Rai in affanno e superata da Mediaset: la tv pubblica teme la fuga delle star

A certificare il sorpasso è il documento di bilancio 2023 approvato in Cda, dove è scritto che dal 1° gennaio al 31 dicembre la tv di Stato «registra nell’intera giornata il 37% di share».

Mediaset sorpasso Rai
(Foto: Samantha Zucchi/Insidefoto)

C’è un dato che meglio di altri racconta la crisi nera della Rai. L’anno in cui Giorgia Meloni e i suoi fedelissimi hanno espugnato i piani alti di Viale Mazzini, è stato il primo in cui Mediaset ha superato l’emittente pubblica negli ascolti. A certificarlo, scrive La Repubblica, è il documento di bilancio 2023 approvato ieri in Cda.

Dove è scritto testualmente che dal 1° gennaio al 31 dicembre la televisione di Stato «registra nell’intera giornata il 37% di share». Il sigillo sul sorpasso, visto che negli stessi 12 mesi il gruppo di Cologno è volato invece al 37,7. Ciò che non era accaduto in oltre 30 anni di duopolio tv si è alla fine verificato. Una situazion determinata anche da un paio di fenomeni altrettanto inediti e ancor più allarmanti.

Da qui nasce la grande fuga delle star — da Fabio Fazio ad Amadeus, entrambi trasmigrati al Nove —, con la Rai che riduce l’autonomia di artisti e conduttori, pretendendo di imporre ospiti e scalette. In combinata con una lunga infilata di flop che hanno affossato l’audience e messo in allerta gli investitori. Pronti adesso a trasferirsi su lidi più redditizi.

Dall’estate scorsa gli addii alla Rai si sono moltiplicati. Bianca Berlinguer, regina del martedì sera sulla Terza rete è passata a Rete4. Corrado Augias se n’è andato a La7 insieme a Massimo Gramellini, spingendo verso l’alto gli ascolti della concorrenza. E adesso questo “fuggi fuggi” generale dopo Amadeus potrebbe portare fuori Sigfrido Ranucci e Federica Sciarelli.

Tema che oggi la dem Francesca Bria porrà in Cda, proprio mentre l’assemblea dei Cdr e dei fiduciari ha proclamato lo stato di agitazione, affidando a UsigRai un pacchetto di cinque giorni di sciopero per contestare «la volontà di trasformare il servizio pubblico nel megafono dei partiti, e all’azienda gli accorpamenti di testate calati dall’alto».