La novità nel gennaio 2019 era stata annunciata con gli squilli delle trombe: il calcio italiano avrebbe distribuito i suoi ricavi anche in base a chi faceva giocare di più i giovani. Non una norma qualsiasi, ma una legge, in particolare la Legge Melandri, spiega che dalla stagione 2021/22 i club di Serie A avrebbero ricevuto una fetta di ricavi da diritti tv in base al minutaggio nelle proprie squadre dei giovani.
Un modo per puntare sui settori giovanili che era visto anche come strada per rialzarsi dopo il flop della mancata qualificazione ai Mondiali 2018 in Russia. Se non fosse che quella legge è, di fatto, carta straccia a distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore, con la politica che se ne è di fatto lavata le mani. E il tema torna di attualità proprio ora che si utilizza la valorizzazione dei vivai come uno dei temi da opporre all’abolizione del Decreto Crescita in favore degli sportivi professionisti.
A parlarne, per esempio, è stato proprio il ministro Matteo Salvini: «L’obiettivo del governo è aiutare il calcio italiano anche e soprattutto valorizzando i vivai. Per questo motivo, la Lega ha ritenuto di stoppare la norma che consente ai calciatori stranieri di pagare meno tasse. Sono convinto che sia una scelta di equità e buonsenso. Il Decreto crescita ha permesso ai club di acquistare atleti dall’estero con lo sconto: un aiuto straordinario, durato anni, che doveva essere l’occasione per rilanciare i nostri campionati. Rendendoli più competitivi e attraenti. Così non è stato», ha commentato il leader della Lega.
Dichiarazioni che non trovano evidentemente riscontro nella realtà soprattutto quando gli strumenti ci sono e non vengono applicati. Nella Legge di Bilancio 2018, ufficializzata nel gennaio 2019, veniva annunciata infatti la modifica della Legge Melandri, la seconda nel giro di pochi anni. Nel 2017 l’allora Ministro dello Sport Luca Lotti aveva inserito la novità del radicamento sociale, da calcolare in base ad audience tv e presenze allo stadio, alzando inoltre la quota da distribuire in parti uguali a tutti i club dal 40% al 50%. In sostanza, quindi, la distribuzione dei ricavi da diritti tv per i club di Serie A avveniva in questa maniera:
- 50% in parti uguali tra tutti i club;
- 30% in base ai risultati sportivi (15% legata ai risultati dell’ultimo campionato, 10% sui risultati degli ultimi 5 campionati precedenti all’ultimo, 5% legati ai risultati storici);
- 20% in base al radicamento sociale (8% audience tv e 12% spettatori allo stadio).
Serie A legge settori giovanili – La novità della Melandri mai applicata
Nel 2019, invece, la modifica introduceva la novità del minutaggio dei giovani. Una novità non da poco, che inseriva una quota pari ad almeno il 5% dei ricavi da distribuire in base ai «minuti giocati nel campionato di serie A da giocatori di età compresa tra quindici e ventitrè anni, formati nei settori giovanili italiani e che siano tesserati da almeno trentasei mesi ininterrotti per la società presso la quale prestano l’attività sportiva, comprendendo nel computo eventuali periodi di cessione a titolo temporaneo a favore di altre società partecipanti ai campionati di serie A o di serie B o delle seconde squadre partecipanti al campionato di serie». Il modo migliore, di fatto, per incentivare anche le big ad utilizzare i giovani in campo, anche perché la novità andava a ridurre i risultati sportivi come criterio di distribuzione.
La legge, così, attualmente, prevede che i ricavi dei diritti tv debbano essere distribuiti in questo modo tra i club di Serie A:
- 50% in parti uguali tra tutti i club;
- 28% in base ai risultati sportivi;
- 22% in base al radicamento sociale (di cui almeno il 5% legato al minutaggio dei giovani).
La modifica delle legge, tuttavia, conteneva una postilla: ovverosia che per rendere effettivo il nuovo testo, serviva un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per determinare i diversi criteri di ponderazione e per la determinazione di alcuni elementi, a partire appunto dal tema del minutaggio dei giovani.
Un Dpcm che doveva essere adottato entro il 30 giugno 2019, ma di cui non si è mai avuta notizia e di cui anche la politica, passata nel frattempo per quattro Governi diversi (Conte I, Conte II, Draghi e l’attuale esecutivo Meloni), sembra essersi dimenticata. Così, nonostante il testo della Legge preveda che l’utilizzo dei giovani sia un criterio per distribuire i diritti tv, oggi viene utilizzato ancora il testo della Legge precedente.
In sostanza, l’ennesima occasione persa della politica nei confronti del calcio, almeno finora visto che il Dpcm può essere emesso anche dal Governo attuale. Un aspetto da non sottovalutare, soprattutto alla luce di certi obiettivi proclamati con l’abolizione del regime fiscale agevolato per i calciatori professionisti.