ARTICOLO A CURA DI LUCA FILIDEI
L’Atatürk Olympic Stadium, l’impianto in cui questa sera si disputerà la finale di Champions League tra l’Inter e una tra Real Madrid e Manchester City, non è certamente novizio a questo genere di eventi. Realizzato con grandi ambizioni tra il 1999 e il 2002 su progetto degli architetti francesi Michel Macary e Aymeric Zublena (gli stessi dello Stade de France), rappresentava – e rappresenta tutt’oggi – la più grande infrastruttura sportiva del Paese: 75.145 posti destinati a rendere Istanbul e la Turchia una nuova destinazione dello sport mondiale.
La volontà era di costituire un complesso olimpico, una decisione assunta negli anni Novanta per aspirare ai Giochi della XXVII Olimpiade, poi conquistati dall’Australia con Sidney. Il successo ottenuto da un’altra città non arrestò comunque l’idea di realizzare una megastruttura destinata allo sport, e così nel 1994 si raggiunse l’accordo nella scelta dell’area: 586 ettari a nord-ovest della capitale, nel distretto di Başakşehir.
Progettato inizialmente per ospitare 80mila persone (una capienza poi ridotta di circa 5mila unità), Macary e Zublena disegnarono un catino in cui il campo di gioco è circondato da una pista d’atletica, con il primo anello collocato ad una quota inferiore – circa 12 metri – rispetto al livello del terreno. Tale soluzione ha consentito di rendere più efficienti i flussi e conseguentemente le vie di fuga, limitando allo stesso tempo l’impatto del profilo della struttura.
Del resto, a svettare nell’Atatürk Olympic Stadium è unicamente la distintiva copertura del settore ovest, un’elegante mezzaluna con dei richiami al simbolismo della Turchia dal peso pari a 3.300 tonnellate. Un elemento che contiene una grande trave reticolare lunga 200 metri e alta in mezzeria 11, sorretta da due piloni in calcestruzzo armato alti 80 metri. La tribuna al di sotto, che si innalza fino a 50 metri sopra il livello del campo di gioco, ospita diversi spazi accessori con delle rampe che la connettono direttamente nelle aree sud e nord, dove sono presenti due impianti sportivi ausiliari.
In effetti, nonostante la delusione della mancata Olimpiade (in seguito replicata nel 2004 e nel 2008 con le vittorie rispettivamente di Grecia e Cina), l’Atatürk Olympic Stadium ha da sempre rappresentato il potenziale polo di un possibile distretto sportivo, in futuro certamente realizzabile attraverso le grandi aree che ora circondano lo stadio. Queste al momento sono principalmente destinate a parcheggi, ma un primo e importante passo verso una logica di certo più “green” è stato già apportato nel 2013, quando la nuova linea metropolitana M9 ha raggiunto la struttura con la stazione sotterranea di Olimpiyat, consentendo in tal modo una diversità di accesso all’area.
Tuttavia, è interessante notare come sia stato proprio Atatürk Olympic Stadium, attualmente utilizzato per la Nazionale e una squadra di club, ad anticipare le notevoli ambizioni della Turchia, per ora concretizzate a livello calcistico con le finali di Champions League 2005 (quella che vide il Milan sconfitto dal Liverpool dopo una clamorosa rimonta) e 2023. Per il resto, molte candidature alle Olimpiadi estive (2000, 2004, 2008, 2012, 2020) e altrettante per i Campionati europei di calcio, la più recente con l’obiettivo di Euro 2028, dove fronteggerà la proposta di Regno Unito e Repubblica d’Irlanda.
Ed è proprio in questo scenario che si inserisce lo stadio della finale, unico tra i dieci impianti designati per la competizione europea a superare la capienza di 60mila spettatori, ma anche capostipite di una nuova generazione di infrastrutture sportive che stanno definendo il futuro della Turchia. Infatti, se Regno Unito e Repubblica d’Irlanda hanno presentato una lista di impianti che è un ibrido tra passato e futuro – puntando comunque con più decisione sugli stadi moderni, tanto da escludere l’Old Trafford e Anfield –, la Turchia ha investito completamente sul proprio progetto di rinnovamento, proponendo un elenco che contiene sette strutture su dieci inaugurate negli ultimi dieci anni, una notevole differenza rispetto alle tre dei concorrenti (il Tottenham Hotspur Stadium, il futuro Everton Stadium e il rinnovato Casement Park).
Investimenti ingenti che hanno reso la Turchia il runner-up di molte candidature, rafforzando contemporaneamente la Süper Lig, il campionato nazionale, che secondo Transfermarkt nell’edizione 22/23 ha raggiunto una media spettatori di oltre 11mila per partita. Un dato che tra l’altro nasconde la vera portata del nuovo corso turco, limitato per via di alcuni impianti di piccole dimensioni. Se escludiamo stadi come l’Ümraniye Municipality City Stadium (Ümraniye, 2000), caratterizzato da una capienza di soli 3.513 unità, scopriamo infatti che in questa stagione il Galatasaray ha sfiorato le 45mila presenze di media: una statistica importante in rapporto alla capienza dell’impianto – 52.280 posti – e ai numeri ottenuti dalla precedente infrastruttura sportiva utilizzata, ovviamente appartenente ad un’altra generazione di stadi.
Sempre in tale logica, notiamo che le prime cinque posizioni, per quanto riguarda le statistiche di presenza 22/23, sono occupate da società dotate di impianti costruiti o rinnovati recentemente (tre su cinque sono stati inaugurati negli ultimi sette anni), raggiugendo una percentuale di utilizzo che varia dal 50,7 % all’85,6 %. Insomma, la strada sembra ormai tracciata in perfetto tempismo con lo scenario internazionale, in cui le nuove infrastrutture sportive rappresentano sempre più i “motori” di campionati (basti pensare agli investimenti della MLS) e persino di interi Paesi. Per la Turchia la finale di Champions è un ulteriore e importante passo, ma l’assegnazione di una grande competizione europea appare sempre più come una previsione concretizzabile. Euro 2028, in fondo, potrebbe essere il prossimo step.