L’ingresso dello Stato in Stellantis. Da Meloni a Urso: tutti contro Elkann

L’assedio dura da tempo, ma non è mai stato così pressante. Nel mirino c’è Stellantis, ma la convinzione è che il vero bersaglio sia il suo azionista di riferimento, John Elkann.

Eredità Agnelli passaporti
John Elkann (Foto: Samantha Zucchi / Insidefoto)

L’assedio dura da tempo, ma non è mai stato così pressante. Nel mirino c’è Stellantis, ma la convinzione è che il vero bersaglio sia il suo azionista di riferimento, John Elkann. Il governo, a cominciare da Adolfo Urso ministro del Made in Italy; poi personalità di spicco nel mondo Fiat degli ultimi decenni come Luca Cordero di Montezemolo; analisti dell’industria, consulenti internazionali, insomma un ventaglio poche volte tanto vasto e diverso, critica le strategie del gruppo automobilistico.

I più – scrive Il Foglio in un lungo articolo pubblicato sulla sua edizione odierna – protestano perché la Francia ha un ruolo privilegiato, grazie alla presenza dello stato nel capitale, sostengono che all’Italia sono rimasti solo le briciole prima di essere abbandonata del tutto e lamentano che i soldi dei contribuenti sono finiti all’estero (Londra e Amsterdam).

Verità e propaganda si mescolano a rimpianti, rancori, rimorsi per quel che poteva essere e non è stato nei primi vent’anni di questo secolo in cui la Fiat è morta, è risorta e se ne è andata altrove. Stellantis del resto è il primo gruppo industriale italiano con 86 mila dipendenti (più delle Ferrovie o di Tim) in sei stabilimenti; ha un capitale di circa 120 miliardi di euro secondo solo all’Enel, azienda pubblica, due volte e mezzo Essilor Luxottica (italo-francese).

Il governo cerca alleati altrove per portare capitali e capitalisti in grado di ridimensionare l’odiato asse francese. Il viaggio a Roma giovedì scorso di Elon Musk ne è la dimostrazione. Siamo insomma alle ultime stoccate in ordine di tempo nel duello secolare ingaggiato tra il più rilevante potere economico italiano e il potere politico, una puntata dell’eterna competizione tra stato e capitale.

Per la Fiat, tutto inizia con Sergio Marchionne che, sistemati i conti, lanciati modelli di successo (la Grande Punto, la nuova 500) coglie l’occasione per fondare davvero “una Fiat fuori di qui”, grazie all’ingresso nella Chrysler nel 2009. Il gruppo italiano diventa per la prima volta multinazionale, imbocca quella strada che lo porterà poi alla fusione con Psa, mentre Exor, la holding guidata da Elkann prende le vie del nord Europa. E comincia il tiro incrociato: è una fuga con la cassa, una scelta ingenerosa.

Dopo la cassa per il Mezzogiorno, i contratti di programma, la rottamazione, la cassa integrazione, la ricerca applicata e il protezionismo che fino agli anni ’90 a favore di Fiat, per la pandemia il gruppo Stellantis ha ricevuto 6,3 miliardi di euro restituiti con un anno di anticipo. Oggi non ha bisogno di aiuti pubblici: «Gli Stati entrano nelle imprese quando vanno male e Stellantis va molto bene», ha dichiarato Elkann. Ma allora che ci fa lo stato francese? E perché l’amministratore delegato Carlos Tavares sollecita sostegni alla transizione elettrica?

Luca Cordero di Montezemolo non ha dubbi sull’argomento: «Stellantis è un gruppo francese. Le decisioni vengono prese a Parigi, dove si sono recati i sindacati italiani per chiedere investimenti, da manager che non sono certo italiani. Nell’auto, di italiano non resta granché, solo Ferrari. La Lamborghini è ormai da tempo parte del gruppo Volkswagen-Porsche».

 

Il governo Meloni non ha intenzione di mollare la presa, ma resta complicato pressare Stellantis per costringere Tavares ad espandersi in Italia. L’ingresso dello Stato italiano, magari attraverso la Cassa depositi e prestiti, è un obiettivo annunciato da Fratelli d’Italia e accarezzato anche dalla Lega prima di vincere le elezioni e andare al governo. Un’idea che è stata respinta da Elkann in modo netto anche recentemente, vantando che Stellantis è un gruppo privato.

Quanto allo stato francese, la sua presenza viene considerata da Exor un residuo del passato, di quando ha aiutato la Peugeot a superare la sua crisi dieci anni fa. In Francia gli aiuti di stato hanno come corrispettivo l’ingresso nel capitale, l’Italia in questo si è dimostrata più liberale, tuttavia ciò non vuol dire che non intenda vigilare sull’uso dei soldi pubblici vincolandoli a un aumento dell’attività industriale, a cominciare dall’occupazione.