Debiti per 3,3 mld e rosso di 270 mln, ma i conti delle big migliorano: era il caso di togliere il DL Crescita?

Le otto big di Serie A hanno mostrato maggiore attenzione ai conti, anche se restano in rosso: ma l’abolizione del Decreto Crescita rischia di rovinare ulteriormente i piani.

palloni serie a
FOOTBALL AFFAIRS

Le otto big di Serie A – in ordine alfabetico Atalanta, Fiorentina, Lazio, Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma – che hanno chiuso nelle prime otto posizioni lo scorso campionato hanno assommato nella stagione 2022/23 entrate per 2,48 miliardi di euro ma nel contempo segnando una perdita complessiva di 270 milioni. Il passivo è stato zavorrata soprattutto dal risultato negativo di Juventus (-124 milioni), Roma (-103 milioni) e Inter (-85 milioni), sui quali poco hanno potuto i brillanti numeri di Napoli soprattutto (+80 milioni) ma anche di Milan (+6) e Atalanta (+6 milioni).

È questo l’esito dell’inchiesta che i giornalisti di Calcio e Finanza Luca Cosentini, Marco Sacchi e Matteo Spaziante hanno condotto sugli ultimi bilanci disponibili delle sette squadre italiane che partecipano alle coppe europee oltre a quello della Juventus che pur avendo ottenuto sul campo la qualificazione in Champions League ha dovuto dire addio alle competizioni continentali a causa della squalifica di 10 punti per le questioni legali legate alle plusvalenze.

I numeri in dettaglio sono riportati nella tabella sottostante

serie a bilanci 2022 2023

A peggiorare ulteriormente le cose non va sottaciuto il dato probabilmente più importante: ovvero che gli stessi otto club presentano complessivamente un indebitamento lordo monstre da oltre 3,3 miliardi. Un dato allarmante nel quale spiccano le esposizioni, si veda tabella sottostante, di Inter (807 milioni), Juventus (791 milioni) e Roma (688 milioni).

Invece per quanto concerne il Milan, che ha debiti finanziari di soli 71 milioni legati ad alcune operazioni di factoring, bisogna notare che il proprietario Gerry Cardinale ha in essere un vendor loan di 550 milioni con il fondo Elliott, da cui ha acquistato la società.

classifica debiti serie a

Ovviamente ci sono differenze tra club e club e non si può fare di tutta l’erba un fascio, per esempio tra un club come il Napoli che ha appena vinto uno scudetto e che è sostenibile in termini economici e uno come l’Inter che nonostante i miglioramenti degli ultimi anni continua a segnare perdite importante a bilancio e ha un indebitamento quasi due volte superiore alle proprie entrate. E senza avere un azionista solidissimo come per esempio ha la Juventus in Exor.

Però in termini generale si può dire senza tema di smentita che la situazione economica del calcio italiano, almeno nella sua espressione di vertice, desta molto più di una preoccupazione.

I CLUB E LA STRADA VERSO LA SOSTENIBILITÀ

Questo detto va anche segnalato però che almeno per quanto concerne le ultime tre stagioni, da quella 2020/21 (l’ultima intaccata dalle conseguenze del Covid) a quella 2022/23, si può notare una netto miglioramento delle principali performance economiche. Anche se ovviamente è ancora molto presto per parlare di una grande inversione di tendenza. Le entrate di questi otto club sono passate infatti da 2,1 a quasi 2,5 miliardi, i costi sono calati (-10% da 2,8 a 2,6 miliardi) e le perdite sono scese da oltre 810 milioni a 270 milioni. Ed è stato impressionante il salto dell’Ebitda, che segnala gli esiti della gestione operativa, che è passato in termini aggregati da 190 milioni a oltre 550 milioni.

Anche l’indebitamento lordo è calato, seppur di poco, passando da 3,47 a 3,31 miliardi di euro con un calo del 4,4% dal 2020/21 al 2022/23. Tenendo conto, però, che di questo indebitamento è cresciuto soprattutto quello verso i rispettivi azionisti, passato da 128 a 480 milioni: senza, il calo sarebbe pari al 15%, passando da 3,3 a 2,8 miliardi.

Insomma se certo non si può dire che vada tutto bene, va pure notato che chi più, chi meno, chi obbligato a evitare possibili peggioramento di situazioni già difficili (Inter), o chi come la Juventus per un diktat del principale azionista (la holding Exor della dinastia Agnelli-Elkann), nell’era post Covid tutte le società sembrano avere iniziato a svolgere i compiti a casa, cercando di fare pulizia nei propri bilanci.

LO SCONTRO SUL DECRETO CRESCITA E GLI STADI

Ed è in questo quadro che si inserisce la decisione del Governo Meloni di non prorogare i benefici del Decreto Crescita per le società di calcio. Ovvero quella norma per cui i club avevano un vantaggio nell’acquistare calciatori (o mettere sotto contratto allenatori), stranieri ma anche italiani, che nelle due stagioni precedenti avevano giocato all’estero: la norma infatti prevedeva vantaggi per chi spostava la propria residenza nel nostro Paese, con i redditi prodotti in Italia che venivano pesati solo al 50% in termini fiscali e quindi avvantaggiando le società che potevano risparmiare sullo stipendio lordo (a parità di stipendio netto ad esempio a 5 milioni di euro annui, un calciatore senza Decreto Crescita costa 9,25 milioni lordi, mentre un calciatore che poteva sfruttare il Decreto Crescita pesa 6,5 milioni lordi).

