, quella dei francesi di Free sul mobile, e così via. Ne scrive oggi il quotidiano La Repubblica che fa il punto della situazione.
Paradossalmente Mediaset è messa meglio di Telecom, perché la competizione è sempre stata nel dna del gruppo di Cologno, ma per la società guidata da Flavio Cattaneo è tempo di fare squadra per non farsi mettere all’angolo dai rivali.
E così Cattaneo tratta con Pier Silvio Berlusconi nuovi accordi commerciali tra Tim Vision e Mediaset Premium. Sia per evitare cause sui minimi garantiti (che Telecom non ha onorato a Cologno) sia per aggiudicarsi esclusive sul calcio che è l’unico sport per cui gli italiani sono disposti a pagare.
Cattaneo poi si difende come può sulla rete fissa facendo accordi con Fastweb per la fibra, e sulle aree bianche con un socio finanziario da scegliere insieme a Rothschild.
Intanto le assemblee di Telecom da una parte (4 maggio) e di Mediaset (che ha spostato l’assise più lontano possibile, cioè il 28 giugno), si preannunciano calde e decisive anche per capire gli assetti futuri dei rapporti tra Vincent Bolloré e la famiglia Berlusconi.
L’assemblea di Telecom insieme al bilancio dovrà approvare il rinnovo del cda, e quanto Vivendi influenzerà la governance futura del gruppo sarà uno dei fattori che l’Agcom valuterà a i fini della sua decisione.
I legali di Vivendi di fronte all’Autorità hanno sostenuto di non controllare né Telecom né Mediaset, mentre in settimana il collegio di sindacale di Telecom ai fini delle parti correlate ha detto esattamente il contrario. Per i sindaci Vivendi controlla Telecom, pertanto ogni volta che il gruppo di tlc sigla un contratto con la Universal Music, ma anche con Havas (l’agenzia pubblicitaria che fa capo direttamente a Vincent Bollorè) il cda del gruppo telefonico deve attivare la procedura rafforzata delle parti correlate per evitare che gli amici degli azionisti, ricevano un trattamento di favore.
Il cda di Telecom, invece, ha votato contro la proposta dei sindaci, ma guarda caso si sarebbero astenuti solo due su tre dei consiglieri espressi dalla lista di Assogestioni.
L’assemblea di Cologno prevede invece oltre il bilancio, l’elezione del collegio sindacale ma non è escluso che altre tematiche vengano messe all’ordine del giorno, sia da parte di Vivendi, sia da parte di Fininvest.
Anzi Pier Silvio Berlusconi ha lasciato capire che, come successo con Mondadori, dove verrà chiesto ai soci di votare l’introduzione del voto multiplo, anche per il gruppo televisivo questa strada potrebbe «dare stabilità» all’azionariato.
Solo che se Fininvest ha il 53% di Mondadori, ha appena il 40% di Mediaset, pertanto se superasse il 50% dovrebbe lanciare un’Opa obbligatoria.
Ma paradossalmente, ipotizzando che il voto multiplo venga approvato e che Fininvest e in francesi mantengano inalterata l’attuale quota, Vivendi che ha il 29% di Cologno, rischia di incorrere nell’obbligo dell’offerta obbligatoria prima della holding dei Berlusconi, con l’aggravante che dovrà lanciare un’offerta a cascata anche su Mediaset Espana.
Resta che difficilmente l’assemblea di Mediaset potrebbe approvare l’introduzione del voto multiplo senza l’approvazione di Vivendi, che detiene una minoranza di blocco. Ma anche in questo caso, sarebbe bizzarro per Bolloré votare contro l’introduzione del voto maggiorato in Mediaset, quando con lo stesso stratagemma il finanziere bretone è arrivato a un passo del 30% del controllo di Vivendi senza dover investire per equivalente.
Tutto questo sempre che l’AgCom per il 28 maggio non abbia «sterilizzato» i diritti di voto di Vivendi nel gruppo di Cologno, in ottemperanza della legge sui Sic (40% della quota nel settore telefonico e 10% nei media nazionali). Eppure chi conosce Bolloré continua a ripetere che il finanziere bretone è più interessato a Mediaset che a Telecom.