La finale di Champions League che andrà in scena oggi a Wembley tra il Real Madrid di Florentino Perez e il Borussia Dortmund esemplifica più di ogni altra cosa il divario tra un certo tipo di calcio da una parte, ipervitaminizzato economicamente, dalle rose extra large dei Blancos, e quello di una società che dopo l’insolvenza di inizio anni duemila deve fare di necessità virtù per essere competitiva.
Nello stesso tempo però sempre sugli spalti di Wembley andrà in onda un altro duello: quello tra i due grandi nemici del calcio europeo: il presidente della UEFA Aleksander Ceferin e Florentino Perez, che non è solo il numero uno del Real Madrid ma è anche il gran capo del progetto Superlega.
Entrando nello specifico del primo punto, è evidente che si sta parlando di due club con ambizioni diverse: il primo, chiamato, se non condannato, a vincere sempre e comunque qualunque trofeo cui partecipi e in virtù di questo non sembra mai smettere di fare scorta di supercampioni e avere rose ipertrofiche (dal prossimo anno al Bernabeu sbarcherà anche un certo Kylian Mbappé). Il secondo che invece deve “solo” dare anima e lustro alla passione immensa di una tifoseria di una città mineraria e industriale che nel calcio ha trovato un suo modo di essere protagonista nel contesto internazionale. In questo senso il Borussia ha un grande legame con la storia del calcio, sviluppatosi nelle città minerarie, industriali e portuali del nord dell’Inghilterra.
I numeri di bilancio d’altronde evidenziano questo divario. Guardando nello specifico all’ultimo bilancio disponibile (chiuso per entrambe al 30 giugno 2023), i blancos hanno registrato ricavi per complessivi 947 milioni di euro, di cui circa 104 milioni legati alle plusvalenze: la fetta maggiore arriva dai ricavi commerciali, pari a 330 milioni di euro, poco più dei 323 milioni incassati dai diritti televisivi. Lo stadio, inoltre, ha garantito incassi per 152 milioni e la cifra potrà ancora crescere considerando l’impatto atteso dal nuovo Bernabeu sui conti del club.
Valori nettamente diverse invece per il Borussia Dortmund, che nel 2022/23 ha registrato ricavi per complessivi 497 milioni con 72 milioni dalle plusvalenze e 217 milioni di entrate commerciali, quest’ultima la voce più grossa tra le entrate. I diritti tv valgono praticamente la metà rispetto al Real Madrid (157 milioni di entrate per i tedeschi), mentre lo stadio meno di un terzo, considerando i ricavi per soli 43 milioni nonostante il Westfalenstadion sia uno degli stadi che si riempie di più a livello mondiale.
Per quanto quindi i club perseguano necessariamente strade diverse, i bilanci tendono spesso e volentieri (se non sempre nel caso dei Blancos) all’utile.
Ed è evidente che se la strategia di Perez è quella di potenziare sempre più la squadra per ingrandire sempre più il mito della Casa Blanca nel mondo, quella dei gialloneri di Westfalia è stata negli ultimi anni quella di cercare di valorizzare (o rilanciare) i migliori giovani del continente per poi, con una grande capacità di scouting, assicurarsi plusvalenze iperboliche.Non è un caso che da Dortmund nell’ultimo decennio siano passati tra gli altri giocatori del calibro di Hakimi, Haaland, Bellingham e ora Jadon Sancho (sino a poco tempo fa perso nei meandri delle opache stagioni del Manchester United).
Nel contempo però non è nemmeno un caso che il Borussia non abbia potuto mantenere nessuno di questo campioni visto che il suo equilibrio finanziario non glielo consentiva. E questo con grande rammarico di un manager di grande visione come Karl-Heinz Rummenigge. L’ex pallone d’oro, per anni guida operativa del Bayern Monaco ma ormai guru dell’intero calcio tedesco, infatti non ha mancato di sottolineare che se il Borussia avesse avuto la forza finanziaria d trattenere solo alcuni dei talenti passati dalla Westfalia in questi anni, la Bundesliga ne avrebbe avuto un grande giovamento. Sommando, ha spiegato, la forza del Bayern e l’emergere del Bayer Leverkusen il campionato tedesco avrebbe avuto un grande appeal commerciale anche fuori dalla Germania.
E questo, visto che il calcio tedesco è già in crescita, deve suonare quale un campanello d’allarme per chi come i vertici della nostra Serie A deve monitorare l’evoluzione dei campionati esteri. Perché se è vero che l’ambizione del torneo italiano è quella di avvicinarsi il più possibile a La Liga spagnola e alla Premier League inglese, è anche vero che bisogna stare attenti a che la Bundesliga non ci sopravanzi.
E in questa ottica non c’è dubbio su come la Bundesliga e le sue squadre beneficino in Europa di avere un torneo nazionale a 18 squadre (così come in Italia continuano a chiedere Inter, Juventus, Milan e Roma) che permette di avere calendari meno intasati e quindi miglior concentrazione nelle coppe.
Lo scontro Ceferin-Perez tra Superlega e Mondiale per Club
Come si accennava però non si può nascondere però che nel match di questa sera a Wembley andrà in scena anche una sfida nella sfida, ovvero quella a distanza tra i due grandi nemici del calcio europeo: il presidente della UEFA Aleksander Ceferin e Florentino Perez, gran capo del progetto Superlega. E il pericolo per il primo è quello di dover consegnare la coppa proprio nelle mani del grande nemico per la seconda volta in quattro anni (da quando cioè è emerso il progetto alternativo per il campionato pan europeo).