Le cronache parlamentari parlano di molti motivi alla base di questa decisione. Uno di mera tattica politica: la Lega di Salvini si è voluta smarcare da Fratelli d’Italia in vista delle elezioni europee quando tutti correranno per sé e non in coalizione. E quindi si è opposta alla proroga proposta in particolare dal senatore di Forza Italia e amministratore delegato del Monza Adriano Galliani e non malvista dal senatore di Forza Italia e presidente della Lazio Claudio Lotito né tantomeno dal ministro dello Sport Andrea Abodi, vicino al partito di Giorgia Meloni.

Un altro è legato all’antipatia che emerge nell’elettorato quando si concedono piaceri a un settore come il calcio (e ai suoi protagonisti milionari) colpevole, come abbiamo visto nelle suddette analisi, di perdere soldi a bocca di barile e di avere iniziato a porre attenzione ai bilanci da troppo poco. Per questa stessa motivazione per esempio il governo Draghi non ha mai voluto distribuire aiuti diretti nell’immediato post-Covid al settore calcio (rispetto ad esempio a cinema o teatri), concedendo soltanto dei rinvii sul pagamento delle tasse.

Questo detto però non può essere sottaciuto che in termini prettamente numerici l’abolizione del Decreto Crescita lascia qualche perplessità. In totale infatti la norma garantiva benefici per le società di calcio di circa 150 milioni, ma questi si autoripagavano abbondantemente visto che il sistema calcio nel suo complesso è una delle principali settori industriali del Paese e paga tasse per circa due miliardi di euro, con la sola Serie A che vale il 60% circa dei tributi pagati all’erario dall’intero mondo dello sport.

Per converso sempre utilizzando i numeri, ma in altra maniera, secondo i dati pubblicati da Slalom e citati da Paolo Condò su La Repubblica: «Nel torneo in corso ci sono 78 stranieri che hanno giocato una media inferiore ai 5 minuti a partita, più altri 28 che non hanno raggiunto i 20’: vuol dire che la loro incidenza è stata minima, e che la loro presenza si spiega soltanto con l’agevolazione fiscale che li ha resi più convenienti di un giocatore italiano pescato in una Primavera, o in Serie B».

È proprio questo il punto politico su cui si sono basati sia i partiti politici contrari alla proroga sia l’Associazione Italiana Calciatori guidata da Umberto Calcagno. È evidente che ci vorrà qualche tempo per verificare se veramente l’abrogazione potrà portare un numero maggiore di giocatori italiani stabilmente in Serie A e soprattutto permettere all’allenatore della Nazionale, che ha mancato la qualificazione ai Mondiali sia nel 2018 che nel 2022, di avere un bacino più ampio dal quale pescare. Sempre Condò infatti faceva notare come il ct dell’Italia Spalletti abbia oggi percentualmente una scelta inferiore a quella che aveva Mancini, il quale a sua volta la aveva più esigua di quella a suo tempo di Conte.

Perché se è vero che sono i club di Serie A che mantengono non solo il calcio in tutta la sua piramide ma nei fatti l’intero sistema sportivo italiano, è altrettanto vero che il traino della Nazionale sull’intero movimento è indubbio e l’aver mancato l’appuntamento mondiale per due edizioni consecutive ha avuto conseguenza enormi sull’intero settore, sia in termini economici indotto sia sulla passione di molti giovani.

In questo senso però è lecito chiedersi se le pulizie di cui sopra potranno proseguire anche nei prossimi anni con la stessa velocità. Se infatti non c’è alcun dubbio infatti che il vero problema italiano è legato agli stadi e ai mille vincoli che paralizzano la costruzione o solo le autorizzazione di nuove infrastrutture, è altrettanto vero che il problema è diventato talmente annoso che anche una semplice velocizzazione delle procedure è un atto quasi insperato da parte dei club che devono continuare la loro operazione di pulizia nei bilanci. E non sempre le stagioni sono eccezionali.

I campioni impatriati (uno su tutti Lukaku) hanno permesso per esempio lo scorso anno all’Inter di la stagione stagione perfetta in termini di incassi centrando sia la finale di Champions League che quella di Coppa Italia e quindi ospitando il numero di partite più alto possibile a San Siro. Quest’anno i nerazzurri sono già fuori dalla coppa nazionale e quindi qualcosa in termini di confronto con gli incassi dello scorso ano pagheranno. Il Milan è arrivato nel 2022/23 alla semifinale di Champions League mentre quest’anno è sceso nella molto meno proficua Europa League e quindi i premi europei saranno inevitabilmente inferiori. La Juventus sta vivendo una stagione senza coppe con tutte le conseguenze legate a questo in termini di incassi e premi (i bianconeri lo scorsa stagione arrivarono sino alla semifinale di Europa League) e il Napoli difficilmente in campionato segnerà i pienoni dello scorso anno al Maradona nella cavalcata verso lo scudetto.

Insomma al di là delle plusvalenze in sede di calciomercato (su tutte quelle su Onana e Brozovic in casa Inter) l’inversione di tendenza di cui sopra potrebbe trovare in questa stagione altri ostacoli nella strada del miglioramento dei numeri economici.