Il calcio del futuro, tra la ricerca della sostenibilità ambientale e non solo, un mondo sempre più globalizzato e un settore come quello dello sport in cui la finanziarizzazione è un elemento sempre più presente. Sono questi alcuni dei temi toccati durante il convegno “Tra Globalizzazione e Sostenibilità: quale futuro per il calcio”, andato in scena nel pomeriggio di ieri presso la sede di Arca Fondi Sgr a Milano con la moderazione del direttore di Calcio e Finanza Luciano Mondellini.
Voci autorevoli hanno discusso di alcune delle tematiche più rilevanti oggi nel mondo del calcio, passando anche attraverso il ruolo che il calcio femminile può avere nei prossimi anni. Ad aprire la discussione è stata infatti Laura Giuliani, portiere del Milan e della Nazionale italiana femminile, che è partita proprio dai passi avanti fatti dal settore e da quelle che sono le necessità per il futuro: «La parola professionismo dice già tantissimo su quanto è stato fatto, è stato un processo partito anni fa grazie a chi in FIGC ha creduto e spinto per questo progetto – le sue parole -. I prossimi passi? La mia idea è che dentro e fuori dal campo bisogna partire dalla competenza e dalle competenze. Chi non ha competenze non può far migliorare il movimento, anche a livello dei media. L’errore è guardare calcio maschile e femminile con gli stessi occhi, ma sono due prodotti diversi. Vedere il calcio femminile sotto una lente diversa dà la possibilità di vedere le peculiarità, se vengono valorizzate al meglio allora il movimento cresce. Chi confeziona meglio il prodotto sapendolo valorizzare vince».
Tra i manager calcistici che hanno particolarmente spinto sul settore femminile c’è Michele Uva, manager sportivo di lungo corso, ex direttore generale della FIGC e ora direttore Social & Environmental Sustainability della UEFA. L’occasione del convegno è stata anche quella per Uva di presentare il suo ultimo libro, “Soldi vs Idee. Come cambia il calcio fuori dal campo” (edito da Mondadori), scritto insieme alla giornalista de Il Sole 24Ore Maria Luisa Colledani. Un libro in cui, complice anche il ruolo oggi di Uva, pone l’accento anche sul tema della sostenibilità: «La parola sostenibilità è la più abusata, in tutti i settori oggi. Oggi possiamo intravedere cinque elementi di sostenibilità legata allo sport: sportiva, finanziaria, ambientale, sociale e anche culturale. E il luogo dove tutte queste dimensioni dialogano tra loro è lo stadio – le parole di Uva -. Il tema è particolarmente sentito sulla questione ambientale, e va fatto attenzione a chi si focalizza sull’ipotesi ‘zero’, è molto difficile da raggiungere in termini di ambiente ed emissioni. Per gli Europei in Germania del 2024 abbiamo definito con il governo tedesco di investire per avere un impatto positivo con una serie di iniziative: complice il fatto che non serviranno stadi nuovi intanto gli effetti negativi sono ridotti, considerando che l’80% delle emissioni di CO2 in un grande evento deriva dalla costruzione di nuovi impianti, ma soprattutto puntiamo sul trasporto e su altre modalità per ridurre gli impatti ambientali».
Il tema della sostenibilità sportiva ed economica si lega invece anche ad un’altra questione che è tornata di attualità, ovverosia la Superlega. «Nel libro abbiamo parlato del modello europeo che è diverso da quello americano, fatto di promozioni e retrocessioni, fatto di un Empoli che batte Juventus con 10 volte meno ricavi – ha spiegato Uva -. Il modello europeo è aperto, stravolgerlo con un modello chiuso è possibile ma i due sistemi non possono convivere. Le squadre avrebbero ricevuto 350 milioni ogni anno dalla Superlega, provate a immaginare se avessero partecipato anche al campionato nazionale, ci sarebbe stata la totale rottura dell’equilibrio competitivo che è la parte affascinante dello sport».
Una vicenda che ha riguardato da vicino non solo i top club che volevano partecipare, ma anche le altre squadre che rischiavano di vedere le big allontanarsi definitivamente da un punto di vista economico. «È stato come un flash, nessuno se lo aspettava – ha spiegato Umberto Marino, dg dell’Atalanta, durante il convegno – . Ora speriamo sia davvero terminata. Non vorrei dire altro perché è un tema sensibile, ma io resto a favore dei campionati, che sono ancora emozionanti. Come l’Atalanta è arrivata ai quarti di Champions League, anche le altre squadre devono avere la possibilità di sognare e guardare in alto. Sarebbe un peccato che città importanti non possano ambire a giocare ai massimi livelli, per il bene del calcio. E la Serie A ora è anche un campionato equilibrato, al di là dello scudetto quest’anno la lotta Champions è stata apertissima e anche la salvezza dove c’è il terribile spareggio che non auguro a nessuno, il campionato è vivo e forse è il più vivo d’Europa».
