La rivoluzione di De Laurentiis: tornei divisi per città e partite senza intervallo

Il patron del Napoli ha messo sul tavolo altre idee per rivoluzionare il mondo del pallone e avvicinare i più giovani al calcio.

De Laurentiis diritti tv Serie A
Aurelio De Laurentiis (Foto: Marco Luzzani/Getty Images)

«Io non voglio rivoluzionare il calcio, ma vorrei recuperare i giovanissimi che si stanno rincretinendo con gli smartphone e con le piattaforme. Non hanno la pazienza di seguire il calcio, cosa che si tramuta in una non passione». Parole del patron del Napoli Aurelio De Laurentiis, intervistato durante la trasmissione Che Tempo Che Fa, in onda sulla Rai.

Nonostante il numero uno dei partenopei non voglia stravolgere il mondo del pallone, le sue proposte hanno tutta l’aria di essere parte di una vera e propria rivoluzione. «Vorrei parlare col ministro dell’Istruzione e insegnare nelle scuole per farli diventare allenatori, facendo guardare loro Argentina-Francia. Ancora abbiamo l’intervallo di 15 minuti, è una follia. Non deve esserci intervallo, abbiamo 27 giocatori per fare i 90 minuti».

Una proposta sopra le righe, come spesso accade per De Laurentiis, e che sicuramente si scontra con il dibattito sul numero di partite giocate dai calciatori in stagione e sulla loro salute fisica. Ma De Laurentiis è un fiume in piena, e interviene anche su aspetti economici che non devono essere tralasciati. Del resto, proprio il suo Napoli è un modello da questo punto di vista.

«Bisogna essere competitivi tenendo i conti in ordine. Poi ci sono le istituzioni calcistiche che dovrebbero fare tabula rasa e ripartire da zero con regole precise. Non ci sono pari forze, ci sono dei campionati non equilibrati. I kart mica gareggiano con la Formula 3… I piloti dal karting poi arrivano alla Formula Uno. I campionati dovrebbero essere divisi per tipologie di città. Non si può giocare con una città di 3 milioni di abitanti contro una di 30.000. Poi non la vede nessuno e gli sponsor non partecipano. È un problema che non è stato affrontato», ha concluso.