Mediaset Premium satellite e nuove sfide. Arriveranno a gennaio i nuovi decoder che permetteranno a Mediaset di vendere le sue partite di calcio della Champions League anche agli utenti della tv via satellite. Lo scrive oggi Affari e Finanza de La Repubblica, che dedica alla tv a pagamento del Biscione una lunga analisi in cui affronta tutte le sfide che si profilano all’orizzonte. L’obiettivo di Mediaset è quello di diventare una media company a tutto tondo. Il rischio di non farcela rimane alto.
“Andare sul satellite per Mediaset è una mossamolto rischiosa – scrive Affari e Finanza -. Perché se ne vedono i costi ma meno, al momento, i vantaggi. Ma la decisione è seria. E il primo segnale è che stavolta i decoder non sono prodotti di fascia medio bassa, come accaduto spessoin passato”.
I nuovi decoder saranno Samsung. Le previsioni dell’operazione sono già al vaglio degli analisti che divergono anche di molto ma non su un punto: fino al 2017 non produrrà utili. Magari non saranno i 400 milioni di ebit negativo cumulato di cui parla un report di Enders Analysis, particolarmente negativo visto che non vede un risultato positivo neanche nel 2017-18, ma anche analisti e addetti ai lavori più vicini alla famiglia Berlusconi,, che vedono le cose più rosee, non vanno oltre una stima di un ebit cumulato nei tre anni prossimi negativo per 200 milioni. Cifra confermata anche da un’analisi di Equita.
Nel frattempo C&F ha già registrato il fatto che alla luce dei 112 mila abbonati in più a Premium e i soli 37 mila in meno a Sky il mercato tiene e non ci sono effetti sconvolgenti.
Ma la vera partita non si gioca sugli abbonati, bensì sui prezzi. I due contendenti stanno battagliando a colpi di offerte e di supersconti e questo rende difficile capire quanto l’investimento da 700 milioni in tre anni con cui Mediaset ha sfilato la Champions a Sky abbia funzionato oppure no. Bisognerà aspettare fine dicembre per avere chiari gli equilibri e fino a metà 2016 per capire a quanto Mediaset stia vendendo le sue partite.
I dati ad oggi danno un quadro ambiguo. Un anno fa Mediaset era accreditata di un ARPU (la spesa mensile media per utente) di 23 euro e le prospettive di Premium erano di non coprire i costi. Dall’estate, quando ha messo sul mercato il pacchetto calcio, lo ha lanciato a un prezzo pieno di 46 euro. Poi però sono iniziate le offerte che lo hanno dimezzato. E ora ci sono sconti fino a 19 euro al mese per i primi mesi. Impossibile fare i conti.
Le previsioni degli analisti più ottimisti, in linea più o meno con quelle ufficiali del gruppo, prevedono che al giugno 2018, quando sarà terminato questo triennio di diritti sia della Champions che della Serie A, l’arpu sarà arrivato a 30 euro al mese.
Ma la strada è lunga e in salita (senza contare le inchieste sui diritti per la SerieA). Basta fare il confronto con Sky che mercoledì scorso ha resto nota la sua trimestrale. Per l’Italia, assieme al calo dei 37mila utenti, registra anche un calo dell’arpu di un euro. Ma si scende da 43 a 42 euroalmese.
E ha ancora margini di manovra. Sky Deutschland, per dire, che ha portato a casa una crescita di utenti dell’11%, ha un arpu di 34 euro. E dall’Inghilterra, il mercato top di Sky, dove l’arpu è tuttora altissimo sopra le 40 sterline, si è addirittura registrato un lieve aumento.
I mercati, che tendono spesso a restare concentrati sul breve periodo, hanno apprezzato per ora l’aggressività di Mediaset. Il titolo è vicino ai massimi degli ultimi 15 anni e ha avuto un brusco scivolone a inizio ottobre solo quando si è saputo che Marina Berlusconi aveva venduto azioni del Biscione per 7 milioni di euro di controvalore.
Ma è rimasto un segnale isolato e il titolo è da allora in ripresa.
L’ipotesi più negativa che circola a mezza bocca è che il Biscione potrebbe aver fatto il passo un poco più lungo della gamba con quest’affare del calcio.
Secondo alcuni Mediaset abbia fatto un’offerta così alta per soffiare la Champions a Sky per poi intavolare subito una trattativa con la stessa Sky per arrivare a un accordo. Trattativa che si sarebbe conclusa in tarda primavera in un albergo di Londra dopo che Sky non solo avrebbe rifiutato di comprare Premium al prezzo proposto di un miliardo (validato dall’ingresso di Telefonica con un 10% pagato 100 milioni).
Ma avrebbe anche rifiutato di arrivare ad una spartizione della Champions con un meccanismo però diverso da quello usato fino all’anno scorso nella Serie A e che non ha avuto buoni effetti, come si è visto, nei conti di Premium.
Il decoder per Mediaset è il primo passo, ora dovrà costruire un pacchetto di offerta con la sola Champions (la Serie A via satellite è esclusilva Sky) e con altri contenuti, film o fiction. Ma un conto è fare la pay con una decina di canali terrestri, un conto il satellite: servono più contenuti. E costano. Nel frattempo l’accordo con Google appena raggiunto mercoledì scorso potrebbe portare qualche frutto sul versante online, ma ci vorrà tempo.
Insomma,per diventare una vera Media Company la via per Mediaset è lunga e in salita. E il recupero del mercato pubblicitario italiano non è più sufficiente, anche se la raccolta è data in crescita nei prossimi 3-4 anni. La tv in chiaro non è morta, sicuramente non verrà uccisa da Netflix, almeno non nell’immediato.
Ma non è più quel pascolo esclusivo del Biscione che era fino a qualche anno fa. Sky continua con le sue azioni di disturbo, l’ultima l’acquisto da Mtv del tasto 8 del telecomando. Discovery continua a crescere nella raccolta pubblicitaria, dove ha già superato Cairo e La7. E la riforma della Rai promette di fare di Viale Mazzini un concorrente non pù così sedato come una volta. Certo, partire con una quota di mercato del 60% di tutti gli spot che passano sulla tv italiana è un bel blocco di partenza. Ma oggi non basta più chiamarsi Mediaset. E può essere una sfida di mercato affascinante