Arsenale Curva Nord, resta in carcere l’ultras arrestato. Il Gip: «Escalation preoccupante»

Secondo il Gip si tratta di uno scenario «che lascia intravedere una proiezione criminosa» degli ultras «ancora più preoccupante» di quella già venuta a galla con l’inchiesta milanese.

Beretta collabora inchiesta ultras
(Foto: Marco Luzzani/Getty Images)

Il giudice per le indagini preliminari (GIP) di Milano, Domenico Santoro, ha confermato l’arresto e disposto la detenzione in carcere per Cristian Ferrario, un ultrà interista di 50 anni fermato nella notte tra venerdì e sabato scorso. Gli investigatori della Squadra Mobile di Milano, coordinati dai PM Paolo Storari e Sara Ombra, hanno rinvenuto a Cambiago, in provincia di Milano, un presunto arsenale riconducibile alla curva Nord di San Siro. Nel magazzino erano presenti armi come “kalashnikov”, “bombe a mano” e “munizioni”.

Ferrario, già posto ai domiciliari a settembre nell’ambito dell’inchiesta *Doppia Curva* come prestanome del capo ultrà Andrea Beretta (misura poi tramutata in obbligo di dimora), si è dichiarato innocente durante l’interrogatorio di convalida, assistito dal suo avvocato Mirko Perlino. Ha affermato di “non sapere nulla” delle armi, sostenendo che fossero nascoste in modo da non essere visibili.

Il ritrovamento è definito dal giudice un “quadro inquietante”. Si tratta di una vera e propria “santabarbara” che comprende, tra gli altri oggetti, “un fucile AK 47”, “una mitragliatrice Uzi” e “tre bombe a mano”. Secondo il GIP, questo scenario suggerisce una “proiezione criminosa” degli ultras “ancora più preoccupante” rispetto a quanto emerso finora con l’inchiesta Doppia Curva, in cui è contestata l’associazione a delinquere con aggravanti mafiose.

Nel provvedimento che dispone la custodia cautelare, Santoro attribuisce la “disponibilità” dell’arsenale sia a Ferrario che a Beretta, capo ultrà della curva Nord, detenuto dal 5 settembre per l’omicidio del ‘ndranghetista Antonio Bellocco e attualmente collaboratore di giustizia. Il giudice si interroga sulla “destinazione delle armi da guerra” trovate, tra cui “bombe a mano dall’elevatissima capacità offensiva” e giubbotti antiproiettile, elementi utili per “veri e propri agguati”.

L’ordinanza elenca in dettaglio i 54 oggetti sequestrati, tra cui “segni distintivi e contrassegni della Polizia” falsificati, un “fucile semiautomatico”, puntatori laser e munizioni. Gli investigatori sono giunti al magazzino grazie ad attività di intelligence, anche se alcune parti dell’indagine, compreso l’interrogatorio di Ferrario, restano secretate. Beretta, da giorni collaboratore dei PM, pare stia fornendo dettagli anche sull’omicidio del capo ultrà Vittorio Boiocchi del 2022, ancora irrisolto.

Secondo la ricostruzione, il magazzino era stato affittato in nero circa cinque o sei anni fa da una persona a “Cristian e Andrea”. Le armi erano custodite in “alcuni armadietti”, e le bombe a mano, di “produzione jugoslava”, erano contenute in una “scatola aperta”. Ferrario ha spiegato al GIP di svolgere mansioni di “tuttofare” per Beretta, il quale si sarebbe vantato ripetutamente di possedere arsenali di armi, senza però renderli mai visibili. Ferrario viveva in un appartamento vicino al magazzino, intestato a una società riconducibile a Beretta, la “We Are Milano”.

Il giudice sottolinea che, nell’ambito dell’inchiesta *Doppia Curva*, Ferrario non era solo un custode di armi ma anche un presunto prestanome per Beretta e Bellocco. Ora, le indagini dovranno chiarire i “canali di approvvigionamento dell’arsenale” e verificare se alcune delle armi siano già state utilizzate in “episodi delittuosi”, come l’omicidio di Boiocchi. Tuttavia, al momento non ci sono prove che le armi sequestrate siano state usate in quel crimine.