Nell’ultima versione del decreto Lavoro arriva un cambio di rotta drastico sugli stipendi dei vertici delle grandi partecipate di Stato. Lo scrive Il Sole 24 Ore, spiegando che in un panorama che va da Enel a Eni, da Leonardo a Poste fino a Enav e Monte dei Paschi, la nuova regola chiede al ministero dell’Economia di «esercitare il diritto di voto» per assicurare che le politiche di remunerazione da applicare ai nuovi incarichi di vertice rispondano a tre obiettivi:
- contenere i costi di gestione;
- privilegiare le componenti variabili direttamente collegate alle performance aziendali e a quelle individuali rispetto a quelle fisse;
- escludere o comunque limitare i casi e l’entità delle buonuscite da riconoscere in caso di dimissioni o fine mandato.
In sostanza, nell’ottica del ministero dell’Economia si tratta di una sorta di “moralizzazione” delle buste paga dei manager per cancellare o quanto meno limitare al minimo le prassi di compensi che oltre a essere ovviamente elevati sono blindati da componenti fisse slegate ai risultati effettivi ottenuti dall’azienda. Ricordiamo che per le quotate non è previsto il limite che impedisce agli stipendi pubblici di superare i 240mila euro lordi all’anno.
Le modalità di governance riviste dalla norma si applicheranno ai vertici indicati nell’ultima tornata di nomine, che fin qui ha costruito le liste del Tesoro. Il conferimento dell’incarico che fa scattare il cambio di regole, però, avverrà dopo l’entrata in vigore del decreto. L’8 maggio sarà la volta di Poste, dove accanto alla conferma di Matteo Del Fante come AD è indicata Silvia Rovere come presidente, il giorno dopo sarà il turno di Terna (Giuseppina di Foggia AD e Igor De Biasio presidente) e di Leonardo (Stefano Cingolani e Stefano Pontecorvo) mentre il 10 toccherà a Eni (Claudio Descalzi e Giuseppe Zafarana) ed Enel (Flavio Cattaneo e Paolo Scaroni nella lista Mef).