«Con la presente ordinanza questo Tribunale, pur non essendo giudice di ultima istanza, rimette a codesta Corte di Giustizia plurimi quesiti relativi all’interpretazione della normativa e dei principi euro-unitari». È questa la decisione del TAR del Lazio dopo il ricorso presentato da Andrea Agnelli contro l’inibizione di 24 mesi per il caso plusvalenze. In particolare, i giudici del TAR laziale hanno rimandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una valutazione circa la compatibilità dell’ordinamento di giustizia sportiva italiana con la normativa UE. Si tratta di una prima volta in cui una tematica legata alla giustizia sportiva italiana finisce davanti alla Corte di Giustizia UE.
«Con la presente ordinanza questo Tribunale solleva questioni pregiudiziali di interpretazione ai sensi dell’art. 267 del Trattato U.E., in relazione alla compatibilità della disciplina nazionale di cui al decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2003, n. 280, con il diritto eurounitario», si legge nella sentenza del TAR del Lazio che Calcio e Finanza ha consultato.
Ricorso Agnelli, i tre quesiti del TAR alla Corte di Giustizia UE
Quali sono questi tre quesiti?
- se il diritto dell’Unione vada interpretati nel senso che ostano a che il diritto interno di uno Stato Membro, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva nazionale, escluda il ricorso a una tutela giurisdizionale che preveda il potere del giudice nazionale (nel caso di specie il giudice amministrativo) di annullamento della sanzione disciplinare sportiva e dei suoi effetti futuri, nonché di sospendere in via cautelare l’efficacia delle sanzioni medesime, così limitando il potere del giudice nazionale alla sola tutela risarcitoria per equivalente, laddove risulti che l’esercizio del potere disciplinare è stato in concreto illegittimo;
- se il diritto dell’Unione deve essere interpretati nel senso che, al fine di assicurare il rispetto dei principi di legalità, di tassatività e di sufficiente determinatezza delle fattispecie incriminatrici, nonché del giusto processo, ostano a che una normativa nazionale che, in applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo come sancito dalla legge nazionale ed interpretato nel diritto vivente italiano, consenta agli organi dell’ordinamento sportivo di irrogare ad un dirigente sportivo una sanzione disciplinare a carattere inibitorio dell’attività professionale in conseguenza della violazione di una disposizione dell’ordinamento federale (art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva FIGC), la quale stabilisce, con una clausola generale a carattere indeterminato, che tutti i tesserati e dirigenti sono tenuti ad osservare, oltre che lo Statuto e le altre norme federali, i principi di lealtà, correttezza e probità;
- se il diritto dell’Unione vada interpretati nel senso che ostano a che la normativa nazionale consenta l’irrogazione da parte degli organi sportivi di una sanzione disciplinare interdittiva, per effetto della quale è inibito ad un dirigente apicale di società sportiva di livello internazionale lo svolgimento dell’attività professionale per 24 mesi in ambito nazionale e sovranazionale.
Ricorso Agnelli, i temi sul tavolo della Corte UE
In particolare, per quanto riguarda il primo quesito, il TAR del Lazio sottolinea: «Col primo quesito pregiudiziale si intende chiedere se il diritto interno e l’ordinamento sportivo italiano siano compatibili col principio di effettività della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive ricadenti nel diritto unionale. Nel ricorso introduttivo del presente giudizio viene chiesto al Tribunale di assumere una pronuncia caducatoria dei provvedimenti impugnati».
«In relazione al primo motivo di ricorso la ricostruzione del quadro giuridico e fattuale consentirebbe una decisione caducatoria di annullamento della sanzione interdittiva irrogata dal giudice sportivo italiano, a prescindere dai limiti attualmente imposti al riguardo dall’ordinamento, mentre sulla base del diritto vivente i descritti limiti lo impediscono. Secondo il decreto-legge n. 220/ 2003, convertito nella legge 280/2003, come interpretato nel diritto vivente nazionale, l’autorità giudiziaria nazionale (T.A.R. e Consiglio di Stato) non può annullare o sospendere i provvedimenti sanzionatori amministrativi emanati dalla giustizia sportiva. Il quadro normativo e giurisprudenziale attualmente in vigore nell’ordinamento italiano sembra in contrasto con il diritto del ricorrente a un ricorso e ad un processo effettivo».
Col secondo quesito invece Agnelli chiede «se la normativa nazionale in materia di sanzioni disciplinari sportive sia compatibile con il principio di legalità della sanzione alla luce del diritto unionale e della giurisprudenza della Corte».
Infine, col terzo quesito viene chiesto «se sia compatibile il diritto interno in materia sportiva con le libertà fondamentali dell’individuo di circolazione e di concorrenza riconosciute dai Trattati. Il quesito pregiudiziale riguarda la coerenza dell’ordinamento sportivo italiano e della legge italiana con le libertà fondamentali dell’individuo garantite dai Trattati nel mercato interno, a fronte delle sanzioni irrogate dai giudici sportivi italiani quali soggetti dello sport nazionale».
«Secondo la Corte di Giustizia le decisioni assunte dalle associazioni di diritto privato organizzatrici delle competizioni calcistiche quali la FIGC possono essere qualificate quali “decisioni di associazioni di imprese” ai sensi dell’art. 101 TFUE e quindi sono soggette alle previsioni di tale disposizione. Invero, il potere disciplinare conferito alla FIGC non sembra essere “collocato in un quadro di criteri sostanziali che sia trasparente, determinato e preciso”. Manca infatti nella legge 280 del 2003 qualsiasi riferimento ai criteri sostanziali sulla base dei quali la giustizia sportiva sia ammessa all’esercizio del potere disciplinare», conclude il TAR del Lazio.