Pirelli, dagli USA arriva il no al controllo cinese: scontro in CdA per un riassetto societario

Domani è previsto il consiglio di amministrazione per risolvere la questione. Proprio per questo il presidente di Sinochem e del gruppo, Jiao Jian, darà a Milano.

Pirelli
(Foto: MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

La nuova politica di Donald Trump porterà quasi sicuramente a nuovi equilibri all’interno di Pirelli, dove la posizione dominante di Sinochem, detentore del 37% del capitale sociale della società, rischia di danneggiare il gruppo.

Infatti, come riporta l’edizione odierna del La Stampa, l’amministrazione statunitense non vede di buon occhio la presenza di primo azionista del gruppo cinese Sinochem, in quella che si preannuncia una lunga lotta commerciale su un ampio fronte per riportare al centro di tutto la grande industria a stelle e strisce.

Dal punto di vista di Pirelli, il management è deciso ad andare fino in fondo per fermare quelle che ritiene insostenibili interferenze cinesi. La tensione all’interno della società è ai massimi storici che potrebbe portare a uno scontro totale qualora Sinochem non venga a più miti consigli acconsentendo a una sua uscita dal capitale o almeno a ridurre la sua quota. Le conseguenze in caso di muro da parte del socio cinese non sono ancora facilmente ipotizzabili.

Un primo faccia a faccia importante per il futuro di Pirelli potrebbe avvenire già nella mattinata di domani, mercoledì 16 marzo, quando è convocata una riunione del consiglio di amministrazione del gruppo degli pneumatici. Fino ad allora gli avvocati di entrambe le parti proveranno a trovare una difficile composizione. Ma il lavoro, visto che il risultato di mesi di discussioni è pari a zero, sembrerebbe più orientato a preparare un vero e proprio scontro che a gestire una pace.

Sul tavolo finiranno molteplici argomenti. Quello principale ha a che fare con il grande risentimento dell’amministrazione Trump per l’influenza dei cinesi negli affari che Washington ritiene strategici. In particolare, lo scorso 17 marzo sono entrate in vigore le nuove norme che riguardano il comparto auto e che vietano la vendita o l’importazione di veicoli connessi che utilizzano hardware o software di aziende legate alla Cina o alla Russia.

Ed è proprio per questo che a Pirelli è scattato un allarme rosso. Senza correre ai ripari, rischia di restare al palo in un mercato cruciale. Basti pensare che la piazza americana vale, in termini globali, il 40% del segmento di mercato ad alto valore, quello su cui Pirelli gioca le sue carte. Le nuove leggi, però, bloccherebbero l’adozione della tecnologia cyber tyre di Pirelli la quale, con un sistema che integra hardware e software, rende gli pneumatici “intelligenti”.

Il rischio, a questo punto concreto, è che tale tecnologia diventi off limits proprio laddove è più richiesta, negli Stati Uniti. E siccome le piattaforme sono globali, è possibile che, non potendo adottarla negli USA, le case automobilistiche decidano di non adottarla anche altrove. Per Pirelli un grave danno, che il management è deciso a evitare.

Il CdA convocato per domani è teso proprio a sciogliere questo nodo. Senza una soluzione, lo scontro appare inevitabile. I segnali non sono rassicuranti. Ad esempio, secondo indiscrezioni, i consiglieri espressione di Sinochem e guidati dal presidente di quest’ultima, nonché di Pirelli, Jiao Jian, starebbero per arrivare a Milano per partecipare alla riunione in presenza, fatto questo inusuale.

Sul tavolo c’è anche la questione del controllo di Pirelli: il management e il collegio sindacale si sono espressi per la decadenza del controllo da parte dei cinesi, questione su cui Consob ha demandato la decisione al CdA e ai sindaci. Ma questo potrebbe essere un altro terreno di scontro, sebbene dopo la vendita del 9% da parte di Silk Road, altro azionista cinese, Sinochem  sono rimasti con il 37% che non basta ad avere la maggioranza in assemblea visto che, in media, l’affluenza alle ultime riunioni degli azionisti è stata dell’80%: servirebbe dunque più del 40%.

Gli scenari che si prospettano sono molteplici. Qualora i cinesi si dimostrassero favorevoli alla vendita, la soluzione potrebbe passare dall’ingresso o dal rafforzamento di investitori istituzionali, in una società in cui i soci italiani di Camfin, capitanati dal vicepresidente esecutivo di Pirelli Marco Tronchetti Provera, sono al 26,4% con la possibilità di salire fino al 29,9%.

In caso di contrapposizione, invece, difficile capire dove potrebbe portare questo scontro. Un mancato accordo sul controllo, ad esempio, potrebbe portare alla bocciatura del bilancio, che riporta necessariamente i termini di chi comanda. Per il resto ci si potrebbe attendere una dura presa di posizione da parte del management, per via della difficoltà che riscontrerebbe nel raggiungere i risultati a causa dell’influenza del socio cinese che precluderebbe un mercato centrale come quello americano dove, al contrario, soprattutto in tempi di dazi trumpiani, per Pirelli è necessario aumentare gli investimenti, all’interno della strategia che avvicina la produzione ai mercati finali.

Infine, c’è chi non esclude anche un possibile giro di vite del governo sul socio cinese che, con la fusione tra ChemChina dentro Sinochem, ha stretto maggiormente i legami con il governo di Pechino. Roma attraverso i poteri speciali del Golden Power potrebbe dunque rendere più gravosi i paletti già imposti ai cinesi, già sotto osservazione per la lamentata mancata completa separazione tra il ruolo di manager nella partecipante cinese e quello di consiglieri in Pirelli.