Non c’è però solo questo. Perez è da sempre uno dei grandi fautori del Mondiale per Club, un evento che la FIFA organizzerà per la prima volta la prossima estate negli USA e che sta già alterando gli equilibri del mondo del calcio.
In particolare, secondo le leghe nazionali e le associazioni dei calciatori, sommando gli impegni imposti dalla nuova Champions League con il modello svizzero (che comporterà un maggior numero di partite) e quelli del nuovo Mondiale per Club voluto dalla FIFA, si aumenterà il numero di incontri in una tal misura da togliere spazio ai campionati nazionali e inoltre sviluppando un pericolo potenziale per la salute dei calciatori, obbligati a un numero di match insostenibile.
Ora, salva l’autentica preoccupazione delle associazioni degli atleti, la sensazione per quanto concerne le altri parti in campo è che, come spesse succede nella grandi partite economiche e di potere, si sia di fronte invece a posizioni di convenienza.
Per essere più chiari, il calcio monidale è una torta miliardaria nella quale ogni ente, organismo, istituzione che ne fa parte (FIFA, UEFA, leghe nazionali e federazioni), ha i suoi interessi. E in nome di questi conduce le proprie battaglie.
Come spesso succede nelle grandi partite economiche, infatti non esistono buoni o cattivi, ma esistono le varie posizioni: chi ha bisogno di aumentare le proprie entrate, chi invece deve difendere quanto ha e chi si vede minacciato da una possibile modifica di uno status quo quale esso sia.
Nello specifico, se il problema è il numero di partite perché per esempio la Lega Serie A non si accoda a quanto già deciso da Bundesliga e Ligue 1 e abbassa il numero di squadre a 18 da 20? Così come per altro chiesto a gran voce da quattro club, Inter, Juventus, Milan e Roma– che malcontati rappresentano tra 70 e l’80% dei tifosi italiani.
È evidente che, come analizzato in un precedente appuntamento di questo editoriale, una tale modifica altererebbe gli equilibri a favore delle grandi e a sfavore delle piccole. Ma i vantaggi potrebbero essere molto evidenti: dalle minore necessità di rose extra-large a un salto qualitativo delle partite, alla diminuzione di match senza senso nelle ultime gare della stagione.
Nello stesso tempo un quesito simile si può inoltrare all’UEFA. Perché introdurre un modello nella Champions League che impone un maggiore numero di match proprio nel momento in cui vi sono da più parti grida d’allarme sui calendari intasati?
È chiaro che Ceferin ha una sua partita da giocare e la novità è un tentativo del presidente dell’UEFA e del suo stato maggiore di mitigare i mal di pancia che ancora esistono in molti club europei sulla suddivisione delle entrate. E questo sebbene il progetto Superlega sembra andato per il momento nel dimenticatoio (nonostante le varie vittorie legali di quest’ultima).
E infine, alla FIFA, che al compito di sviluppare il calcio su scala mondiale, perché dovrebbe essere impedito di organizzare un Mondiale per Club che metta di fronte le migliori società del pianeta? Si pensi, per stare alle due squadre italiane qualificate, che l’Inter nella sua storia ha affrontato solo quattro volte squadre extraeuropee in match valevoli per qualcosa: gli argentini dell’Independiente di Avellaneda nelle coppe intercontinentali degli anni sessanta (1964 e 1965) e i congolesi del Mazembe nel vecchio Mondiale per Club nel 2010. E che la Juventus ha incrociato solo Independiente (nel 1973 quando, seppure sconfitta nella finale di Coppa Campioni, giocò l’intercontinentale al posto dell’Ajax perché gli olandesi deciso di non scendere in campo) e poi Argentinos Juniors nel 1985 e River Plate nel 1996. In questo quadro si pensi al fascino e all’appeal di un Inter-Boca Juniors o di uno Juventus-Palmeiras che valga per qualcosa di concreto e non sia soltanto una amichevole prestagionale.
L’idea di Infantino per le casse della FIFA
Sia chiaro anche per la FIFA l’obiettivo non è soltanto quello “evangelico” di esportare il calcio in tutto il mondo, ma anche, se non soprattutto, economico: ovvero quello di sanare parzialmente un problema storico dell’organizzazione mondiale del calcio.
L’UEFA (così come le altre confederazioni continentali) può contare su due pilastri per sostenere i propri bilanci: l’organizzazione dell’Europeo per nazioni ogni quattro anni (o la Copa America nel caso della Conmebol o le altre varie competizioni continentali) e gli introiti della Champions League (o la Libertadores in America Latina) ogni stagione.
La FIFA invece incassa il grosso delle sue entrate in occasione dell’organizzazione dei Mondiali per nazionali e con quei proventi fa quadrare l’intero quadriennio tra un Mondiale e l’altro. In questo quadro, si è domandato Infantino, perché non organizzare un Mondiale per Club che possa significare (se i conti torneranno) un secondo canale di entrate? In termini teorici (poi si vedrà come sarà organizzata) l’idea non fa una grinza.
Questo per dire che ognuna delle parti in causa ha i suoi motivi e le argomentazioni per le proprie istanze, ma come si diceva, attenzione a dividere la partita in buoni e cattivi quando si gioca solo per interesse.