E in un campionato così vivo, l’Atalanta rimane un esempio di gestione sportiva ma anche economica. «C’è una filosofia dietro, che è quella della famiglia Percassi. Sono imprenditori ma anche uomini di calcio, anche Luca ha giocato nel Chelsea – ha aggiunto Marino -. Hanno sposato una filosofia che porta alla sostenibilità in campo e fuori: una squadra competitiva sul terreno di gioco ma senza dimenticarsi che siamo Bergamo, una provinciale orgogliosamente provinciale. Dobbiamo mantenere un equilibrio anche in termini economici e patrimoniale. Abbiamo una fabbrica, che è il nostro settore giovanile, creato tanti giovani poi venduti a club di blasone. È la nostra filosofia, apprezzata anche da Steve Pagliuca che ha voluto sostenere questo progetto. E questo ci ha dato una maggiore tranquillità, negli anni competere coi grandi club comportava un rischio anche economico sempre maggiore. Abbiamo cercato di avere le spalle coperte. Lo stadio? È un progetto ambizioso, importante anche in termini di riqualificazione del cantiere, ci sono esercizi commerciali che hanno ridato vita al quartiere. Ora c’è lo step più importante con il rifacimento della Curva Sud, per cui serviranno 14 mesi di lavoro».
L’immagine di una Serie A competitiva è arrivata anche grazie ai risultati in Europa, in particolare in Champions League. E proprio nelle semifinali dell’ex Coppa dei Campioni sono emersi quattro diversi modelli manageriali, come analizzato da Andrea Goldstein, senior economist dell’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi), che durante il convegno ha presentato alla platea il suo volume “Il potere del pallone” (pubblicato da Il Mulino). «L’idea era di dare un senso ai cambiamenti che sono evidenti nel calcio italiano, europeo e mondiale. Le semifinali di Champions sono state interessanti anche perché hanno mostrato quattro diversi modelli di capitalismo, è un punto di partenza per capire complessità del calcio moderno – ha spiegato -. Il Real Madrid è una cooperativa, il tifoso si compra una quota del capitale azionario in un modello di capitalismo calcistico complicato, visto che loro e il Barcellona sono casi eccezionali anche in Spagna. Ma resta un club che fa soldi anche grazie alle competenze di Florentino Perez in particolare. Secondo caso, il petrolcalcio, il Manchester City che non aveva nessuna tradizione e con i soldi ha costruito un club con infrastrutture straordinarie, dimostrando che i soldi non sono tutto come mostrato anche dal PSG. Poi i due casi italiani, un club di investitori cinesi sui generis come per l’Inter e un club nelle mani della classe di investitori più dinamica ovvero il private equity».
Un calcio sempre più nel mirino della finanza, quindi, in un rapporto in cui tuttavia anche la finanza può avere qualcosa da imparare dal calcio e non solo viceversa. «Lo sport è una attività da cui si può imparare tantissimo, nei libri di management si parla ad esempio spesso degli All Blacks e della loro gestione. Il calcio è economia ma anche valori, il fatto che riesca a muovere così tanto in termini economici e di valori credo sia la sua vera risorsa e credo che il contributo che noi possiamo dare è spingere i capitali verso dove questa risorsa viene valorizzata – ha spiegato l’amministratore delegato di Arca Fondi Sgr Ugo Loeser, nelle vesti di padrone di casa del convegno -. Il calcio ha dimostrato di potersi muovere in maniere finanziariamente creativa, in Italia ad esempio gli unici NFT emessi sono quelli legati al calcio. Come in tanti altri settori, il ruolo dell’investitore finanziario è quella di garantire governance trasparente incentrata su FPF e valorizzazione asset. Il calcio è visto come qualcosa di divisivo dalle aziende, ad esempio quando si parla di sponsorizzazioni? Dipende molto dal progetto. Spendere soldi per mettere il tuo brand su una maglietta che ha una tifoseria e ne ha una avversaria non la vedo come una grande opportunità se vuoi essere globale nella tua comunicazione. Se invece lo fai con un progetto per dimostrare come da sponsor crei opportunità e sostenibilità e ti rivendi una storia di comunicazione che tramite successo con squadra di calcio, ecco questo non sarebbe diviso. Le aziende incanaleranno sempre più le proprie risorse dove ci sono progetti», ha concluso.