Parliamo un po’ di rugby? In questi giorni è cominciata la Coppa del Mondo della palla ovale, uno sport che con il calcio condivide le origini. Entrambi gli sport sono nati in Inghilterra a inizio dell’Ottocento e la storiografia vuole che nel 1823 uno studente dell’Accademia di Rugby, William Webb Ellis, durante una partita di football non ancora codificato secondo le norme che oggi conosciamo, prese a un certo punto la palla con le mani, raggiungendo il fondo del campo ed urlando “Meta”.
La scissione ufficiale tra i due sport avverrà però solo nel 1863, quando la parte dei praticanti che non ammetteva l’uso delle mani abbandonò la partita per fondare la Football Association, ovvero la federazione calcistica più antica al mondo, quella appunto inglese. Ma lo sport fondato da Ellis ne ha fatta di strada, arrivando ad avere un Mondiale che nell’ultima edizione, quella del 2011 in Nuova Zelanda, ha generato un giro d’affari di 500 milioni di euro.
Ecco perché ce ne occupiamo qui, dove di solito scriviamo di calcio. Ed ecco, ripercorrendone la storia, perché gli inglesi hanno coniato lo slogan “Too big to miss” in relazione al Mondiale che ospiteranno dal 18 settembre al 31 ottobre di quest’anno. Un evento che punta a riportare il rugby a casa, ma non solo. Perché se dalla parte puramente sportiva si cercherà di riportare nell’emisfero boreale la Webb Ellis Cup, come i rugbisti chiamano la coppa del mondo, dall’altra la competizione sarà un banco di prova importante per le grandi aziende sportive che hanno deciso di investire nella competizione, in un anno in cui, a livello calcistico, non ci sono Mondiali né Europei a farla da padroni.
1 DAY UNTIL #RWC2015! Six seconds. Seven trophy lifts. But who will emerge victorious on October 31st? ?https://t.co/6Eu3U8rQE1
— Rugby World Cup (@rugbyworldcup) 17 Settembre 2015
Un giro d’affari che può sfiorare i 2.5 miliardi di sterline
Secondo un report di EY sull’impatto economico del torneo, questo dovrebbe contribuire per 982 milioni di sterline sul pil britannico, attirare 466mila spettatori stranieri, generare 41mila posti di lavoro e generare un giro d’affari complessivo di 2,4 miliardi di sterline. Il tutto non a costo zero, ovviamente: il costo per le infrastrutture è stato di 85 milioni di sterline, ma è andato più che altro per trasporti e gestione organizzativa. L’Inghilterra, che come detto è la patria del rugby, possiede la tradizione ma anche gli stadi. Basti pensare a Twickenham, tempio mondiale per eccellenza del rugby. O al nuovo Wembley, che è tempio del calcio ma che si presta volentieri a mete e touche. Ci saranno anche altri stadi prestati dal football, come il Villa Park di Birmingham, l’Etihad Stadium di Manchester, l’Elland Road di Leeds, lo stadio del Mk Dons di Milton Keynes il St James’ Park di Newcastle.

Una macchina importante, dunque, quella che muove la coppa del mondo di rugby. Perchè è lo stesso torneo ad essere cresciuto, nel tempo. Il primo torneo venne giocato nel 1987, dopo essere stato creato solo due anni prima. La federazione internazionale prese la decisione di creare il torneo dopo che Rupert Murdoch, in assenza di un vero torneo internazionale che raggruppasse il circuito del rugby a XV, che stava perdendo giocatori verso il rugby a XIII: la differenza era che il secondo marciava verso il professionismo, consentendo quindi guadagni migliori.
La federazione anticipò Murdoch creando il Mondiale nel 1985 ed affidandolo due anni dopo ad Australia e Nuova Zelanda come organizzatori. Vennero invitate le squadre migliori del tempo, compresa l’Italia, benché fosse ancora fuori dal circuito del Cinque Nazioni. E fu proprio l’Italia a giocare il primo match della storia della Coppa del mondo, contro gli All Blacks: fu un disastro per noi, con John Kirwan che fece una meta correndo per 70 metri e dribblando una decina di giocatori.
