Maldini: «No ad altri club italiani. Inter? Il segreto è la dirigenza»

Dall’Inter al passato, passando per il suo futuro. L’ex dirigente del Milan ha rilasciato una lunga intervista a Radio Serie A con RDS.

Serie A censura Maldini
(Foto: Radio Serie A)

L’ex direttore tecnico ed ex-bandiera del Milan Paolo Maldini è tornato a parlare a un anno di distanza dall’addio al club rossonero e si è raccontato a tutto tondo in un’intervista concessa ad Alessandro Alciato, ai microfoni di Radio Serie A.

Maldini ha esordito parlando del calcio, che è «sempre stato presente. Il Milan è sempre stata la squadra della mia città, l’ambiente dove sono cresciuto e per me è qualcosa che va al di là del tifo e del lavoro. È sempre stato così e sarà sempre così. Il rapporto che c’è va al di là delle ere in cui sono passato in questa grande società e sarà così anche per i miei figli».

Sul ruolo di calciatore prima e dirigente poi, Maldini spiega che «io mi considero semplicemente Paolo. Cerco di fare la mia traiettoria di vita. Ringrazio la famiglia che ho avuto, ho incontrato le persone giuste. Anche la mia ultima esperienza da dirigente mi ha fatto apprezzare le cose che non conoscevo. Nel calcio uno pensa di saper tutto, ma quando passi dall’altra parte hai una prospettiva completamente diversa. Cose che ho dichiarato da calciatore, poi passando dirigente le avrei volute cancellare».

«Io custode del milanismo? Non lo so, lo possono dire gli altri. Di sicuro il calcio e il Milan mi hanno insegnato tanto come valori e come principi e quando lavori per questo club ne devi tenere conto perché va al di là del risultato. quando si parla di una storia ultra centenaria, va conosciuta e studiata. Venti anni fatti con me? Sono contento, ma la mia storia parte negli anni ‘50 con mio papà e oggi sta andando avanti ancora perché Daniel è ancora sotto contratto», ha aggiunto.

Sul suo passato da “tifoso” prima del Milan, Maldini racconta che «a me piaceva il calcio, sapevo del passato di mio papà e avevo capito cosa aveva fatto, ma la prima competizione che ho visto da amante del calcio era il Mondiale del ’78 che praticamente era la Juventus più Antognoni. Quindi ho seguito la Juventus come se fosse la Nazionale, ma poi ho fatto il provino per il Milan e lì è iniziata la mia storia».

L’ex dirigente del Milan parla anche del rapporto con Silvio Berlusconi: «Ha portato un’idea moderna e visionaria non solo del calcio ma del mondo. Il primo discorso nella sala pranzo a Milanello ci disse che voleva che la nostra squadra giocasse il più bel calcio del mondo, lo stesso in casa e in trasferta, e che presto saremmo diventati campioni del mondo. Dall’anno dopo, perché il primo è entrato in corsa, è cambiato tutto. Ha preso preparatori, costruito strutture per competere con i top al mondo. C’è sempre tanta diffidenza per l’imprenditore che entra nel calcio. Sacchi poteva creare e ha creato qualche dubbio, ma poi abbiamo capito i grandi vantaggi».

«A me piaceva molto la sua idea di cercare di giocar bene, cercare di vincere e rispettare l’avversario. Lui diceva che se non vince il Milan, mi fa piacere che vinca l’Inter. Naturalmente c’è rivalità, ma l’idea di essere onesto e arrivare al risultato attraverso il sacrificio e complimentarsi con un avversario se è più bravo di te è un insegnamento. Non si è mai logorato quel rapporto, facevamo tante battute, sono diventato amico di Pier Silvio e lui mi ha sempre trattato come secondo padre. Quando è stato ricoverato in ospedale mi ha chiamato perché voleva fare degli scambi Milan-Monza ed è stato divertente. Il calcio lo ha accompagnato fino all’ultimo momento e questo si sente e si trasmette a tutti, ambiente, città, luoghi e persone», ha proseguito.

Sulla sua esperienza da dirigente, Maldini spiega poi che «mi hanno chiamato e quando l’opportunità è arrivata, un pochino prima di quando me l’aspettassi. Quando è arrivata con Leonardo è stato perché ho lavorato con una persona che aveva gli stessi ideali. Perché ho scelto questo ruolo? Perché era il Milan. Il lavoro in sé è tutt’altro rispetto a quello che ti aspetti e ci ho messo una decina di mesi. O Milan o Nazionale o niente? La regola vale per l’Italia perché vedermi all’interno di un club diverso dal Milan non ce la faccio».

 

E sull’estero aggiunge: «Non ho mai detto no al PSG, c’era stata questa possibilità e disponibilità, ho incontrato due volte Nasser Al Khelaifi, ma poi non si è mai andati avanti ed è stato bene così. I miei primi 10 mesi sono stati un disastro, tornavo a casa e non ero contento. Leonardo rideva e mi diceva che non capivo quanto stavo diventando importante. San Siro? Non vado allo stadio a vedere il Milan. Per me è logico. Seguo tutto, seguo il Milan e il Monza, ma mi sembra logico non andare allo stadio».

In chiusura, una battuta sul segreto dell’Inter e sulla conquista dello Scudetto: «L’Inter ha una struttura dell’area sportiva. C’è un’idea ben precisa con contratti lunghi. Si da sempre poca importanza alla gestione del gruppo, non è un caso che il Napoli sia andato così male dopo l’addio di Spalletti e Giuntoli. I calciatori li considerano tutti come macchine, ma hanno bisogno di qualcuno che parli con loro e gli dica come stanno le cose».