Ma da quel match, il movimento italiano e non solo hanno fatto strada. Basti pensare ai biglietti venduti: 600mila nel 1987, 2,2 milioni a Francia 2007. Per non parlare dell’audience televisiva: 200mila spettatori nella prima coppa, 4 miliardi di potenziale bacino nell’ultima, con 207 Paesi collegati. Oggi, per questa edizione, la stima è di 2,2 miliardi di spettatori complessivi. Una stima che, se rispettata, metterebbe questo torneo come al 5° posto tra i più visti di sempre: i primi quattro nemmeno a dirlo sono tutti Mondiali di calcio, per l’esattezza quelli compresi tra il 2002 e il 2014.
Tra gli spettatori che saranno negli stadi, è prevista una presenza media del 95%, percentuale riferita al riempimento degli impianti: numeri in linea con gli ultimi Mondiali. Ma è qui che si fa il vero affare. Con polemiche annesse, ovvio. Perché il prezzo medio dei biglietti è il più caro di sempre: 104 sterline a gara, contro gli 88 della precedente edizione e contro i 92 del Mondiale di calcio 2014.
La coppa attrae i grandi brand (tranne Nike)
L’organizzazione del torneo, affidata ad uno specifico comitato che trattiene per sé i proventi dai biglietti, vede la supervisione del World Rugby, che è un po’ come la Fifa nel calcio. E come essa si comporta, trasformando di fatto il torneo in un format dove gli sponsor contribuiscono alla ricerca di visibilità. Molti grandi brand partecipano: da Emirates (che sponsorizza le casacche degli arbitri) a Mastercard, passando per Dhl, Land Rover e Heineken, brand che da anni è impegnato nella palla ovale a livello di sponsorship.
E poi ci sono i brand tecnici. Quelli che puntano tantissimo al torneo sono Adidas, Under Armour e Canterbury. Il brand tedesco sponsorizza tre nazionali, seguendo una schema preciso, ovvero seguendo tre fasce. La prima è quella dell’eccellenza, rappresentata dagli All Blacks, due volte vincitori del mondiale, campioni in carica e fenomeno di costume, tanto che la Mastercard ha ingaggiato una vecchia gloria come Jonah Lomu per uno spot con l’Haka nel pieno centro di Londra. Poi c’è la fascia intermedia rappresentata dalla Francia, ovvero una nazionale con un’ottima tradizione. Quindi l’Italia, che si è conquistata da anni l’accesso nel Sei Nazioni e rappresenta un movimento in crescita. Accanto alla nazionale ci saranno altri due sponsor grandi come Cariparma e Edison.
La Canterbury, azienda neozelandese, si è presa la sponsorship tecnica dei padroni di casa, unici finora dell’emisfero boreale a vincere il Mondiale nel 2003. Assieme all’Inghilterra saranno sponsorizzate l’Irlanda e il Giappone, che ospiterà il Mondiale nel 2019. Quindi la Under Armour, che veste il Galles, il Canada e la Georgia. Il marchio statunitense punta fortissimo sul torneo. Tanto che ad un mese dall’inizio del torneo si è presentata in grande stile a Londra, sulle rive del Tamigi, con i propri uomini immagine: i gallesi Jamie Roberts e Leigh Halfpenny, oltre a James Haskell (Inghilterra), Jordi Murphy (Irlanda), Drew Mitchell (Australia) e il canadese Jamie Cudmore.
Occhio anche ad Asics, che punta su Sud Africa ed Australia: entrambe hanno vinto la coppa due volte e sono tra le favorite alla vittoria finale. C’è anche un’altra azienda italiana, la Macron: sponsorizza la Scozia. Sorprende la quasi assenza della Nike, che punta solo su una nazione, anche se importante, come l’Argentina.